sabato 9 luglio 2011

Il gioco del Dare e Avere

Vissi l'esame di Maturita' in maniera penosa, ma soltanto per una prova, quella piu' importante per il mio percorso scolastico: la prova di Economia Aziendale, quella che mi rendeva ansiosa, particolarmente intrattabile. Quella a cui avevo dedicato tutti i miei sacrifici nel triennio e quella che identificavo come sinonimo di successo, se affrontata con trionfo. Il mio futuro dipende da essa, soltanto da essa, pensavo.
Cio' che mi preoccupava maggiormente era il fatto che l'esame consisteva nella simulazione di un caso aziendale reale  e nello svolgimento dei relativi "calcoli contabili". Quindi oltre alle conoscenze scolastiche era indispensabile essere aggiornati sulla realta' economico - aziendale, nazionale e globale.
Potevo ben vantare conoscenze scolastiche eccellenti, ma peccavo di pragmatismo e sensibilita' aziendale. Infatti, nel corso del triennio, avevo concepito la ragioneria come la materia dell'ordine e della disciplina. Ed e' forse questo il motivo per cui ne ero particolarmente interessata, volendo porre fine ai disordini della mia vita.
Per me il "Dare" e l'"Avere" erano come due forze antitetiche, come il Bene e il Male, che alla fine dovevano trovare un equilibrio, convivendo armoniosamente nel Bilancio finale. E l'elemento che ne consentiva il pareggio era l'utile o la perdita, cioe' il risultato della gestione, o della condotta.
Ma non attribuivo alcuna importanza ai numeri. Non mi chiedevo se fossero elevati o meno, ma mi interessava incasellarli al posto giusto, come se dovessi comporre un puzzle.
E fu quella la ragione per cui la seconda prova fu un disastro. Di fronte al testo d'esame mi feci subito prendere dal panico e ad aggravare la situazione fu il fatto che il docente che avrebbe corretto la prova era esterno. Ma quando mi calmai, mi resi conto che non avevo genialita' aziendale.
In tutti quegli anni avevo concentrato i miei sforzi nel voler sviluppare un talento che non avevo, dimenticandomi della mia predisposizione naturale, che comunque si rivelo' nelle altre prove scritte e nella prova orale. Il risultato finale fu oggettivamente eccellente, ma non lo considerai tale perche', pur essendo la votazione approssimabile al massimo, 100, non era 100. Ma soprattutto mi sentivo confusa e insicura delle mie capacita'.
Non ero consapevole del fatto che nella vita il successo dipende da vari fattori e che non e' l'eccellenza scolastica, o accademica, a determinarlo. Molti dei miei compagni di scuola, seppur con votazioni non troppo brillanti, hanno poi avuto successo, diventando piccoli imprenditori o semplicemente realizzando la propria vita in ambito familiare.
Quanto invidiavo le persone uscite con 60, il minimo, che andavano a festeggiare la loro vittoria. Io, invece, pur con un voto cosi' alto, mi sentivo sconfitta.
Il mio egocentrismo mi aveva impedito di vivere l'esame di maturita' come un'esperienza "sociale", dove il cameratismo rende l'esperienza piacevolmente indimenticabile.
Ed e' per questo che alcuni trasformano il proprio diploma in una carriera da ragioniere o, con ulteriori studi, da commercialista.
Io invece lasciai ingiallire il mio diploma nell'armadio.

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