lunedì 30 luglio 2012

Vasi di fiori


Le idee debbono sposarsi all’azione ...
Le idee non possono esistere da sole nel vuoto del pensiero. Le idee sono in rapporto con la vita ...
L’estetica dell’idea genera vasi da fiori e i vasi da fiori si mettono alla finestra. Ma se non c’è pioggia o sole, a che giova mettere i vasi da fiori fuori dalla finestra? – Henry Miller ”

Penso sempre in questo periodo che dovrei fare qualcosa, attivarmi per trasformare le mie idee in azione. Il mio vaso da fiori è fuori sul balcone, grazie a questo blog. E sta aspettando la pioggia. Magari pioverà, ma se non voglio fare appassire i fiori, devo innaffiarli con l’acqua. L’idea non basta.
Ma cosa vuol dire nel mio caso “innaffiare”? Forse vorrebbe dire far diventare le mie idee un progetto, ma soprattutto trovarmi dei collaboratori o, meglio, far parte di un’associazione dove le mie idee possano prendere forma.
Sento che dovrei farlo, per non diventare soltanto una persona che dopo aver aperto la finestra “New post” del blog, comincia a vomitare idee, anche se poi riesce a impacchettarle come vasi da fiori. Ma cosa vorrebbe dire entrare a far parte di un’associazione?
Vorrebbe forse dire conformarsi. Infatti ciò che fa la differenza, per l’appartenenza o meno ad un gruppo, non è credere ai suoi valori, ma adeguarvisi. Un po’ come andare a messa. L’importante è partecipare, anche se non si crede. A chi importa se la nostra fede sia sincera se sappiamo “venderla” come tale? Di certo non al prete, che apprezza molto di più le offerte pecuniarie. Al pubblico interessa? No, per definire il pubblico basta la presenza, non l’intento, la volontà di presenziare.
Ciò che mi turba e mi fa sentire inetta è la mia incapacità di conformarmi: troppo donna per essere un uomo e troppo uomo per essere donna, troppo ignorante per essere erudita e troppo erudita per essere ignorante, troppo produttiva per essere perdigiorno e troppo perdigiorno per essere produttiva, troppo ingenua per essere scaltra e troppo scaltra per essere ingenua, troppo individualista per essere socievole e troppo socievole per essere individualista, troppo per essere niente e troppo poco per essere qualcosa.
Non sono nemmeno conformista nel mio stato disoccupazionale, visto che possiedo un titolo di studio e una formazione che non rientrano tra le lauree più richieste tra le mura domestiche.
Ma cosa importa avere titoli, valori, impegno concreto? Ciò che fa veramente la differenza e pone le basi per il successo è il conformismo: conformarsi all’ambiente scolastico, lavorativo, sociale ... Rispettare le regole imposte anche senza credervi.

Se ci fosse un uomo che osasse dire tutto quel che ha pensato di questo mondo, non gli resterebbe un piede quadrato di terreno su cui stare in piedi. Quando un uomo si fa avanti, il mondo gli crolla addosso e gli rompe la schiena.
Ma ne restano in piedi sempre troppe di colonne ...
La sovrastruttura è una menzogna e le fondamenta sono una paura trepidante ...
Se un uomo mai osasse tradurre tutto quel che ha nel cuore, mettere giù quella che è la sua vera esperienza, quel che è veramente verità, io credo allora che il mondo andrebbe infranto, che si sfascerebbe in frantumi ... !

Continuo a leggere “Tropico del Cancro di Miller” e a riconoscermi nell’ ”uomo” che vuole esporsi, per esprimere ciò che sente. E allora devo mediare tra il voler far qualcosa per migliorare la società ed il voler essere libera di starne fuori. Ma c’è una strada per cambiare la società senza farne parte?

 “Fianco a fianco con la razza umana scorre un’altra razza di creature, le disumane, la razza degli artisti che, stimolati da impulsi ignoti, prendono la massa inanimata dell’umanità ... rovistano l’universo, capovolgendo ogni cosa, coi piedi che sempre si muovono nel sangue e nelle lacrime, le mani sempre vuote, sempre tese ad afferrare quel che c’è oltre, il bene lontano; trucidano tutto quel che raggiungono per quietare il mostro che rode loro gli organi vitali. Vedo che quando si strappano i capelli nello sforzo di comprendere, di afferrare questo eterno inattingibile, vedo che quando muggiscono come bestie impazzite, e stracciano e trafiggono, vedo che questo è giusto, che non c’è altra strada da seguire. ... E tutto ciò che non sia questo tremendo spettacolo, tutto quello che sia meno tremendo, meno terribile, meno pazzo, meno avvelenato, meno contaminante, non è arte. E’ artifizio. E’ umano.

Ma può un essere disumano rivoluzionare l’umanità? Può senza l’aiuto della razza umana?

Toglietemi tutte queste idee. Fatemi diventare consumista. Fatemi diventare una “donna”. Fatemi guardare soltanto allo specchio. Fatemi vivere per badare soltanto alla casa o per collezionare borsette, vestiti, scarpe. Fatemi ricercare in un “uomo” il suo portafoglio ed incoraggiarne il suo maschilismo. Fatemi vivere una vita normale. Datemi un lavoro che mi renda incapace di pensare, che mi costringa soltanto ad eseguire, che mi faccia abbassare soltanto la testa. In cambio, prendetevi tutto. Le mie lauree, la mia personalità, esaminatemi pure per vedere se son pazza o malata. Prendetevi tutto e soprattutto non lasciatemi il cervello.

Forse Miller ha ragione. Dovrei essere fiera di far parte della razza disumana e di non aver come meta quella di diventare essere umano. Altrimenti ciò equivarrebbe a distruggermi.

Sono disumano ... non ho nulla a che fare coi credi e coi principii. Non ho nulla a che fare con la cigolante macchina dell’umanità ...

Ma se sono disumana allora perché ricerco l'umanità? Oppure è proprio il mio essere disumana che mi porta ad avere bisogno di ciò che non posso avere? Oppure ho in mente un'altra accezione del termine umanità?


mercoledì 25 luglio 2012

Nostalgia perversa


Ciao sono la nostalgia londinese.

Ehi, ciao. Mi sorprende la tua candidatura spontanea, visto che non ti ho chiamato. Mi spiace ma al momento non ho possibilità di inserimento nel mio animo.

Lo so, ma io il bisogno lo creo. Ti tormenterò fino a quando non mi assumerai.

Mi spiace, ma stavolta perdi tempo ed io non ho fondi. Sai come siamo messi qua!

Sei sicura? Io sono perversa, ma anche razionale, pragmatica. Ti convincerò ...

Sentiamo allora. Perchè dovrei riconoscere di provare nostalgia? Di Londra poi!

Beh non puoi negare che ti incuriosivano le “stranezze” che vedevi in giro, ti affascinava la multietnicità, il fatto che potevi mangiare cibo da tutto il mondo, potevi vestirti come volevi ...

Guarda che anche qua faccio ciò che mi pare, a misura di sguardi della gente. Per la multietnicità, basta  andare in certi quartieri della città. Certo, non è la stessa cosa, ma ci si può accontentare. Per le “stranezze”, se a Londra le vedevo, qua le immagino e sai di cosa sono capace ...

Ti mancano forse il caffè AMT e suoi derivati?

Non mi sembri tanto intelligente. Ah scusa! Dimenticavo! La tua è ironia inglese.

Ok, Veniamo ad argomenti seri. Ora stai facendo lo stesso lavoro nella tua città natale. Ma non ti pagano. Non è che ti manca la sterlina?

Good point! No ... Ho più nostalgia della lira, di quando ancora c’era mio padre. Non ha sopravvissuto abbastanza da toccare con mano un euro, anche se ne ha annusato il profumo dal forno bancario. Oh scusami! Non ti piacciono le divagazioni. Torniamo al punto. L’ambiente dove lavoro mi piace. Le persone sono umane, simpatiche e competenti.

Mi sorprende la tua ingenuità. Come fai a decantare la loro umanità se non ti pagano? Che strana simpatia questi italiani!    

Senti, se non mi pagano non è colpa loro. Al momento non ci sono fondi disponibili perchè in Italia certi privilegi irrinunciabili costano allo Stato troppi soldi. Mica si può peggiorare la condizione di chi sta già bene, no? Meglio abortire feti precari o potenziali di innovazione. D’altronde tu, da inglese, metteresti al mondo un figlio se questo volesse dire rinunciare alla possibilità di comprarti l’ultimo modello iPad e di poterlo comprare al nascituro?

Ma allora tu stai servendo il privilegio? Lavori per mantenerlo?

Io non servo nessuno. Io sono un feto che vuole nascere, nonostante lo vogliano abortire. Sento che devo nascere, anche se non possono mantenermi. Mi nutrirò con i miei mezzi. Mi basta poco per vivere.

Allora se non sarà aborto,sarà suicidio. Meglio che scendi in piazza a far la rivoluzione e ti fai arrestare, almeno mangerai gratis.

E’ assurdo! Tutti i privilegiati o gli stranieri non viventi in Italia ci incitano a far la rivoluzione. Questo mi fa riflettere sul loro potere: possono pure permettersi di prenderci in giro, tanto sanno che pure fingendo di appoggiarci manterranno il loro privilegio. Ed io dovrei farmi arrestare inutilmente per confermare la loro inespugnabilità? Quello non solo sarebbe suicidio, ma anche omicidio della mia famiglia!

E allora cosa vuoi fare? Lo sai che in Italia l’unico privilegio che difficilmente si può mantenere è l’intelligenza.

Beh! In tutta onestà nemmeno a Londra la mia intelligenza era così valorizzata. Anche se mi trattavano bene.

Vedi, riconosci che in fondo a Londra non stavi male. Certo, dicevi che ti mancava la vita sociale italiana. Ma adesso tendi di nuovo a isolarti, a chiuderti. Ti stanno pure venendo i rigurgiti anti-italiani. Sei tornata per le persone che ami. Ma le persone che ami finiranno per odiarti nel vederti ridurre in uno stato pietoso. E tu finirai per odiarle e attribuir loro la responsabilità di averti rovinato.

Mi stai tentando, anche se ti sbagli! Non ho mai ritenuto nessuno responsabile delle mie scelte. Ma, cosa mi proponi?

Io sono la nostalgia londinese. Non la passione, la spinta rivoluzionaria, patriottica ... Lascia di nuovo l’Italia. Salvati il cervello!

Londra è stata una bella esperienza. Rimpiango alcune cose, ma soltanto perchè le ho sentite parte di una mia vita, anche se di una vita in esilio. Oltre al mio dialogo quotidiano con il Tamigi, in particolare, c’è una giornata che vorrei rivivere, ma di fatto quella giornata ha un legame con l’Italia. Il resto di ciò che rimpiango è piuttosto superficiale e facilmente sostituibile, grazie al mercato globalizzato.  Comunque a Londra non ci tornerei. Sono troppo burocratici.

E allora perchè non vai in Francia o in Germania?

Servire un altro paese ricco? No, grazie...

Ma almeno lì potresti vivere.

Vivere come? Facendo la stessa vita, ma usa e getta, senza poter costruire nulla di stabile, senza parenti, casa propria o senza poter aiutare nessuno?

Ma almeno la tua intelligenza sarebbe ben investita.

Diciamo che sarebbe soltanto ben retribuita. In realtà la mia intelligenza sarebbe ben investita se emigrassi in un Paese povero.

Beh! In Italia siamo sulla buona strada.

Ti sbagli! L’Italia è un Paese di falsi poveri. Altrimenti apprezzerebbe e riconoscerebbe la mia buona volontà e voglia di “sporcarmi le mani”  (di terra da lavoro, non di sangue o denaro sporco). E invece, no! Decidono per me: se non possono garantirmi la paga e il prestigio che avevo nel lavoro precedente allora mi lasciano a casa. E sappiamo tutti che i redditi inglesi non sono paragonabili a quelli italiani. E quindi mi impiego nel volontariato, sicura che qualcosa accadrà.

Sei solo una sciocca.

Sei solo nostalgia, che ti spiace di non aver vinto questa volta.

domenica 22 luglio 2012

La delega

Paghiamo per delegare.
Deleghiamo per non fare.
Non facciamo per non stancarci.
Non ci stanchiamo per non stare male.
Stiamo male e andiamo dal medico.
Andiamo dal medico per farci curare.
Ci facciamo curare per non prenderci cura di noi.
La nostra cura e il nostro benessere dipendono dalla nostra attenzione.
La nostra attenzione richiede la nostra presenza.
La nostra presenza è la nostra vita.
La nostra vita non può essere delegata.

Ho composto questi versi a seguito di una riflessione piuttosto banale, in un giorno di pigrizia: “quanto è faticoso vivere!”. Quanto tempo a pulire casa! Quanto tempo per cucinare! Quanto tempo per organizzare la giornata! Quanta fatica nel formalizzare i miei pensieri la cui scarica elettrica disturba la mia mente! Quanti pensieri con mia sorella non autosufficiente, il cui benessere dipende da persone che pago per delegare la mia responsabilità assistenziale. Persone di cui mi devo fidare se non voglio attivarmi per gestire in prima persona la situazione, se non voglio essere presente. Ma fino a che punto posso delegare la mia presenza? Fino a che punto posso disinteressarmi dei miei problemi? Le mie sorelle, la mia salute, la mia precarietà, la mia responsabilità? 

La dannazione umana è l’insensibilità. Non accorgersi, non vedere, non farci caso. E’ una cosa che va esercitata, si comincia ignorando la gente che dorme sui marciapiedi. Si finisce per non accorgersi che il caffè è senza zucchero. La rivoluzione non ci sarà. (Jacopo Fo).” 

L’insensibilità è la virtù delle macchine. Le macchine non reagiscono neanche se le si vuole rompere. Le macchine pagano senza protestare, senza essere presenti. E noi stiamo sempre più assomigliando a loro. Andiamo avanti azionando il meccanismo del pagamento. Deleghiamo e paghiamo per il nostro tempo, la nostra salute e il nostro svago. Paghiamo per avere tempo che poi buttiamo via. Paghiamo per la salute che poi trascuriamo. Paghiamo per lo svago, per la distrazione, per la fuga dalla realtà. Realtà di cui facciamo parte senza essere coinvolti. Realtà che accettiamo delegando. Deleghe che possiamo permetterci solo pagando. Paghiamo il prezzo della dipendenza e dell’insensibilità. Meglio pagare in denaro che in fatica umana, fisica o mentale che sia. Meglio aprire il portafoglio che la mente. Ecco perchè la vita è così cara dal punto di vista economico. Ma per cosa risparmiamo le fatiche? Abbiamo progetti di investimento? 

"La vita è una perpetua distrazione, che non lascia neppur prendere coscienza di ciò da cui distrae. (F.Kafka)."

 Ma ciò da cui vogliamo distrarci non è il pensiero della morte? E allora viviamo, con tutta la fatica che la vita richiede! Con tutto il dolore che la sensibilità infligge!

lunedì 9 luglio 2012

Flessi F rigidità

Dopo circa sei mesi di riflessione, forzata dalla disoccupazione, ho finalmente trovato una collocazione nella mia città. O meglio, adesso faccio di nuovo parte di un centro di ricerca, anche se, a causa dei tagli, non posso essere assunta con un contratto di lavoro dipendente, ma ricevo almeno un compenso per collaborazioni varie. Però sono contenta perchè avrò occasione di poter far ricerca nell’ambito dell’epidemiologia dei tumori.   

Io sono disponibile ad essere flessibile e ad adeguarmi per fare ciò in cui credo. E’ anche grazie alla mia determinazione se riprenderò a lavorare. Infatti non credo sia giusto che la ricerca debba fermarsi a causa dei vari tagli. Ed io piuttosto lavorerei anche a titolo gratuito.

Io sarei ben disposta a farlo, ma quali sarebbero le alternative se non lo facessi? Ciò che ho fatto finora. Stare a casa, senza avere un ruolo sociale e senza neanche poter sperare in un futuro lavorativo. E allora la mia flessibilità, pur di fatto essendo una scelta, diventa un’imposizione, il mio volontariato una sorta di lavoro forzato, la mia “vocazione” una “forzatura”.

E la flessibilità, si intende, è sempre a carico del lavoratore. Infatti se il mercato fosse altrettanto flessibile potrebbe assumermi anche senza richiedermi esperienza nel settore, accontentandosi della mia buona volontà e del mio potenziale. Ma non è così. Mi son sentita dire che ho un curriculum particolare, un profilo troppo elevato. Ma troppo elevato per cosa? Per stare all’altezza del quadro aziendale?

Sono tornata in Italia consapevole di non poter pretendere di fare carriera come ricercatrice, ma disposta ad adeguarmi pur di vivere con il mio convivente e di abitare vicino alle mie sorelle. Ma allora perchè il mercato ha mille pregiudizi ed è così rigido? Perchè non è in grado di “adeguarsi” alla mia candidatura? Perchè ha mille pretese: competitività, produttività e tutte le varie formule per far fronte alla crisi.

Ma è giusto che soltanto le aziende abbiano pretese ed i lavoratori no? Ma è giusto costringere le persone ad essere flessibili? Rendere flessibile qualcosa che non può esserlo vuol dire di fatto spezzarlo. Se per ipotesi infatti mi ammalassi? Addio tutto. Addio progetti di ricerca. In tal caso, l’imposizione della flessibilità mi darebbe soltanto il colpo di grazia. Inoltre la flessibilità imposta decide anche la tua residenza (e magari anche il tuo divorzio con il coniuge). Infatti se uno non è disposto o non può per varie ragioni spostarsi ed ha una certa esperienza nel settore, non è detto che possa trovare lavoro in altri settori se rimane nella sua città di origine.

E’ questo che chiamiamo progresso? Miglioramento delle condizioni di vita e delle possibilità di sviluppo? In Italia siamo indietro, si sente sempre dire. Ma a che cosa ci riferiamo? Che cos’è l’”avanti” a cui miriamo? Sogniamo il modello statunitense o ci accontentiamo del modello tedesco? Certo, magari gli altri Paesi pagano meno tasse, hanno più soldi per la ricerca, la gente può consumare di più, la benzina costa meno.  Ma è solo questo che ci interessa? E’ solo questo da cui dipende la nostra società?

“Il lavoro non è un diritto”. Certamente non lo è. Ma pensate che negli altri Paesi lo sia? Volete che il lavoro sia garantito a tutti? Allora forse occorrerebbe sacrificare l’attuale sistema capitalista. Capisco, vi fa paura la parola “com......” associata a “Pericolo rosso”, “Anti-Cristo”, “Regime”, “Rinuncia alla proprietà” e tutti gli altri luoghi comuni dietro cui si nasconde quella parola? Ma credete che mantenendo l’attuale sistema tali pericoli non si prospettino? Non penso che pagheremo più di quel che stiamo pagando ora. La differenza è che forse potremmo avere servizi migliori.

E poi basta nascondersi dietro falsi ideali e farne una questione politica. Bisognerebbe unirsi anzichè dividersi. Basta con la creazione di nuove associazioni, ciascuna con una virgola in più che la distingua dalle altre per salvaguardare il protagonismo individuale. Le associazioni dovrebbero lottare unite, anzichè divise. Le relazioni dovrebbero fondarsi su ciò che unisce le parti, non su ciò che le divide. Vi capisco, anche io ho bisogno di protagonismo e libertà. Ed è anche per questo che scrivo questo blog. Ma un’associazione è ben altro. E quando si tratta di cooperare, sono ben disposta a mettere da parte il mio ego.  

Ma cooperare non vuol certo mica dire premere il tasto “Condividi” sui social network e poi continuare a farsi i fatti propri. Quella è solo ipocrisia. Sui social network siamo tutti rivoluzionari, abbiamo tutti dei valori, crediamo tutti in qualcosa. Ma poi?

Molta gente di fatto critica solo il rigore dell’attuale Governo, ma in fondo in fondo pensa: “Si stava meglio quando c’era il Cavaliere. Almeno si poteva “cavalcare”, spendere, evadere ...”

Ma ciò che mi chiedo è: “Dove ci porterà questo rigore?” Da una parte pensavo fosse necessario e servisse veramente a migliorare. Ma più passa il tempo e più ne dubito, chiedendomi dove si voglia andare a parare. Quale sarà il futuro? Potrò fare ricerca senza essere precaria o, in alternativa, trovare un lavoro dignitoso?

E nel frattempo, paghiamo. Paghiamo per essere flessibili, per non poter condurre ciò che i nostri genitori con meno soldi mandavano avanti: la baracca familiare. Baracca, non di lusso, ma stabile. Mentre ora si sogna il lusso, anche se ciò richiede di vivere in una roulotte pagandone pure la tassa.  

Sono stanca. Sono stanca di leggere cazzate. Sono stanca di firmare petizioni che servono solo da marketing per varie associazioni. Sono stanca di aziende che prima di assumerti cercano in rete il tuo nome per vedere se la tua immagine è "pulita". Sono stanca di persone che non parlano in maniera chiara. Sono stanca persino di poter soltanto scrivere, a tempo perso, per raggiungere i miei lettori. Sono stanca di essere stanca senza far nulla.