venerdì 30 marzo 2012

Il taglio professionale


Sei ciò che fai? Sei ciò che sai? Sai ciò che sei? Sai ciò che sai? Sai ciò che fai?
Al momento so che sono confusa!
Proviamo a fare un bilancio. Il bilancio?
“Il bilancio, no! non l’avevo considerato. Mi aspettavo lo sai, una vita un po’ più normale quale eventualità ... trovarmi una collocazione... Si potrebbe inventare, si potrebbe vedere, si potrebbe rubare ...
Il bilancio, no! non l’avevo considerato. D’accordo ci proverò, la ragioneria non è un reato”.
Concentriamoci, anzichè ideare una nuova versione del Triangolo di Renato Zero.
Se il lavoro è tutto un Dare e Avere, allora qual è il mio utile? Cosa voglio ottenere. Soldi? Potere? Direi di no, altrimenti non sarei qui a scrivere sul blog, ma a produrre e spendere.
Però allora perchè ho studiato alla Facoltà di Economia con l’obiettivo di diventare “ingegnere del risparmio”? Forse perchè per quanto i soldi non siano la vita almeno sono vitali e se non fanno la felicità almeno garantiscono la sicurezza.
Sicurezza, controllo, ordine costituivano le mie priorità per far fronte ad una situazione familiare difficile. Ma forse pensavo più alla famiglia che a me stessa e quando la mia famiglia si è sgretolata allora ecco che ho cominciato a scontrarmi con me, a capire che in fondo avevo sacrificato i miei veri interessi per diventare fredda, razionale, una fortezza inespugnabile, inaccessibile persino a me stessa.
Ed ecco allora che mi sposto in una dimensione più umana, dove il fine e’ quello di dare un contributo all’epidemiologia, ma sempre tramite la matematica o la statistica. Numeri, dati, computer ... Se avessi amato di più i numeri sarei rimasta a Londra, a convertire in sterline le mie competenze. E invece sono qui a valorizzarmi quale fallimento, a sublimare la mia “eccellenza” in disoccupazione.
Ma perchè pensare al passato? "La vita si può capire solo all'indietro, ma si vive in avanti" dice Kierkegaard. Già e io adesso sto facendo un bilancio, ma seguiamo la consegna degli esercizi che mi hanno consigliato al Centro Lavoro.
“Elenca i momenti, le situazioni, gli avvenimenti che, nell’arco della tua vita, hanno rappresentato per te un successo, un traguardo, una realizzazione”.
Ho aiutato mia sorella, ho dimostrato chiarezza espositiva in aula, ho comunicato in maniera efficace, ho fatto divertire i miei compagni di scuola, ho dato e ricevuto amore ... Il comune denominatore è sempre umano o sociale.
Quindi il lavoro ideale per me deve coinvolgermi in attività sociali o, qualora sia matematico, deve avere perlomeno un fine di utilità collettiva e non ingrassare solo le tasche o il prestigio di qualcuno.
In secondo luogo, deve essere creativo (tale aspetto è venuto fuori da altri esercizi) deve consentirmi espressione personale (possibilità di utilizzare il mio stile, le mie idee ...) e  sviluppo personale (imparare cose nuove che mi accrescano come persona).
Non voglio dilungarmi, ma alla fine ho redatto un bel bilancio: in Dare (attivo) le mie capacità e competenze, nel patrimonio l’utile desiderato ossia il fine idealmente sociale o collettivo, ma c’è qualcosa che non quadra l’Avere. Chi mi assume? Con chi ho un debito?
Ed ecco che ricado sempre nel solito errore di voler metaforizzare tutto ciò che è grettamente pratico: soldi, soldi, soldi ...
Ho individuato una serie di lavori che fanno per me, ma escludendo quelli di cui, pur avendo le capacità non ho l’esperienza o la formazione, ne rimane solo uno, quello che ho fatto negli ultimi due anni: il ricercatore in ambito statistico medico, o eventualmente statistico sociale.
Penso sia sbagliato dire che si è ciò che si fa, ma il tempo trasforma ciò che si fa in ciò che si diventa. E allora mi concentro su ciò che ho fatto che tutto sommato mi ha dato soddisfazione.
Contatto tutti i centri di ricerca che potrebbero essere interessati al mio profilo professionale. Rendo esplicito che vorrei incontrare i responsabili per un loro parere, anche se al momento non hanno nulla da offrire in stipendio.
Mi dicono tutti la stessa cosa: mi vorrebbero, ma non ci sono i fondi. Avrebbero bisogno di me, ma non possono nemmeno farmi un’offerta caritatevole, nemmeno un rimborso spese.
Realizzo che il problema non è nè mio, nè della mia confusione. E quindi?
A cosa è servito fare il bilancio se poi manca il portafoglio? Non potrei allora fare il bilancio con le aziende che assumono e trovare un accordo? Io garantisco a te, tu mi permetti di ... Non ho mica paura di fare un lavoro nuovo, diverso, purchè in linea con i miei valori umani. Non ho mica esigenze di stipendi elevati. 
Non ho mica paura di sporcarmi le mani, ma è il mercato che sembra lavarsele. C’è talmente tanta manodopera specializzata e competente, oppure non specializzata, ma ancora fresca e giovane, da consentire alle aziende di cestinare il mio curriculum con tanti pregiudizi: “Questa o è un’inferma mentale da mandarci il curriculum per una posizione “degradante” rispetto al proprio titolo di studio oppure è un fallimento. E poi è veramente “conigliona” da tornare in Italia proprio in piena crisi. O forse l’hanno rispedita indietro per problemi con la giustizia.”
Beh! La selezione è sempre bilaterale: io non vado bene a loro, ma loro non vanno di certo bene a me se è ciò che pensano.
Ma allora, se c’è tanta specializzazione, ma non c’è crescita, non bisognerebbe puntare sulla ricerca o sull’innovazione per uscire dalla crisi?
Perchè allora è sempre la ricerca a subire i tagli? Perchè sono sempre i ricchi di potenziale umano a rimetterci? Tagliano i cappelli o le teste?
Basta, non voglio discutere di politica. Dico solo che si è passati dall’ambizione di un “presidente operaio” ad uno che vuol fare il “macellaio”. Ma “sembra” che il primo non abbia saputo mandare avanti la fabbrica, il secondo invece “non capisco bene” cosa stia e dove stia tagliando. Spero si riveli veramente un macellaio e non un boia. E’ vero che entrambi spargono sangue, ma almeno il primo ci fornisce la carne che mangiamo. E intanto aspetto la mia dose di proteine, sperando di non essere costretta a diventare vegetariana!

lunedì 5 marzo 2012

Centro Tossico-competenze e obiettivo-professional deficienze


Il giorno più triste per i lavoratori è il lunedì, per i disoccupati la domenica. Per i primi inizia un’altra settimana di lavoro, per i secondi finisce un’altra settimana senza aver trovato lavoro. Un’altra settimana senza avere un ruolo, una collocazione, senza vedere terra, ma soltanto mare. Mare, che la domenica è piatto, senza onde da fronteggiare, senza vento che potrebbe portarti nella giusta direzione o farti naufragare.
La domenica tutto riposa, tutto tace. Negozi e uffici chiusi. Nessuno può chiamarti perchè non lavora e di conseguenza non offre neanche lavoro. E senti l’angoscia del vuoto, quel vuoto stesso che è l’obiettivo di ogni lavoratore. Vacanza, che per te vuol dire invece mancanza. Mancanza del movente, dell’elemento costitutivo della vacanza stessa: il lavoro.
A Londra la domenica disoccupata non era diversa da qualsiasi altro giorno di inoccupazione. Per cercare lavoro non ho avuto bisogno delle persone, ma della tecnologia. Trovar lavoro ha voluto dire aver presentato la candidatura giusta al momento giusto sul web e aver atteso “pazientemente” di essere chiamata a dimostrare le mie capacità.
In Italia invece trovar lavoro vuol dire trovare la persona giusta che ti indirizza, che ti mette in contatto con altre persone o che ti fornisce una serie di informazioni indispensabili al raggiungimento del tuo obiettivo. Con ciò non intendo dire che occorre necessariamente trovare la persona che ti raccomanda, ma semmai il Virgilio che ti illumina il cammino nell’Inferno del mercato lavorativo.
Ma soprattutto, c’è ogni Virgilio per ogni Inferno professionale o addirittura per ogni Azienda. Per trovarlo, però bisogna sapere da quale Inferno si vuole uscire.
Ma forse mi trovo nell’Antiferno, nel girone degli ignavi, costretta a girare con un’insegna “Cerco un lavoro creativo”, senza specificare quale. Creativo, perchè anche tra gli ignavi voglio distinguermi per il mio stile.
Però voglio uscire dal limbo e agire secondo le mie idee proprie, senza limitarmi ad adeguarmi sempre alle esigenze del più forte, il mercato. In tal modo rischio di scegliere la strada del “Male” per la mia formazione, ma del “Bene” per la mia realizzazione personale.
Siamo a metà gennaio. E’ circa un mese che sono tornata da Londra. I “pezzi” sono stati ricuciti e adesso assomiglio anche all’uomo di paglia del fantastico mondo di OZ, senza idee e prospettive per il futuro, ma con l’unico obiettivo di andare a chiederle al mago.
Ma qual è la strada per OZ  e poi per Virgilio?
Cerco stimoli dall’ambiente esterno. Mi serve il confronto con esperti e forse anche quello con i pari, per capire dove mi trovo.
Mi appello al Centro Lavoro della mia città. Qui non si parla di ignavi, di Bene o di Male, di desideri che solo il Mago di OZ può esaudire. Ma si parla di persone in cerca di un’occupazione, di bilancio di competenze, di obiettivi professionali che solo chi se li pone può realizzare, anche se il Centro Lavoro può insegnare i trucchi del mestiere.
Comincio a seguire una serie di seminari e incontri molto interattivi, dove viene chiesto ai partecipanti di presentarsi. Ascolto le storie degli altri: operai, impiegati, giovani e non, chi è in mobilità, chi ha visto l’azienda chiudere. Alcuni si apprestano al primo colloquio di lavoro dopo aver lavorato un quarto di secolo nella stessa azienda. Altri hanno una laurea, ma lavori saltuari e non gratificanti e sono confusi. Io sono l’unica reduce da una prestigiosa esperienza londinese che ha un dottorato di ricerca. Apparentemente l’unica tossico-competente, l’unica ad avere cioè competenze intossicate dal grado di eccellenza raggiunto. Competenze nascoste da un titolo accademico che vorrebbe definirmi nella mia interezza, mentre definisce soltanto cosa so fare se mi applico.
Apparentemente l’unica idealista che al momento non sta cercando solo lavoro, ma anche sè stessa.
Ognuno ha una storia diversa, ma tutti condividiamo l’incertezza del futuro professionale. Non tutti, ma qualcuno come me, necessita di un obiettivo professionale. Ed allora si può parlare di disoccupazione, se non si sa neanche quale mansione si vuole occupare?
Ed è per questo che in tali incontri più che disoccupata mi sento obiettivo-professional deficiente.
Sembra di prendere parte ad una terapia di gruppo. Ma ci sarà la cura contro la disoccupazione o in generale l’inoccupazione, che, a seconda dei casi, può essere un digiuno forzato o un’anoressia lavorativa?
Seguo altri incontri: come organizzare una ricerca attiva del lavoro, come affrontare il colloquio di selezione, le figure professionali richieste nei vari settori, mettersi in proprio ...
Trovo i seminari molto interessanti, ma soprattutto apprezzo la condivisione di esperienze e il coinvolgimento che si crea all’interno del gruppo.
Il mio obiettivo però devo definirlo da sola, cogliendo spunti dall’esterno, ma soprattutto con l’aiuto di esercizi di autoanalisi sulle mie capacità professionali e sulla mia personalità. Una volta redatto ciò che gli esperti chiamano “bilancio delle competenze”, potrò discuterne l’approvazione con un orientatore. Il passo successivo sarà cercare il mio Virgilio. Lo troverò? Nonostante la crisi sono ottimista. Come Jovanotti, all’Inferno delle verità io mento col sorriso.