sabato 16 luglio 2016

Il nome

Vorrei sapere il nome di chi porta quest'astenia.
Vorrei sapere il nome di chi porta questa inappetenza.
Vorrei sapere il nome che origina questa tristezza.
Vorrei sapere il nome di questo malessere.
Vorrei sapere il nome di chi porta questa sensazione di privazione, di furto del mio tempo e della mia vitalità.
Vorrei sapere il nome di chi mi spinge a vivere alla giornata, senza aspettarmi nulla, senza avere progetti, senza curarmi di nulla.
Vorrei sapere il nome per chiamare in causa il colpevole che si sta portando via tutto.
Vorrei sapere il nome del colpevole per non essere accusata di lasciarmi andare, di farmi portare via tutto, di logorarmi giorno per giorno, di dissipare tutto ciò che ho.
Vorrei sapere il nome di chi controlla le mie giornate, i miei pensieri.
Vorrei sapere il nome del problema affinché qualcuno possa capirlo e risolverlo al mio posto.
Vorrei sapere il nome di chi verrà odiato al mio posto.
Vorrei sapere il nome per distruggere l'ignoranza.
Vorrei saper quel nome per non vivere come chi vive senza sapere di cosa morirà.

“Sarà mica il nome di tua figlia?”

“Schwanden!!!”

“Se non so cosa succede, e quindi se è una storia seria o meno, non posso che scherzarci”

“Hai ragione. Ma finché non saprò quel nome non potrò parlarne. Se non salta fuori quel nome lo battezzo col mio.”

“Già, ma così ricomincerai l'autoanalisi e dubiterai della tua felicità. Credimi, hai scoperto “l'orto” proprio in un momento felice e senza dolori o particolare stanchezza. Hai toccato con mano, e continui a toccare, l'orto. Non l'hai sfiorato con il pensiero, non l'hai creato con la mente.”

“Può darsi, ma in passato certi pensieri lo hanno concimato.”

“Comunque, scusa, che differenza fa un nome, piuttosto che l'Innominato, visto che tanto lo vuoi annientare con la ruspa del pensiero?”

“Schwanden, capisco che la tua semplice realtà quotidiana contempla solo macchinari del genere per attuare demolizioni o cambiamenti sostanziali del terreno. Ma non conosci l'alchimia. Io non anniento con nessuna ruspa, ma trasformo le esperienze negative in esperienze di vita, le situazioni insostenibili in situazioni vivibili ...”

“Le figure di merda in figure da cioccolataio.”

“Cominci a capire, pur rimanendo terra terra! Il nome fa la differenza. Ad ogni nome la sua formula magica. Ad ogni piatto la sua ricetta. E non solo voglio sapere il suo nome, ma lo voglio sapere anche a tempo debito, prima che la formula diventi obsoleta o che scadano gli ingredienti. Infatti non puoi pretendere di cucinare un piatto, che sia almeno commestibile, se usi ingredienti avariati.”

“Già, e tu non sapendo quale piatto dovrai preparare hai fatto provviste di tutti i tipi.”

“Esattamente. Schwanden, se vuoi sopravvivere in questo sistema devi scegliere tra l'essere robot e essere alchimista. Il robot va avanti, per spirito di sacrificio. Al robot non importa essere felice, non se lo chiede nemmeno, il robot esegue, senza pensare. Il robot è molto utile alla società perché manda avanti il sistema. Basta solo lubrificarlo di tanto in tanto, e non cessa di funzionare.
L'alchimista procede con artificio. L'alchimista trasforma le cose e le situazioni in modo da renderle felici. L'alchimista osserva, pensa e valuta ciò che è necessario cambiare per migliorare. L'alchimista è molto utile alla società solo se la società lo riconosce e lo lascia fare. Ma se lo si comanda o si cerca di influenzarlo, l'alchimista diventa un ostacolo, se non un pericolo, perché si rifiuta di mandare avanti un sistema che egli vorrebbe modificare. E allora si ferma e smette di funzionare. Per sopravvivere, il robot si adatta al sistema mentre l'alchimista adatta il sistema nella maniera a lui più favorevole. Schwanden, se l'alchimia non dovesse più funzionare come ha sempre fatto, io non potrei mai essere un robot.”

“Ma così non sopravviveresti.”

“Tu sopravviveresti in un ambiente a te non adatto?”


mercoledì 6 luglio 2016

L' "orto"

“Schwanden, non hai idea di quanto mi stressi aspettare. Forse è anche per questo che sono sempre stata così indipendente e attiva ed è anche questa una delle ragioni per cui in Italia stavo male. In Italia l'attesa è patologica con conseguenze devastanti e spesso fatali, nel senso che attendere spesso vuol dire ottenere in un'altra vita, perché qualcuno ti passa sempre davanti. In UK l'attesa è fisiologica, normale, all'ordine del giorno, ma prima o poi arriva il tuo turno. In Svizzera l'attesa solitamente è breve, su qualsiasi cosa. Rende l'idea una lamentela sulla mia città natale scritta da un anonimo: ho letto tutto Guerra e Pace all'ufficio postale. A Zurigo semmai puoi leggere Ungaretti. Infatti entro all'ufficio postale, Mi illumino d'immenso ed eccomi servita e spedita a casa. “

“Cosa stai aspettando?”

“Che mi chiamino al telefono?”

“E chi dovrebbe cercarti?”

“Quando ero ragazzina aspettavo le telefonate dei morosi di turno. Allora non c'erano i cellulari. Mi piazzavo davanti alla “consolle” del telefono fisso oppure correvo dall'altra stanza urlando “rispondo io”. E dopo l'ennesima chiamata dell'ennesima zia a cui rispondevo all'ennesima alla enne volta in tono tra il seccato e il demoralizzato “Ti passo la mamma”, finalmente arrivava la chiamata per me. Col passare degli anni, aspettai le chiamate delle aziende a cui avevo inviato il curriculum vitae. Il cellulare sempre in mano o in tasca, in bagno, sul tavolo, sul letto. Nulla. Poi ad un certo punto squillava: gente che aveva trovato il mio numero chissà dove e mi chiamava per vendermi il vino, ma illudevano con dolo perché quando rispondevo mi interpellavano dicendo Dott.ssa ….. io dicevo “Sììì” tutta contenta e dopo che mi spiegavano il motivo della telefonata avrei voluto mandarli a vendemmiare. Le chiamate di lavoro prima o poi arrivavano. Ma spesso era già troppo tardi o mi trovavo in un luogo talmente rumoroso da far la figura di chi non capisce un categorico colloquio informativo. E adesso aspetto che chiami il medico per dirmi quali accertamenti devo fare prima di togliere cosa di preciso non so nemmeno io. Come cambiano le priorità! E non sono nemmeno così vecchia.”

“Non vuoi parlarne finché non sai esattamente di cosa si tratta?”

“Esatto. Ti posso soltanto dire che sto coltivando l'orto.”

“Eeeh?”

“Non ci metto nulla: solo acqua e sapone e crescono bene da soli e in fretta. E Proliferano. Li puoi toccare e persino vedere. Potrebbero essere i “frutti del male”, questo non lo so. Infatti sto coltivando linfonodi.”