giovedì 30 giugno 2016

La maledizione

Ricomincio dai pezzi scrissi quando tornai da Londra. Infatti pensavo di ricostruire, di cucire quei pezzi e ricominciare da lì. Ma mentre cercavo di ricostruire, ristrutturare, riprendere le relazioni con amici e parenti, ricollocarmi nel mondo del lavoro in piena crisi, cominciai a perdere i pezzi, fisicamente. Col senno di poi avrei intitolato il post Ricomincio a pezzi, ma ovviamente non avrei mai potuto saperlo. Fino a quel momento in vita mia non avevo mai subito anestesie, di nessun tipo. Ero sempre stata conscia di ciò che mi accadeva, di ciò che mi facevano, persino da ragazzina ubriaca. E invece la maledizione volle un'anestesia per ogni anno che passava dal mio rientro in Italia, concedendomi una dilazione iniziale di due mesi (persi la priorità acquisita in day hospital per il ricovero in reparto) che fece scattare il primo evento all'anno solare successivo. Già, la rea dell'autocontrollo, che ero stata in passato, subiva l'anestesia come legge del contrappasso. E la rea dell'anarchia subiva la reclusione ospedaliera come legge del contrappasso. Schwanden, sembra assurdo ma accadde proprio questo. A Londra non andai mai una volta dal medico di base, nemmeno per sceglierlo. Tornai in Italia e non mi bastò più andare neanche dallo specialista, necessitavo di un chirurgo. E così, fu la volta della cistifellea, due giorni di degenza in ospedale più uno di scherzo (non solo persi la priorità in day hospital, ma rimandarono l'intervento in reparto dopo una pre-anestesia, come raccontai). L'anno dopo, fu la sorpresa della bimba, anche se in effetti qui si parla più di creazione che di perdita di un pezzo, però richiese 23 giorni di degenza più il parto cesareo, dove appunto persi il privilegio del controllo, del parto attivo, seppur l'anestesia non fu totale. Poi fu la volta dei denti del giudizio, di cui non raccontai nulla perché non fu rilevante in sé, ma solo nel contesto di un piano “malefico”.
E emigrando qui, pensavo di sfuggire a questa legge, di sciogliere la maledizione. Pensavo fosse legata alla mia terra, alle mie origini, ma invece è legata proprio a me, alla mia vita, senza ieri, né domani. Schwanden, la maledizione non solo mi perseguita, ma fa parte di me.”

“Però, devo interpretare tutto questo come una descrizione poetica e solenne di tutta una serie di sfortunati eventi, meglio conosciuti come sfighe. Già, una teoria di sfighe diventa un piano maledetto. Sembra quasi che tu stia trovando una giustificazione alla sfortuna. Se non ti conoscessi, potrei pensare che tu sia assurdamente religiosa o superstiziosa.”

“Io aggiungerei anche picchiatella e fatalista.”

“Invece so bene che in fondo per te la Provvidenza agisce semmai come la mano invisibile di Adam Smith piuttosto che secondo il piano di qualsiasi legge biblica o del contrappasso.”

“La sfortuna di romanzo vestita, esattamente così. Questa è la mia risposta alle disavventure. Visto che la sfortuna appare sempre nuda, cruda, cieca, bieca, senza ragione né programma, senza nazione né cartogramma ho provato a vestirla, a darle una ragione, un senso, un piano e anche una nazione. Tuttavia resta internazionale e senza frontiere.”

“Però dimmi, se la maledizione ha avuto origine da quei pezzi ed è diventata parte di te seguendoti ovunque, mi chiedo quale pezzo ti stia domandando ora, o la tua è solo una paura?”

“Schwanden, ormai non ho più paura. Accetto tutto, qualsiasi cosa domandi, anche se l'istinto di avvalersi della facoltà di non rispondere senza dubbio c'è. Molti sostengono che contro una patologia si debba lottare. Questo è il lavoro di un medico, che lotta per una causa generica, e non per una singola persona. Per il paziente è diverso. Il medico ambisce a far funzionare il macchinario il più a lungo possibile, a qualsiasi condizione o costo. Al paziente invece importa che il macchinario lo porti almeno fin dove voleva arrivare e che il viaggio sia piacevole. Il medico guarda il macchinario dall'esterno. Il paziente ci viaggia dentro. Se un paziente lottasse contro la sua patologia, di fatto lotterebbe contro la sua stessa carne, contro i suoi stessi pezzi, contro la vettura che lo fa viaggiare. E invece se i pezzi sono malati, bisogna lasciarli andare se non si possono riparare, visto che non si può nemmeno cambiar vettura. E in ogni caso, anche se fossero sani, non bisognerebbe attaccarsi alla propria carne, non bisognerebbe attaccarsi a qualcosa che deperisce, che si usura. Un paziente deve lottare per non far scappare il sorriso, non la propria bocca. Un paziente deve lottare per continuare a percepire la vita con i cinque sensi e non per gli occhi, le mani, la lingua, le orecchie, il naso. I pezzi privi di sensibilità non sono altro che carne da chirurgo. La sensibilità non è nel corpo, ma nell'anima.”

“Senti, ma veniamo al dunque. Non credevo che la narrazione prendesse questa svolta.”

“Non lo credevo nemmeno io. Volevo parlarti ancora degli svizzeri, ma ho dovuto rivedere la scaletta.”

“Perché? Cosa è successo? Puoi dirmi quale sarà il prossimo pezzo a cui dovrai rinunciare?”



sabato 25 giugno 2016

L'eredità

“Schwanden, quando chiedi ad un bambino cosa vuol far da grande, il bambino ti dà la risposta definitiva per l'adulto felice che diventerebbe. Eppure non lo stai ad ascoltare. Ridacchi e pensi che cambierà idea cento volte prima di decidere. In realtà è l'adulto che fa cambiare cento volte idea al bambino finché egli non si uniforma e dà una risposta sensata per la società e il mercato del lavoro.
Eppure io avevo già capito tutto da bambina della scuola elementare. Avevo già capito che il mio talento era la scrittura creativa e non la matematica. Avevo già capito che un lavoro e una vita ordinaria non erano congeniali al mio essere. Avevo già capito che ero una ribelle. Però mi confondevano le ottime valutazioni scolastiche che ricevevo in tutte le materie. E allora studiai ciò che era più richiesto, ignorando il fatto che a ciò che richiedevano dovevo dare io una risposta e forse non ero la persona più adatta a farlo. Ne ho già parlato. Non voglio ripetere.
Ti dico solo che se avessi studiato ciò che meglio valorizza il mio talento, magari sarei disoccupata lo stesso, ma perlomeno forse saprei come muovermi per uscirne, conoscerei meglio il settore e chi ci lavora. Invece conosco solo gente che ha fatto carriera nel settore che ho volontariamente abbandonato dopo la laurea e gente che continua come ricercatore nel settore da cui sono uscita per maternità. Schwanden, ho smesso di far statistica, e non ne ho sentito la mancanza. Ho smesso di scrivere e mi son sentita privata di tutto.
A volte mi sento fallita. Tutti i titoli che posseggo non solo non mi fruttano interessi, ma hanno pure perso il loro valore. Schwanden, non c'è peggior gestore finanziario di colui a cui non interessa il denaro.”

“La parola giusta è ribelle e non fallita, intanto. Non hai fallito come professionista, ma ti sei ribellata ai modi e alle condizioni imposte alla professione. Hai solo detto che non era l'ideale per te e ti sei dileguata. E' vero che fai fatica a trovare impiego perché sei anticonformista e non riesci a fingere di esser diversa, ma è anche vero che una volta assunta non hai mai deluso nessuno, a parte per la tua indisposizione ad essere asservita. Penso che potrebbero assumerti anche in Svizzera se tu lo volessi. Ma poiché preferisci un lavoro nel “sociale”, ma non hai la qualifica, allora ti impieghi a casa, auto-remunerandoti, e ti prendi cura di tua figlia. Penso che sei molto fortunata. Quello che ti sto offrendo qui davanti ai tuoi occhi è un paradiso.”

“Schwanden lo so, io mi sento in pace qui.”

“E allora, cos'è che non va?”

“Schwanden, quando mi chiedono cos'è che non va, la prima risposta che sarei tentata di dare è: tutto. Sono io che non vado: ho un pessimo carattere, il portamento “alticcio” e la bassa statura, non seguo le mode, i luoghi comuni, non mi piace fare shopping, sono trasandata, e quando mi vesto elegante appaio lo stesso come uno sputo in un occhio conformista, parlo poco o troppo a seconda delle situazioni, non so fingere, non guardo le vetrine, non sono aggiornata sulle offerte commerciali o sulle notizie che interessano la massa …
Schwanden, alla luce di queste considerazioni, alla domanda cos'è che non va però ti rispondo “nulla”. Schwanden, cos'è che deve andare e dove deve andare? Chi dice che dovrei essere diversa? Altrimenti non sarei io, altrimenti non vivrei la mia vita, ma un'altra vita. Anche se fossi malata la risposta sarebbe comunque che nulla non va. Già, chi dice che bisogna essere sani per poter vivere? Chi dice che deve andare sempre tutto bene? Chi dice che dobbiamo evitare di soffrire? Le giornate alla fine trascorrono lo stesso. A volte una sofferenza temporanea ti arricchisce di più nell'animo rispetto alla monotonia quotidiana. Si chiama vita. Certo, malattia, sofferenza, imprevisti sono tutte cose che ci distraggono dalla routine, che riducono la produttività e ci allontanano dal lavoro. Ma vivere non vuol dire essere sempre operativi, efficienti. Non siamo macchine sempre in funzione anche se accese. E poi la vita è come ricevere un'eredità. Se l'accetti, ti accolli sia i crediti che i debiti, le attività e le passività. Ci sono eredità più fortunate, altre meno, più corpose o più magre. Ma cosa importa? Ciò che abbiamo è ciò che dobbiamo valorizzare. E' la nostra vita e dobbiamo farne tesoro. Paghiamo i debiti e riscuotiamo i crediti perché riceviamo il tutto, ne diventiamo padroni e quindi responsabili. Ne assumiamo i rischi e ne godiamo i frutti. Se ricevessimo soltanto una parte, un legato, un bene, è come se qualcuno ci donasse solo un bel giorno di vita. Un bel ricordo, certo, ma nulla più. E invece no. Subiamo le sofferenze, ma possiamo ridere oggi e continuare a farlo domani. Paghiamo i debiti, per garantirci la continuità.”

“Sei sempre la solita ragioniera in fin dei conti.”

“Cerco di dare giustificazione filosofica ai miei studi.” 

“Quindi sei contenta della tua eredità, della situazione familiare svantaggiata da cui sei partita? Dei valori che ti ha trasmesso?”

“Certamente, anche se da quando son ritornata da Londra sembra che dietro l'accettazione di questa eredità ci sia una maledizione.”

“Una maledizione? Sei la reincarnazione di Bordel?”

“Schwanden, ti riferisci alla male-dizione di Baudelaire, il poeta maledetto? Se fai lo spiritoso, faccio la tua male-dizione o la tua storpiatura, ti faccio prima oscillare in Schwangen (che in tedesco vuol dire oscillato) e poi in Schwanger (in tedesco incinta) e ti faccio partorire un bel boschetto.”

“A parte gli scherzi e i giochi di parole, che cosa sarebbe questa maledizione?”


domenica 19 giugno 2016

Il bus

“A che punto sei col tedesco?”

“Chiedilo a lui.”

“Aaah intendevo la lingua, il linguaggio tedesco.”

“Schwanden, adesso comincio a capire cosa c'è scritto quando leggo qualcosa e anche quando parlano. Ma siamo a basso livello. E poi lo svizzero tedesco è come se fosse un dialetto e quindi diciamo che ho ancora l'impressione di non capire un accidente che non sia il mio. E la cosa che più mi fa star peggio è non capire i bambini quando mi parlano. Però è incredibile come le persone siano flessibili. Passano da una lingua all'altra senza problema. A volte pongo semplici domande in tedesco. E allora mi rispondono in inglese o in italiano, se lo sanno. Invece se inizio a parlare in inglese spesso mi chiedono, un po' preoccupati se conosco altre lingue. Allora rispondo “italiano” e, se lo sanno, preferiscono. Schwanden, fa quasi impressione vedere quanta gente parla italiano, nonostante abbiano ben poco in comune con la mentalità italiana. E' incredibile come qua l'Italia sia così lontana, seppur così vicina.
E comunque non voglio più tornarci. Tutte le volte che mi innervosisco è colpa di faccende ancora aperte in Italia che mi guastano le giornate. Sto quasi diventando intollerante. Qua la gente si comporta, agisce senza che tu debba sollecitarla. In Italia devi fare ventimila solleciti e ancora non ottieni nulla. Non voglio fare l'elenco delle cose che non vanno in Italia. Faccio solo l'esempio del bus.”

“Si possono capire molte cose osservando i sistemi di trasporto.”

“Il fatto che qua i mezzi di trasporto pubblici siano sempre puntuali non è un luogo comune. Ma sai perché? Perché non solo dal capolinea non si sgarra, ma nemmeno a qualsiasi fermata. Se in lontananza si vedono la vecchietta, la signorina appariscente o anche una persona che ha difficoltà motorie, trafelati per cercare di non perdere il bus, non li si aspetta. Non si aspetta nessuno. Se c'è un orario da rispettare niente eccezioni. Per colpa di una sola persona un intero bus potrebbe arrivare in ritardo. Perché se aspetti qualcuno ad una fermata, potresti perdere il semaforo e poi se ci si ferma una volta è facile che anche alla fermata dopo si ripresenti la stessa situazione. E allora per evitare disuguaglianze, non ci si ferma per nessuno. L'orario è quello. La vecchietta e il signore prenderanno il bus che passa dopo (non aspetteranno neanche tanto). D'altronde nessuno può pretendere che persone in difficoltà arrivino sempre puntuali e poi, probabilmente, non hanno impegni di lavoro. Per la bella signora? In effetti se devi guidare (e sei uomo o attratto dalle donne) meglio evitare di distrarsi. E così tutti arrivano puntuali. 
L'Italia è invece un bus che, per aspettare tutti, alla fine non arriva da nessuna parte. E che pretese che ha il singolo passeggero! L'autista deve aspettare, ma poi si lamentano che non arriva in orario. Però prima di salire era più importante che quella singola persona non perdesse il bus piuttosto che l'intero bus arrivasse in orario. Sarà anche vero che magari l'autista si adagia al capolinea. Ma è proprio perché ognuno ha una visione molto egoistica del servizio che l'autista si adegua. E poi che motivazione avrebbe un autista a partire in orario dal capolinea se tanto sa che non arriverà in orario perché costretto a fermarsi e aspettare i ritardatari? E così è un circolo vizioso. Io aspetto, tu aspetti. Io pretendo, tu pretendi. Se si fissa un orario è bene che decida l'orario e non la persona. 
Allora sarebbe bello buttar via gli orologi e non aver orari. Ma allora non usiamo più i badge al lavoro. Non fissiamo più nessuna scadenza. Non prendiamo più nessun impegno e viviamo così alla giornata. Andrebbe bene in un'altra società, con un'altra organizzazione. Ma in una realtà dove si fissano regole, orari, scadenze un atteggiamento come quello che si ha in Italia non porta da nessuna parte. Che senso ha scrivere le regole se poi ogni volta il singolo caso può essere l'eccezione? 
Non si può pretendere giustizia se non si è imparziali. Non si può pretendere giustizia se c'è omertà con chi sgarra. Il bus è la metafora di come viaggia il sistema. 
Anche in riunioni, incontri, lezioni … si tende ad aspettare sempre i ritardatari. Ma perché? Perché si pensa sia educazione aspettare tutti, quando invece sarebbe educazione rispettare l'orario? E poi, diciamolo, se a te non interessa l'inizio della riunione, perché arrivi in ritardo, ti fanno ancora sentire desiderato.
Tornando al discorso stradale, inversa è la situazione del traffico automobilistico. In Svizzera il pedone ha sempre ragione. L'autista si ferma ancora prima che metti il piede fuori dal marciapiede e ti lascia passare indipendentemente da chi tu sia: un baldo giovane, un anziano signore con deambulatore, una bella donna … Lo stesso accade anche se ti butti in mezzo alla strada o passi senza guardare: l'autista deve fermarsi.
In Italia invece gli automobilisti sono i padroni della strada. Guai a non farli passare. Se non ti mettono sotto, ti stordiscono col clacson.
Inoltre qua la gente del vicinato e quelli che incontri per la strada ti tengono d'occhio non per farsi gli affari tuoi a vanvera, come in Italia, ma per controllare che non sgarri e se fai qualcosa che non va te lo dicono apertamente e con aria severa. 
In Italia se fai qualcosa di sbagliato lo sanno tutti, tutti stanno zitti tu continui indisturbato e ti salutano pure (se sei uno che incute timore). 
Schwanden, qui non vedi la polizia in ogni angolo, vedi la gente che ti osserva e che si attiva se c'è da far qualcosa. Per questo per la strada quando cammini ti sembra di vedere persone attente, non gente che procede parlando al telefono o fissando un display. A questo, devo dire, che sono piuttosto estranea, visto che ho la testa sempre sulle nuvole dei miei pensieri e non mi interessa osservare gli altri per fare il carabiniere. Invece in Italia ero spesso stressata quando vedevo tanta gente accalcarsi per timore che sparisse qualcosa dalla borsa o che qualcuno non rispettasse il proprio turno nella coda che facevo. Perché se non tollero la falsità, figuriamoci la truffa. 
E in caso di controversie, se sei dalla parte della legge in Italia stai fresco, mentre qui stai tranquillo.”

“Però hai sempre le tue utopie.”

“L'Italia si è verificato un luogo non adatto né a me né ad esse. Gli Italiani sono molto simpatici, sono persone di cuore, sono tutti amici finché non sono davanti ad una mazzetta di denaro. A quel punto si scannano a vicenda per accaparrarsi il bottino. L'ho visto fare tra parenti, eppure si erano tanto amati. Certo non sono tutti così per fortuna, ma conosco poche eccezioni.
Qui magari non sembrano così simpatici, sono piuttosto rigidi, ognuno ha le proprie cose che l'altro rispetta, ma se sono davanti ad un bottino sono in grado di dividerselo equamente.”

“Certo, tu sogni anche una realtà libera dal denaro, dalla proprietà, dall'odio, libera in generale da tutto … Tu sogni troppo.”

“Lo so. E infatti non mi aspetto di trovare una realtà così, ma di sicuro un passo avanti l'ho fatto. Mi son liberata dall'inquinamento della mia città.”

“Già, qui è tutto più verde, ma in compenso c'è il rischio nucleare. Qui sono pacifisti, ma il servizio di leva è obbligatorio. Qui non mettono i lucchetti agli oggetti di valore, ma in compenso stipulano assicurazioni.”

“Qui son tutti felici e poi si suicidano. Schwanden, a parte le esagerazioni e le contraddizioni, che comunque ogni luogo ha, ciò che volevo adesso ce l'ho.”

“Un posto dove morire tranquilla?”

“Schwanden, prima di morire si vive.”

“Già. E pensi di continuare a vivere giocando con tua figlia tutto il giorno?”

“Ti riferisci al lavoro retribuito? Lo so. Guarda che mi ero già posta la questione diverse volte. Sinceramente, non saprei se qua apprezzerebbero la mia personalità, aldilà del curriculum professionale. E devo dire che se non avessi la bambina da accudire e il mio compagno non avesse un signor lavoro, senza occupazione stabile non mi avrebbero mai permesso di risiedere.”

“E allora? Non puoi non avere obiettivi.”

“Schwanden, ne riparliamo in futuro perché adesso ho altre priorità.”

“Altre priorità? E cosa viene prima dei tuoi obiettivi? 


domenica 12 giugno 2016

La manifestazione

“Schwanden, se fossi malata chiederei a chi mi conosce di partecipare ad una manifestazione.”

“Manifestazione? Di cosa?”

“Vedi, ho sempre sognato di poter entrare nella testa degli altri e vedere con i loro occhi, capire cosa pensano veramente, vivere la loro realtà. E il modo migliore di farlo sarebbe chiedere a chi mi conosce di scrivere cosa pensa realmente di me. Ormai non temo il giudizio di nessuno e quindi non soffrirei se sentissi insulti o parolacce, ma potrei capire molte cose, avere una visione più grande del mondo, o almeno del pezzo di mondo che meglio conosco, il mio.”

“Beh, non mi sembra una richiesta impossibile.”

“La difficoltà sta nel confessare la realtà. Se sai che una persona è malata allora la compassione ti porta a vedere qualità positive immaginarie al punto di arrivare a dire che il moribondo è lo spirito santo in terra.”

“In un certo senso lo è.”

“OK, Schwanden, ma io voglio la spietata verità che vedono gli altri quotidianamente.”

“E allora preferiresti che dicessero che sei una stronza che merita di morire?”

“Se è ciò che pensano veramente, sì. Mi farebbe capire meglio le persone, in base a come mi vedono veramente. Non le giudicherei, ma le guarderei per ciò che vedono in me.”

“Non capisco questa tua ricerca di crudeltà.”

“Ho sempre ambito a capire chi è veramente l'uomo.”

“Ti piacciono i lupi?”

“Schwanden, se vuoi essere identificato e riconosciuto dagli altri, devi chiedere il documento di identità da esibire, non il santino da tenere in borsa. Sai che ho sempre odiato l'indicazione della statura nella carta di identità, ma col passare degli anni mi son resa conto che è inevitabile scontrarsi con i propri centimetri.”

“Già. E hai anche smesso di indossare i tacchi.”

“Giusto. Se vuoi essere portatrice di verità, devi esibirla e devi inseguirla. Per questo chiederei agli altri di potermi aiutare e la malattia sarebbe un'occasione da sfruttare.”

“Quindi vorresti essere malata per avere quella strana occasione?”

“No, Schwanden!! La strana occasione, o meglio la manifestazione, sarebbe la mia risposta.”

“La tua risposta a cosa?”

“Alla malattia.”

“Perché stai affrontando questo argomento?”

“Schwanden, la vita è come un compito in classe. Per superarlo, devi preparare le risposte da dare alle domande che usciranno nel test. Non sapendo quale sia il prossimo quesito, mi preparo su tutto.”

“Sei sempre la solita secchiona.”

“Odio quel termine, ma se è la verità che sostiene qualcuno, ben venga.”

“Comunque, volevo dire, stai studiando troppo per questo “test” e lo sai bene che in passato l'overdose di studio ti ha fatto male.”

“In passato mi ha fatto male perché ero ossessionata dalla competizione e dalla valutazione dell'insegnante. Adesso valuto io se ho dato la risposta corretta alla domanda che mi è stata posta.”

“Quindi la vita è un compito in classe che devi autovalutare?”

“Se fai il test rispondendo come gli altri si aspettano, prima o poi odierai l'esame e studiare ti sembrerà una tortura esistenziale. Perciò è l'autovalutazione che ti fa amare il test e quindi la vita.”

“Non hai mai desiderato conoscere in anticipo le domande di un esame, ti sono sempre piaciuti l'imprevisto e la sfida che ti propone.”

“Esattamente.”

“Quello che forse dovresti chiarire è come l'opinione vera degli altri arricchirebbe la tua prospettiva sul mondo e ti renderebbe una persona migliore.”

“Ti faccio un esempio. Se un medico dice ad un paziente: “Non credo che il suo caso sia un tumore, ma per esserne sicuri dobbiamo procedere con una biopsia”, secondo te, quale verità nasconde la frase?”

“Decide la biopsia.”

“Ecco Schwanden è questa la realtà che la maggior parte delle persone vede: decide il fato, la scienza o qualcun altro. Ma esistono altre realtà alle quali ci si può soffermare e di conseguenza scegliere come linee guida per rispondere alla domanda: “sono malato?” e quindi: 1) Non credo sia tumore. Se si sceglie questa visione si rimane positivi e quindi si dà una risposta costruttiva. 2) Non posso essere sicuro di essere sano. Quindi vivo nella paura, nel terrore della malattia dando una risposta che propaga negatività. 3) La biopsia, oddio. Non voglio farla. Meglio non sapere. Questa è la realtà di chi vuol nascondere la realtà.”

“E allora se ti dicessero ciò che pensano di te ti aiuterebbe a sentirti più sana?”

“In un certo senso, sì, mi aiuterebbe a percepire me stessa con il senso degli altri. E un po' guarirei. E poi un malato ha diritto di sapere, no? E la conoscenza è una forma di cura.”

“Anche un sano però avrebbe diritto a sapere.”

“Infatti, ma sai, si dà precedenza al diritto del malato. E' un mondo che preferisce curare piuttosto che prevenire.”

sabato 11 giugno 2016

Lo straniero

Lo straniero è lo specchio del locale.
Un riflesso allegro, in un paese gioviale.
Un'immagine trasparente, in un paese leale.
Uno sguardo congelato, in un paese glaciale.
Un'ombra cinese, in un paese teatrale.
Un losco spettro, in un paese criminale.

A volte penso a tutti quelli che danno la colpa agli stranieri quando in un paese le cose vanno male. Molto probabilmente queste persone ignorano cosa vuol dire essere stranieri. Molto probabilmente queste persone non sono mai uscite dal loro quartiere. Molto probabilmente queste persone parlano per luoghi comuni e hanno scarsa capacità di immaginazione e comprensione.
Perché se avessero provato l'esperienza di essere stranieri, di trasferirsi in un paese diverso dalla loro patria allora saprebbero perfettamente che lo straniero, solitamente, non si trasferisce per rubare, ma per cercare una nuova casa, una nuova vita, una nuova possibilità. Pertanto ciò che tenta di fare è integrarsi: parlare la lingua locale, rispettare le abitudini e le leggi del posto.
Lo straniero impara le regole locali principalmente osservando il comportamento degli abitanti del luogo, non leggendo il codice civile. Se una persona, di qualsiasi nazionalità, vede che la strada è pulita, non vorrà mica farsi notare essendo il primo a sporcarla. Se lo facesse si sentirebbe diverso, oltre a rischiare una sanzione pecuniaria. Ma ciò che teme di più uno straniero è essere segnalato come tale dall'indice del cittadino locale o dal suo sguardo minaccioso.
Se nel paese ospitante le auto si fermano per far passare i pedoni, a prescindere dalla nazionalità, qualsiasi straniero, se vorrà guidare, prima o poi diventerà un autista disciplinato.
Qualsiasi persona, se vuol mangiare, anticiperà gli orari dei pasti se i ristoranti e i negozi alimentari chiudono prima.
Quindi se vedete che uno straniero sporca le strade, blocca il traffico, non paga le tasse, si comporta da criminale, forse ha imparato a farlo dagli abitanti dal luogo, forse ha capito che lì può fare tutto questo, indisturbato, perché lo ha visto fare dagli abitanti locali.
Lo straniero è come uno specchio. Riflette l'immagine del paese. Ma è anche come un bambino che segue l'esempio degli adulti da cui vuole imparare.
Se così non fosse, non si spiegherebbe come mai gli stranieri che vanno in Svizzera si comportano diversamente dagli stranieri che vanno in Italia, pur provenendo dalla stessa nazione.
E se il paese attira malintenzionati, non è certo colpa degli stranieri, ma del paese che offre casa alle male - intenzioni. 


sabato 4 giugno 2016

Altalene

Altalene, scivoli, dondoli, sabbionaie. Uno ogni due isolati di case. Nella zona non ci sono grossi condomini, ma case, o meglio ville, di non più di tre piani, tutte circondate da verde. Mia figlia sa perfettamente come muoversi, come arrivare ad ogni singolo gioco. Mi lascio guidare da lei. Anche in Italia la portavo al parco pubblico. Lei gradiva, così come gradiva camminare o stare all'aria aperta, ma senza dimostrare preferenza. Adesso invece esprime volontà. Non vuole camminare se non per raggiungere i giochi. Vuole andare sullo scivolo, sull'altalena, passando per il dondolo, vuole arrampicarsi sulle corde, salire le scale a pioli o a gradini, guardare il cielo, toccar le foglie, camminar sull'erba, toccar la sabbia, toccare l'acqua. 

A casa è impossibile stare. Ci fosse anche un intero Luna Park o una ludoteca in casa non sarebbe la stessa cosa. La scoperta del nuovo, il cammino per raggiungere l'obiettivo, il tempo atmosferico, la flora, la fauna e i bambini sempre diversi anche se il cortile è sempre quello e le persone pure. Comprare i giochi serve quasi a nulla ed è uno spreco di denaro. Subito la novità, poi l'abbandono. Ma soprattutto il bambino vuole te. Se vuoi che giochi devi giocare con lui. Da solo non gioca, o almeno mia figlia è così. Magari quando sarà più grande giocherà anche da sola, ma adesso no. E allora usciamo. Altalene, scivoli, dondoli sabbionaia. 

E quando piove o ci stanchiamo del parco giochi? Frequentiamo i centri di incontro per bambini e genitori. Lì giocare è sempre una scoperta. Lì si incontra altra gente. Mia figlia condivide spazio, gioco, esperienza con altri bambini, anche se non si parlano, non si conoscono. Lì impara ad aspettare e rispettare gli altri. Se vede che un gioco è in mano ad un altro bambino aspetta, osservando finché il bambino non lo lascia e allora lo prende. Lì può scegliere liberamente quale gioco prendere prima senza che io glielo propongo. Lì impara a rimettere le cose a posto, come le aveva trovate e a non voler possedere nulla, ma a lasciarle senza piangere. Lì non piange se qualcun altro prende un oggetto che prima aveva in mano. Lì si rende conto che ad un certo punto deve andare a casa perché ha fame o perché vuole riposare. Ma è importante lasciare che manifesti quando è stanca, quando ha giocato a sufficienza. Se provo a forzare i tempi, ad accelerare, fa i capricci, urla e non vuol muoversi da lì. Se la tengo più del necessario diventa impaziente, prende le scarpe, la giacca e si dirige verso l'uscita.
Impara tutto da sola, osservando, sbagliando e riprovando. Se cerco di correggerla si infastidisce. E allora mi limito solo a rifarle vedere tante volte come si fa una cosa senza prenderle la mano e forzare i suoi movimenti. 

A parte il fatto che anche io mi annoio a casa, visto che non mi lascia fare molto, la incentivo a trascorrere il tempo fuori, a frequentare i luoghi pubblici a investire se c'è un costo da pagare per fare delle attività adatte a lei piuttosto che comprarle qualcosa. Anche in Italia frequentavo centri simili, ma non quotidianamente, perché mi sembrava prematuro visto come interagiva lei, seppure avesse l'età indicata. Aveva bisogno infatti di mangiare spesso e riposare di più. E non reggeva se non la portavo al momento giusto. Pertanto era difficile per me organizzarmi.
Ora invece è vigile, capisce dove la porto, indica dove vuole andare.

Credo che la Svizzera sia uno dei posti migliori per un bambino. Area giochi in ogni isolato, bambini a volontà, strade pulite, sicure, tanto verde e molto più tempo con i genitori. Devo notare infatti che quando portavo mia figlia al parco o al centro gioco in Italia durante i giorni feriali ero spesso l'unica madre italiana che accompagnava una bambina di più di sei mesi. Gli altri bambini, se non avevano genitori stranieri erano accompagnati dai nonni. Qui invece mi solleva vedere che i figli son cresciuti non solo dalle madri, ma anche dai padri che accompagnano i figli a giocare anche in giorni feriali. Tuttavia ho sentito che qui non è molto facile trovare posto in un asilo nido. Benché ci siano diversi servizi, ci sono lunghe liste di attesa. Inoltre, a parte il costo elevato, la disponibilità di orario spesso non è molto congeniale alle esigenze di chi lavora a tempo pieno. Qui la scuola dell'obbligo inizia a quattro anni, ma devo ancora informarmi meglio sul sistema, anche se sembra piuttosto rigido e classista.

Per il momento non mi preoccupo di tutte queste questioni. Mi chiedo solo come facciano i bambini ad essere così disciplinati. Non si spingono, non si rubano i giochi tra di loro, non si mettono le mani addosso, sono composti, non urlano sguaiatamente. In compenso non esagerano con i sorrisi. Quando mia figlia vede un bambino cerca il contatto, lo saluta con entusiasmo. Ma spesso si trova davanti uno sguardo dubbioso e un bambino che la evita allontanandosi. Come mai? Eppure gli svizzeri adulti parlano con gli estranei e non mi sembrano per nulla scontrosi. Un giorno, chiacchierando, in inglese, con un'educatrice del centro bambini azzardai investigare la questione della disciplina. Mi rispose: “Children need limits” (i bambini hanno bisogno di limiti) “they can do anything until you say STOP” (possono fare qualsiasi cosa finché non dici basta). Interessante risposta, anche se necessiterebbe di un'analisi più approfondita.

In generale, vivere qua sembra quasi un paradiso: nessuno che stressa, nessuno che aggredisce, che ruba, che truffa, che chiede soldi, che fa il furbo, sei in mezzo alla natura, i bambini crescono in un ambiente sano, pulito, civile dove viene insegnato il rispetto degli altri e delle regole per il quieto vivere. Eppure ci sono degli aspetti contraddittori, dei lati di questo paese che mi sono in parte ancora oscuri. Per esempio, secondo le statistiche, è il secondo paese “più felice” del mondo. Tuttavia è anche uno dei paesi con il più elevato tasso di suicidio.