lunedì 22 ottobre 2018

Not Business to Business

Solo chi investe denaro può cambiare il mondo. Ogni filosofia è fantastica, ma alla fine ciò che consente di poter cambiare è la disponibilità economica.
Se puoi cambiare mestiere significa che puoi permetterti di acquisire altra formazione. Se puoi cambiare atteggiamento, significa che non sei schiavo delle abitudini, delle contingenze. E non avere abitudini costa, non solo in termini sociali, ma anche economici. È inutile negarlo. Tuttavia, non bastano i soldi a cambiare il mondo. I soldi non sono nulla senza una buona strategia di investimento.
Teoricamente, una persona sconosciuta potrebbe, con il suo talento o con il suo esempio, cambiare il mondo, diventando famoso tramite il passaparola e venire da tutti emulato. Di fatto, è praticamente impossibile. Ormai, si vive in rete, dove tutti hanno la possibilità di farsi vedere, ma paradossalmente, nessuna visibilità. Si è persino arrivati ad un punto che non si è nemmeno visibili fisicamente, per la strada, perché tutti hanno sempre e solo lo sguardo rivolto a quello schermo. Per essere visibile in rete, devi investire una quantità notevole di risorse, traducibili in denaro. Perciò, dare un contributo alla società, significa far soldi e investirli nel cambiamento. Qualsiasi impresa, anche non a scopo di lucro, deve sempre reperire soldi.
Non cambierai mai il mondo con un blog, a meno che non diventi virale. Avresti bisogno di troppe persone che ti apprezzano, che ti seguono e che seguano il tuo esempio.”

Schwanden, i soldi possono portare i fan, gli ammiratori. Ma una teoria di credenti, non significa necessariamente una teoria di praticanti.“

Allora, se vuoi i praticanti, gli esecutori, devi far politica e anche lì serve il gruzzolo.”

Schwanden, puoi avere tanti soldi, governare e farti obbedire, ma in politica il denaro crea solo praticanti e non credenti.”

La tua mania della sostanza non ti conduce da nessuna parte. In fondo non è reale ciò che è reale, ma ciò che appare reale. E i soldi rendono tutto reale.”

L'apparenza non conduce ad un vero cambiamento, ma ne è solo un abbaglio. E prima o poi se ne scopre il trucco.”

E allora viviti la tua vita di sostanza senza alcuna visibilità.”

Stupefacente.”

Per quella sostanza ti serve tanto denaro.”

Schwanden!! Se io oggi dono 500 € ad un poveraccio, che vive ogni giorno di ciò che trova e che consuma, credi che egli sia capace di mettere da parte quei soldi? Niente affatto. Cercherà di spendere il denaro il più velocemente possibile, perché non è avvezzo ad un avanzo di soldi da risparmiare, e tornerà presto alla sua vita di prima, a cui è abituato. Infatti chi vive senza soldi, non concepisce una vita con i soldi, a meno che non diventi consapevole di questa possibilità. In questo caso, egli saprà esattamente come trarre giovamento dal denaro, una volta ricevuto. Il denaro può essere un input, ma se non sei recettivo o non ne sei consapevole, l'input non porterà a nessun output.
D'altro canto, se doni soldi ad una persona che è abituata a risparmiare, non lo induci a spendere solo perché adesso ha più soldi a disposizione. Egli è abituato ad accumulare e non a spendere, e quindi terrà da parte anche quel denaro perché non conosce alternativa.“

Considera che è solo una questione quantitativa. Oltre una certa soglia di denaro, il povero non sarà più povero e l'accumulatore inizierà a spendere, rischiando di non essere più ricco. Ed ecco il cambiamento, in concreto. Cosa importa di ciò che accade dentro le loro teste? Se per te il cambiamento è qualcosa di intangibile, di fatto non sei lontano dall'apparenza, visto che non lo puoi toccare con mano.”

Schwanden, la maggior parte delle persone esamina solo gli effetti. A me interessano le cause.”

Chi studia il mondo non può viverlo. Puoi studiare il passato, ma non il presente. Ciò che leggi oggi, domani non è più attualità, ma storia. E allora puoi analizzarlo. Infatti oggi puoi vedere soltanto gli effetti, domani capirne le cause. Cercare le cause significa guardare al passato per migliorare il futuro. Se vivi il presente, non ti importa del domani, e quindi delle cause. Se vivi il presente, ti preme solo l'apparenza, perché l'apparenza non si cura del futuro. Ma tu nel futuro non esisterai.”

E' vero, ma non voglio vivere nell'abbaglio dell'apparenza.”

Ma vuoi far qualcosa per cambiare le cose.”

Già, solo che ci sono troppe cose da cambiare. In Italia ci ho provato, ma nell'ultimo periodo ho avuto la sensazione di essere in un posto dove ciò che preme, in qualsiasi ambito lavorativo e no, è sopravvivere. Quindi, come si può investire tempo e denaro nel poter migliorare qualcosa se la gente si preoccupa solo di poter andare avanti esattamente allo stesso modo? E' l'analogo dell'esempio di prima, di donare dei soldi ad uno che vive di espedienti sperando che metta da parte il denaro per cambiare vita. D'altro canto anche qua in Svizzera trovo difficile apportare un cambiamento. Qua si ragiona per efficienza, per profitto. Se proponi qualcosa che sia più efficace, ma più costoso in termini di tempo e denaro, e quindi meno efficiente e incerto negli introiti, difficilmente qualcuno lo terrà in considerazione. A nessuno interessa cambiare se ognuno crede di vivere in un mondo dove tutto funziona. Anche in questo caso, l'importante è andare avanti esattamente allo stesso modo che funziona, non importa se esistono altre possibilità migliori o diverse. Il ricco e il povero, in fondo si comportano allo stesso modo. Lo stress di non scendere sotto il livello di sopravvivenza l'uno, e sotto il vertice l'altro, li rende ciechi, non vedenti ogni altra possibilità. Li compatisco entrambi, come compatisco me stessa, in passato, quando miravo soltanto all'eccellenza scolastica e accademica.”

Però la sostanza ti rende cieca, non vedente l'apparire.”

L'apparenza, vuoi dire. Di fatto credo di poter veder oltre.”

Ma ciò ti rende cieca, o meglio sorda, al suono del denaro.”

Non è mai stato il mio obiettivo di vita.”

E allora cambiare il mondo non sarà mai il tuo obiettivo di vita. Tu di fatto non vuoi cambiare le cose, ma solo introdurre consapevolezza.”

E ti pare poco? È dalla consapevolezza che viene generato il cambiamento.”

Secondo me fai più danno alla società, per esempio, se fai in modo che le persone smettano di lavorare perché acquisiscono la consapevolezza di essere sfruttate, piuttosto che dare lavoro a tante persone che non si sentono affatto sfruttate.”

Schwanden, solo se le persone sfruttate ne prendono consapevolezza, le loro condizioni di vita potranno cambiare in senso a loro favorevole. Analogamente, un altro esempio, è l'inizio della guarigione, dal momento che si diventa consapevoli che una malattia è dovuta al proprio errato stile di vita. La consapevolezza però non è solo semplice conoscenza, ma è presa di coscienza.”

In ogni caso potresti creare tu una realtà dove la gente non venga sfruttata. Ci sono molte aziende così.”

Già, ma un'azienda, deve far fronte alla concorrenza. Si può partire avendo tutte le buone intenzioni, ma di fronte allo stress di sopravvivere, o di mantenere la posizione al top, si diventa ciechi, perdendo di vista i propri ideali. Anche se non si sfrutta nessuno, si resta comunque abbagliato dalla luce competitiva. Non vorrei percorrere quella strada, ma mi rendo conto che qua in Svizzera la sanità è un business. Lo sai, Schwanden, del progetto che ho in mente per cercare di migliorare perlomeno il rapporto umano tra paziente e medico. L'unico modo per conseguirlo, sarebbe quello di convincere i dottori che aumentando la comprensione del paziente di fatto aumenta il loro profitto. Perché, effettivamente, se un paziente non viene capito si rivolgerà ad un altro dottore. La questione, Schwanden, è la seguente: ha senso fare business, al fine di seguire i propri ideali, pur non essendo business-oriented?”

Forse no, ma non dubito che potresti cavartela. Credevi che le materie quantitative fossero lontane dalla tua predisposizione e intanto hai un dottorato in statistica e matematica applicata e continuano a pagarti per le tue analisi e richiedere la tua consulenza. Credevi che la famiglia fosse lungi dalla tua natura indipendente e hai una figlia che abbracci e sbaciucchi in continuazione. Non mi stupirebbe se riuscissi pure a fare business. La vita è piena di contraddizioni ...”

Schwanden, non sono io ad avere contraddizioni. È soltanto che non mi pongo nessun limite e di fatto non rientro in nessuno schema predefinito. Ma ciò che indirizza le mie scelte sono i miei valori. E in effetti le mie scelte, formative, professionali e familiari, sono state dettate non dai miei impulsi e forse nemmeno dalle mie vere inclinazioni, ma anche dall'esternalità positiva, dal valore sociale, che le mie azioni avrebbero creato. Tuttavia ogni mia azione segue il mio stile che non rientra in nessun modello. Perciò non posso contraddirmi se non seguo regole comportamentali, ma mi contraddirei se non seguissi i miei valori. Spesso non ho idee chiare soltanto perché penso sia tutto possibile. Ma i miei valori sono chiari”. 

 

domenica 16 settembre 2018

De-generazione

Vedo la società degenerare e sono contenta di poter morire prima che si autodistrugga.

Però poi penso a mia figlia e son triste per lei che dovrà vivere in "condizioni sociali" peggiori di quelle in cui ho vissuto io. Tuttavia lei è nata in questa epoca e in fondo non ne conosce una migliore o una diversa. Per lei esiste solo la situazione attuale e ne percepisce la gioia di viverci.

Probabilmente è troppo piccola per rendersene conto. Anche io alla sua età non conoscevo la cattiveria, l'ipocrisia e quant'altro. Non pensavo che le persone potessero agire diversamente dai propri reali intenti, che credevo nobili per natura o maturazione interiore.

Non appena ho iniziato a percepirne i vizi allora ho cominciato a pensare che  forse anche i tempi stavano cambiando e sono partita da lì per valutarne il peggioramento. L'epoca in cui ero nata per me era la guida, il punto di partenza. Mentre forse mio padre percepiva l'inizio degli anni ottanta come l'inizio di un processo di distruzione dopo la ricostruzione del dopoguerra. Quindi anche mio padre, ad un certo punto della sua vita, ha percepito la degenerazione della società e la preoccupazione per il mio futuro.

E allora concludo che tale degenerazione in fondo è solo una distorsione della percezione sociale, una deviazione dall'epoca in cui siamo nati, una sorta di disillusione da un mondo incantato che è la realtà che abbiamo visto quando siamo nati.

Quindi di fatto più che di degenerazione si tratta di cambiamento che si percepisce in termini negativi dal momento in cui si cresce, o peggio, si invecchia. Quando si è piccoli si pensa: "ma come facevano prima a vivere senza quello o questo?". Quando ci si rende conto che i tempi cambiano allora si pensa: "però era meglio quando si viveva senza queste nuove cose. Se ne apprezzavano altre." 

Il fatto è che l'epoca in cui siamo nati è il nostro punto di partenza, è la nostra guida, ogni deviazione da esso fa paura ed è percepito negativamente.  E dal momento in cui si percepisce che la società è un ammortizzatore sociale degli istinti animali individuali, ad ogni suo cambiamento si teme per la sua rovina. Se si evolve la società l'uomo cambia marcia o mette il freno. L'uomo guida, in funzione delle direttive sociali.

E se la società ci dirige verso la disumanizzazione, solo ribellandoci ad essa resteremo umani. Ma in fondo non ci sarà mai una vera autodistruzione sociale perché la degenerazione è soltanto una percezione soggettiva e se la società va alla deriva, troverà un modo per stabilizzarsi. E' soltanto che io non vorrei seguire la sua rotta.

domenica 2 settembre 2018

L'anestesia della realtà

La realtà ti rivela. La poesia ti nasconde o ti inganna. Di fronte ad una merda, la realtà ti dice che quella è una merda. La poesia invece osa dire che quello è comunque cioccolato, pur se appare trasformato. La realtà è spietata e non ha sentimento. Di fronte all'ennesima sfortuna, ti ripete che sono solo incidenti che capitano. La poesia invece trasforma ogni sfortuna che si perpetua in un rituale esoterico. Ogni episodio diventa il termine di una stessa maledizione, in successione, con una precisa ragione sconosciuta, negativa o positiva. Ma se la ragione è incognita, a discrezione, la maledizione diventa una benedizione. Un'eucarestia ad ogni messa. E l'eucarestia del poeta, è l'anestesia della realtà.

La poesia inganna, ma non ruba. Non sottrae nulla alla realtà, ma la trucca, la decora. Se qualcosa è negativo, la poesia compie comunque “un'operazione matematica”, trasformando quel numero in positivo. Dietro quella trasformazione di fatto c'è la moltiplicazione per un numero negativo. Ma focalizzandosi sul nuovo numero trasformato, la poesia ti fa dimenticare l'operazione che c'è stata dietro.

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Ti avevo perso, Schwanden.”

Eppure sono sempre qua.”

Già, allora io mi ero persa. O meglio, sono stata catturata.”

E da chi?”

Da facili lusinghe che mi hanno fatto deviare. Diverse situazioni. In particolare sul lavoro. Ho ricevuto diversi complimenti e la motivazione di scrivere nuovi articoli scientifici mi ha fatto lavorare più di quanto avrei voluto.”

Ahhh! Ti ha fatto deviare dal bighellonare?”

Smettila... Più che altro dal dormire, dal mio focus di ricerca, dai miei progetti personali e da te, dall'esprimere i miei pensieri. Sia chiaro, qua retribuiscono tutto e mi hanno aumentato la percentuale. Adesso ho un attimo di tregua, per parlare ...”

Io credo che sia di nuovo “la maledizione” a darti un attimo di tregua. Ultimamente hai adrenalina a livelli troppo elevati. E solo un malessere ti può fermare. Tu credi di avermi perso, ma io continuo a seguirti. So tutto e ho intuito tutto.”

E' proprio questo in fondo che mi ha fermato. L'utilità di parlarti. Se sai già tutto, è inutile raccontare.”

Io so, ma non posso parlare. Se potessi parlare sarebbe inutile che parlassi anche tu.”

Difficile seguirti, non ti ricordavo così.”

Io sono come la tua mente. La tua mente conosce tutti i tuoi pensieri. Ma la tua mente non parla da sola e non realizza nulla di concreto se tu non agisci. E' l'azione a render grande un pensiero e non il viceversa.”

Schwanden, quest'anno, non è ancora finito, ma posso dirti che è un anno di contraddizioni. Di confusione, di smarrimento, di caduta da una parte, ma dall'altra di ascesa, di riconoscimenti e di traguardi. E' un anno di forza e di debolezza allo stesso tempo. Di impegno, ma anche di disinteresse. Giorni in cui mi lancio in nuove sfide e altri giorni in cui retrocedo. Ho bisogno di incoraggiamenti in fondo. Ho intrapreso nuovi progetti solo perché qualcuno mi ha spronato. Ma quando sto male l'unico incoraggiamento è la speranza che domani le condizioni siano migliori. Perché è un anno di vitalità, ma anche di abbattimento. Un anno di cui non sento l'esigenza di parlare, o meglio scrivere, ma in fondo è un anno in cui, a maggior ragione, avrei bisogno di parlare.”


domenica 18 febbraio 2018

L' ANAGRAFA

Scusi signore dov'è l'ANAGRAFA?”. “L'anagrafe? Deve scendere alla prossima fermata.” “Grazie.” 

Ero in Italia, e potevo permettermi di ridere sentendo tale storpiatura. Eppure ci si capisce lo stesso, a volte di più di fare discorsi perfetti e complessi. E la persona che aveva chiesto informazioni non era straniera, ma rientrava in quella categoria di anziani che hanno studiato poco e ai quali in fondo non è mai interessato conoscere bene la lingua da non far errori. Per esprimersi e farsi capire ciò infatti non è necessario. Se hai bisogno e devi chiedere qualcosa di semplice, di specifico, di pratico non importa se parli bene, soprattutto se stai chiedendo qualcosa che comprerai o se stai usufruendo di un servizio. Le persone ti capiscono e ti accontentano. Da questo punto di vista non c'è nessun vantaggio a saper parlare senza errori. Si vive lo stesso. Diversamente invece se si dovesse vendere qualcosa o se ciò di cui si ha bisogno sono il riconoscimento e la stima degli altri. In quei casi allora bisogna saper parlare correttamente.

E invece tutte le storpiature, tutti gli errori di mala pronuncia che sento qua in Svizzera sono gli sforzi di tutti quelli che cercano di parlare la tua lingua e quindi non puoi deridere chi ti risparmia le “lacrime” e gli sforzi di parlare una lingua che storpieresti di più.
Ma la cosa peggiore non è parlar male una lingua, se comunque la gente ti capisce. La cosa peggiore è parlare la stessa lingua, correttamente, ma non capirsi, di fatto non comunicando nulla, ma emettendo soltanto suoni perfettamente percepiti, ma non recepiti. Ciò che accedeva quando ero in Italia.

Suoni, belle parole e poi tutto finisce in silenzio, senza nessuna conseguenza. Eppure puoi continuare a vivere in un posto senza farti capire, soltanto perché quello è il tuo posto. Tu sei nato lì e da lì non ti muovi, non ti alzi. Continui a vedere lo spettacolo anche se ormai non ti interessa più e anche se poi non applaudi, in fondo non cambia molto. Il rumore delle tue mani non si sente molto. Sei seduto, quasi nascosto e gli altri stanno applaudendo al posto tuo.

Invece se sei straniero non è così. Non puoi non farti capire. Parli male, già, ma devi farti capire, altrimenti non riusciresti a vivere, non troveresti lavoro e saresti costretto a tornartene da dove sei venuto. Lo straniero non ha un posto a sedere. Lo straniero vede lo spettacolo in piedi. Si espone, si fa vedere. Ogni suo movimento viene osservato. Il suo applauso si vede.


Sentirsi straniero ti obbliga a vivere con gli occhi sempre aperti, attento, sempre in piedi a capire se può liberarsi un posto, anche solo temporaneo, dove poterti riposare. Ma alla fine ti abitui anche a sbattere il culo contro il suolo freddo, a meno che qualcuno, molto gentile, non condivida il suo posto con te, dandoti la sensazione di sentirti accolto, riverito, anche se in fondo non è quello che cerchi, perché vuoi rialzarti subito e continuare a vedere lo spettacolo in piedi, per non perderti la libertà di uscire, indisturbato, dal pubblico, qualora ad un certo punto lo spettacolo ti annoiasse e non ti interessasse più. 

E allora capisci perché non puoi scegliere gli attori dello spettacolo che stai vedendo. Per poterlo fare devi avere il posto riservato, dalla cittadinanza. E invece puoi scegliere gli attori dello spettacolo che i tuoi connazionali vedranno, ma a cui tu non parteciperai, dal vivo, come spettatore. Il tuo posto sarà sempre lì, prenotato, ma rimarrà vuoto e nessuno in fondo se ne accorgerà. Mentre finché rimarrai in piedi, senza posto riservato, non potrai mai decidere quali attori vedrai nel posto in cui vivi. E' questa la condizione dello straniero. 

In ogni caso, però in una società complessa, fatta di apparenze e sempre più virtuale, di fatto il diritto di scelta riguarda soltanto gli attori, ma non lo spettacolo. Lo spettacolo cambia, certamente, al variare degli attori, ma soltanto nella forma, non nella sostanza. La storia è sempre quella. Il finale pure, anche se l'interpretazione di un bravo attore può essere determinante e farti credere l'opposto. Con la democrazia diretta le cose sarebbero certamente differenti, anche se c'è il rischio che attori improvvisati non sappiano di fatto recitare e rovinino lo spettacolo, facendoti credere che tutto sia un disastro. 

Ma di fatto ciò che accade dietro le quinte nessuno può mai veramente saperlo. Non puoi mai sapere quanto incida l'impresa di chi pulisce il posto che occupi, per esempio. Ogni attore conosce soltanto una parte della verità: quella che percepisce. Oltre i limiti della sua competenza professionale, entrano in gioco le sue “credenze” e la sua fiducia verso gli altri.


giovedì 1 febbraio 2018

Approssimazioni

E' pura illusione credere di stare insieme agli altri per colmare la solitudine.

Siamo soli, nessuno può evitare o colmare la solitudine. Si sta con gli altri per costruire qualcosa che da soli non si potrebbe. Si sta con gli altri per trascorrere il tempo piacevolmente o per star meglio, per non sentirsi abbandonati, o isolati, ma è fallace credere di stare con gli altri per evitare di stare da soli. Ci si può avvicinare, approssimare agli altri ma non si potrà mai raggiungere nessuno al punto da sostituirlo completamente.

Si può trovare qualcuno che approssimi bene la nostra solitudine, che possa descriverla con precisione. Ma non si potrà mai trovare nessuno che sia la nostra solitudine, che la raggiunga al punto tale da sostituirla e quindi, di fatto, da annientarla. Nessuno potrà quindi sconfiggere la nostra solitudine.

Nessuno potrà mai avere la nostra testa, tale e quale, nessuno potrà percepire tutto ciò che noi percepiamo, esattamente allo stesso modo. Nessuno potrà mai avere gli stessi identici pensieri, su qualsiasi tema. Nessuno potrà mai vivere esattamente come noi, pur vivendo insieme a noi.

Eppure pochi sono consapevoli di questa verità. Pochi vogliono ammettere e accettare che si è soli e allora ci si ostina a tutti i costi a riconoscerci in schemi, a seguire le mode sperando in un'identificazione collettiva. Oppure ci si aspetta di trovare una persona che non ci faccia sentire soli. Ma tutto ciò conduce soltanto ad evitabili delusioni perché è normale che ci si senta soli stando insieme con una persona, o addirittura convivendoci.

La questione da indagare invece dovrebbe essere il perché ci si sente soli e se questa sensazione potrebbe essere migliorata stando con un'altra persona. Già, perché la sensazione di solitudine può soltanto essere ridotta, alleviata o sorvolata, ma mai risolta. E allora è possibile sentirsi soli con le persone che si amano? E' possibile. Mi sono sempre sentita sola all'interno della mia famiglia. Con mia sorella non sono mai andata d'accordo: divergiamo nel pensiero praticamente su qualsiasi argomento. Io odio il consumismo e lei lo alimenta. Io voglio vivere leggera, lei pesante. Io risparmio, lei spende. Io riciclo, lei ricompra. Non sono mai riuscita a trascorrere insieme a lei, in armonia, un solo giorno. Eppure ci vogliamo bene e ci aiutiamo. Con mia madre la situazione era soltanto migliore, mi faceva ridere e inquietare allo stesso tempo. Con mio padre andavo d'accordo finché non alzavo il volume dello stereo o della voce e finché le mie azioni e i pensieri non varcavano i confini della razionalità.

E adesso in casa la situazione non è troppo diversa. Un tempo, con la persona che amo e con cui vivo, pensavo di essermi identificata. Ma poi ho scoperto l'errore di approssimazione e questo è diventato sempre più grande e adesso che abbiamo la bambina a volte mi sembra di non aver costruito nulla insieme, ma che ognuno si sia limitato soltanto a dare il suo contributo.
Mi fa paura il fatto di vivere sotto lo stesso tetto e non guardare nella stessa direzione, di non avere sogni, ideali in comune se non quello di trainare lo stesso carro. Finché riusciamo a suddividerci i compiti va tutto bene. Adesso non vorrei certo fermare un treno in corsa, anche se devo ammettere a volte temo possa deragliare.


A lui spesso non piace ciò che vorrei fare e viceversa. Forse a volte ci sentiamo quasi schiavi del nostro amore che ci impedisce di prendere la direzione che vorremmo prendere individualmente. Poi però penso a dove andrei senza di lui e forse non andrei lo stesso da nessuna parte e allora resto lì e penso a ciò che non c'è, che non è una possibilità, ma che potrebbe essere un'altra approssimazione della mia solitudine, approssimazione che copre gli errori dell'attuale approssimazione, ma che di fatto ne fa emergere altri ancora più grossi. 

E allora mi astraggo da qualsiasi altra approssimazione e penso a Schwanden. Con Schwanden non si commette nessun errore, nessun buco rimane scoperto perché Schwanden non è nessun altro, ma è la mia solitudine. Ed è per questo che continuo a scrivere, per cercare Schwanden e dargli forma. In fondo è l'unico punto fermo, quando tutto sembra vacillare.