martedì 19 luglio 2011

Il capofamiglia

Spesso ci si angoscia al punto tale da credere di non avere la forza di sopravvivere nell'eventualita' di una disgrazia. Ma quando l'evento che si teme si realizza, ci si trova costretti a fronteggiarlo e si scopre di possedere una forza superiore alle aspettative.
Cosi' accadde quando il Male vinse e mio padre ci lascio’ dopo un mese di degenza. Mia madre si oppose all’autopsia, vanificando l’ultima possibilita’ di scoprire la causa del male che lo distrusse.
Prima della sua morte, in due occasioni provai l'angoscia e lo sconforto dell'eventualita' di dover vivere senza di lui: durante il primo giorno della sua degenza ed il giorno in cui percepii che mio padre stava mentalmente degenerando.
Infatti la prima volta che andai a trovarlo in ospedale, dovetti uscire dalla stanza per evitare di svenire.  Mi bastarono l'odore di ospedale e la visione delle flebo somministrategli a farmi girare la  testa. Ma cercai di riprendermi subito perche' non volevo che ricoverassero anche me, ma soprattutto che mio padre pensasse che fossi debole.
Analogamente, cercai di riprendermi quando, in preda allo sconforto, urlai contro di lui perche' delirava. Sentirgli pronunciare parole senza senso, dal momento che era sempre stato una persona razionale, mi fece perdere la ragione. L'infermiera mi prese in disparte e mi rimprovero'. "Non deve reagire cosi' davanti a suo padre". "Ma tanto non mi sta neanche piu' a sentire", singhiozzai. "In questo modo, non fa che peggiorare la sua situazione e quella della sua famiglia". Aveva ragione. Non dovevo essere la causa di ulteriori danni. Mi calmai, ritornai da mio padre e ascoltai con fredda rassegnazione i suoi monologhi insensati.
Dopo che mio padre mori', dimostrai di avere piu' forza interiore e autocontrollo di quello che credevo. Di giorno mi imponevo di non piangere, per non contagiare mia madre e le mie sorelle. Ma la sera, quando tutti dormivano e nessuno poteva sentirmi, davo sfogo al mio dolore silenzioso.
Ma non mi abbandonai alla sofferenza, evitando di tormentarmi col pensiero di non conoscere la causa della morte di mio padre. In casa mancava un capofamiglia. Una persona che conducesse l'orchestra e ne evitasse lo sfacelo. Una persona forte che incarnasse la stabilita' e la volonta'. Una persona che si occupasse della gestione finanziaria della casa.
Mia madre non poteva adempiere a tale ruolo, peccando di capacita' amministrative e organizzative. Era sempre e solo stata casalinga e si disinteressava della gestione amministrativa al punto tale da non conoscerne le fonti di entrata e di uscita e restando all'oscuro degli adempimenti fiscali.
Ma io potevo evitare che la mia famiglia andasse alla deriva e che invece potesse vivere tranquilla dal punto di vista economico e libera da oneri fiscali. Presi in mano la situazione. Rovistai tra i documenti, mi informai sugli adempimenti fiscali e sulle pratiche da sbrigare per la successione. Feci tutto il possibile affinche' la mia famiglia non percepisse la mancanza di mio padre dal punto di vista amministrativo.
Stavolta non ero io ad identificarmi in una legge ideale, ma erano la mia legge e la mia volonta' ad identificarsi nella mia responsabilita' familiare. Ero subentrata nel ruolo di capofamiglia.

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