venerdì 29 aprile 2016

Il problema è sempre quello

Con una bambina è tutto ancora più lento. Già io non sono veloce a fare qualsiasi cosa di manuale. Immaginate con una bambina che ti sta alle calcagna quando cucini, fai il bucato e ti segue ovunque vai, anche in bagno. Eppure ha qualche gioco per giocare, ma preferisce osservarmi e aspettare che mi distragga o che mi cada qualcosa per prenderlo e giocarci. Chi ha bambini mi capisce, anche se non tutti i bambini sono uguali. Ad esempio lei non protesta se la porto fuori con la pioggia, con la neve … non si infastidisce, anche se “ostruisce” il passaggio, se svolgo le mansioni domestiche. Ma quando sono seduta davanti al computer o scrivo al cellulare o a qualsiasi tastiera o foglio di carta lei si innervosisce, urla, mi sale addosso e reclama, giustamente, attenzione. Quindi devo aspettare che dorma o che la tenga il papà per navigare su internet, studiare tedesco, scrivere questo blog o semplicemente mandare una mail. Quindi immaginate come sia lento l'apprendimento della lingua, la ricerca di informazioni sulla città e sulla vita in Svizzera, lo svolgimento di pratiche amministrative. Se fossi stata da sola a quest'ora avrei già imparato tedesco almeno a livello base. E invece devo accontentarmi di avere ancora tante lezioni da fare (sto seguendo un corso on-line gratuito) e di frequentare un centro pubblico vicino casa dove porto la bambina a giocare (e giochiamo insieme). Ho conosciuto altre mamme straniere che però hanno risolto il problema linguistico seguendo un corso dove c'è il servizio nido incluso, nel senso che mentre segui lezione di due – tre ore due volte la settimana, c'è qualcuno che si occupa di intrattenere tuo figlio. Ovviamente ha un costo anche se per fortuna accessibile. Qui sembra che la gente non voglia perder tempo e preferisca pagare per ottenere servizi piuttosto che provare a far da sé a scapito della professionalità. Se sono stranieri arrivano, frequentano il corso di tedesco, lavorano (anche solo part-time: qui è molto diffuso soprattutto se si han figli). 

"Schwanden, ben inteso, non mi sto lamentando di mia figlia, ma soltanto di me che non riesco a gestire tutto. Perchè vedi, mi sembrano tutti curati, puliti, in ordine. Ma come fanno, dico. E molti hanno due - tre bambini. Come fanno se qui la domenica e dopo le 10 di sera l'uso dell'aspirapolvere e lavatrice e qualsiasi apparecchio che disturba è vietato? Beh. Immagino che paghino qualcuno che gestisca la casa. Ecco forse sotto quest'aspetto mi sentivo più a mio agio a Londra. Lì sono tutti un po' sciatti (come me del resto) fanno le cose un po' così come vengono e si arrangiano a far tutto da sé (un po' per cultura, un po' anche per risparmiare). Qui invece tengono molto di più alla professionalità, alla qualità e alla pulizia. Anche l'Italia, devo ribadirlo, ci tiene molto alla pulizia, ma forse lì è anche più una questione estetica che salutare. Infatti credo che in Italia si abusi dei detersivi e disinfettanti in generale. Ma non voglio ora approfondire. 
Forse dovrei abbandonare l'idea di voler far tutto da me e farmi “aiutare”. Quindi dovrei trovarmi un lavoro per avere qualcuno che mi aiuti. Forse è questa l'idea che si ha qui di integrazione? Ci hanno chiesto di compilare un foglio poiché io non lavoro e non siamo sposati. Un foglio per dichiarare che riusciamo a mantenerci con un solo stipendio. In effetti è possibile, nonostante ci siano costi che non si possano eliminare: locazione abitativa, utenze, assicurazioni obbligatorie, tasse. Basta avere poche esigenze e far da sé. Schwanden, vedi, se non sentissi l'esigenza di scrivere non starei neanche qui a reclamare più tempo. Schwanden, vedi, quando ti ho visto speravo di trovare anche in te la possibilità di cambiare lavoro oltre che vita. Schwanden, io continuo ad avere le idee confuse. Ho provato in Italia a cambiare, ma non ho trovato ambiente favorevole. Schwanden, a me piacerebbe far qualcosa che migliori la vita delle persone. Mi illudevo di poterlo fare con i numeri. Ma avrei raggiunto l'obiettivo forse se avessi dato i numeri del lotto. A parte gli scherzi, Schwanden, vedi ho perso un po' la motivazione nel mio lavoro. Schwanden, il mio lavoro era fornire numeri ai medici per le pubblicazioni scientifiche. E' chiaro, compare anche il mio nome, anche io pubblico. Ma questo sembra faccia la differenza per la carriera dei medici oltre che della mia. Schwanden, io aiuto i medici e la scienza, ma non le persone. Certo, magari indirettamente le aiuto, ma ,,, Schwanden, per mia figlia faccio la differenza. Lo vedo nel suo sorriso. Vorrei trovare la stessa cosa in un lavoro. Schwanden, qua potrei lavorare in un centro bambini, con mia figlia. Molte madri lo fanno. Mi piacerebbe tanto, ma occorre la conoscenza del tedesco. Schwanden, è un cane che si morde la coda. Schwanden, in alternativa mi piacerebbe prendermi cura di te, delle tue belle foglie verdi, della tua legna, ma per far questo dovrei fare un corso. Non ho mai messo mano nemmeno ad un orto, figurati un bosco. Schwanden, e poi mia figlia andrebbe assistita. Schwanden, non vorrei che la gente mi pressasse e con la scusa dell'integrazione e dello sfruttamento del mio curriculum mi spingesse a fare un lavoro che non mi piace per avere più soldi e oggetti che non mi interessano o per assumere personale che mi faccia far la vita da aristocratica. Schwanden, so che qualcuno della famiglia non è d'accordo. Schwanden, il problema è sempre quello. Schwanden, il problema sono io, ovunque vada. Schwanden, non voglio trasformare le relazioni in rapporti di convenienza. Schwanden, per qualche mese ho la giustificazione. Schwanden, ho perso il discorso. Di cosa volevo parlare? Ah sì degli svizzeri. Purtroppo posso dare solo le mie impressioni frutto di un'esperienza che sto vivendo e non di un'attenta analisi approfondita. Schwanden, non riesco neanche a leggere. Schwanden, mi ascolti? Aiutami a tenere un filo logico. Fammi delle domande".

sabato 23 aprile 2016

Per chi ascolta la campana

“Prima che continui a raccontare, vorrei chiederti una cosa. So che a te non piacciono le etichette e nemmeno definirti, ma se proprio vogliamo azzardare direi che politicamente tendi in parte all'anarchico ed economicamente, senza dubbio, al decrescente. E allora, come ti vedi a vivere in un paese pieno di regolamenti e dove il lavoro salariato è tutto, nel senso che il baratto o scambio di servizi è malvisto e se non lavori devi comunque dimostrare di avere i mezzi sufficienti per vivere? So che sei scappata dalla tua città cercando in me rifugio, ma sai bene che non placherò i tuoi bollenti spiriti per sempre.”

“Aaah lo so. Vuoi sapere cosa mi piace di questo posto, a parte la natura ovviamente, e in che modo mi sento vicina alla cultura e alle abitudini svizzere? Non è facile rispondere senza scrivere un poema, ma ci proverò. Sai che io credo nella condivisione e nella comunione (non intendo il sacramento cristiano). Beh. In questo paese, anche se la condivisione pubblica non è così sentita perché quasi tutto è privato e/o ha un prezzo, c'è molto rispetto per la collettività, per gli spazi in comune e per la proprietà altrui. Nei cortili condominiali, per esempio, le biciclette o altri oggetti che possono attirare i ladri, vengono lasciati liberi senza lucchetto e nessuno li tocca. In Italia figurati, spariscono persino gli zerbini, anche solo per farti un dispetto.

Poi, la puntualità. Sai che io ad un appuntamento o arrivo puntuale o altrimenti mi sono persa. Sono puntuale perché per me il tempo è vita. Non voglio perderlo e rispetto quello degli altri. Per questo stimo l'efficienza. E non mi piace aspettare. Se poi in questo paese il tempo venga tradotto in denaro in definitiva non lo so e non mi interessa. Non lo condivido e basta, ma in questo caso, anche se fosse, a ideologie diverse si convergerebbe comunque allo stesso risultato finale: tempi di attesa tendenti a zero. Quindi in un paese che rispetta i tempi prestabiliti: per i trasporti, per le riunioni … io ci vivrei per sempre. Qua lavorano e vogliono sbrigarsi per trascorrere il tempo con i propri figli, andare in giro o semplicemente stravaccarsi sul divano. Non vogliono mica marcire in ufficio come … la devo finire di nominare sempre il mio paese di origine, anche se mi preme farti un altro esempio. 

Qui l'uso della lavatrice è in comune. Credo che sia principalmente per ridurre sprechi. Ma in ogni caso ti dà l'occasione per relazionarti con gli altri condomini. E comunque, sai come funziona? Un foglio appeso fuori dalla sala bucato. Basta prenotare firmando l'orario e il giorno della settimana. E puoi star certo che se è il tuo turno non trovi nessun altro che si infila al tuo posto e nessuno che ti viene a chiedere di cambiare giorno e così via. Un solo foglio a matita, non per cancellare i turni degli altri e scrivere al loro posto il tuo. Ma per cancellare eventualmente la prenotazione se non più necessaria. Un solo foglio. In Italia per una cosa del genere non basterebbero neanche dieci assemblee di condominio perché alla fine ci sarebbe sempre qualcuno che deve lavare quando devi lavare tu. In Italia si perde tempo inutilmente a discutere su menate invece di organizzarsi concretamente. Non c'è assolutamente rispetto del proprio tempo e di quello degli altri.

Poi l'alimentazione e lo stile di vita. Adesso il paragone in negativo è con gli UK, dove sai che ho vissuto. In Svizzera vedi la gente in forma che gira in bicicletta, che corre, anche in pausa lavorativa, ma soprattutto che mangia bene. A Londra vedi gente obesa che mangia pollo fritto in qualsiasi orario della giornata. Qui è raro veder la gente che mangia mentre cammina. Al massimo si siedono su una panchina per uno spuntino come frutta e yogurt. E i bambini pure. 

Segue l'attenzione all'impatto ambientale (non vedi una carta per terra), all'efficiente uso delle risorse cercando di evitare sprechi, al protezionismo (si cerca di produrre quasi tutto in casa, mirando all'indipendenza economica, tassando i prodotti importati e vietando l'uso di manodopera a basso prezzo). Pertanto qui non ci sono negozi “cheap” che minacciano la concorrenza dei prodotti locali o la manodopera artigianale locale (per esempio non ci sono parrucchieri cinesi o negozi cinesi di articoli casalinghi). Ci sono i discount alimentari che comunque vendono per la maggior parte prodotti locali.

Se non vedi i lucchetti alle biciclette, li vedi però ai bidoni della spazzatura. Questo per evitare che si butti l'immondizia senza pagare la relativa tassa sul singolo sacchetto speciale (approfondirò il tema un'altra volta).

Poi qui la gente non è alienata come in UK. Per la strada ti guardano, spesso ti salutano e ti sorridono anche se non ti conoscono, solitamente non camminano guardando uno schermo. Con i vicini ci si parla, anche se per integrarsi occorre parlare in tedesco.

Comunque, ritornando al discorso dell'anarchia, per me è autodeterminazione del popolo. Io credo che si possa arrivare ad una società dove la gente si rispetti e viva in armonia senza bisogno di nessun autorità o potere esterno. Certo il mio ideale è Auroville, ben lontano da un paese dove è fortemente sentito il concetto di proprietà privata, di assicurazione (a proposito, qui la sanità non è un bene pubblico) e dove se fai danni te la fan pagare veramente cara. Ma in questo paese ci vedo molto comunismo, innato o forse frutto di educazione, nel rispetto della collettività, nel protezionismo e nella “giustizia sociale” (attraverso la meritocrazia). Certo in UK era molto più sentito il concetto di “charity”, di solidarietà, di fare donazioni ai bisognosi o di volontariato. Ma in UK c'erano altri aspetti negativi che adesso non voglio ridiscutere. Non esiste il paese perfetto e vivendo qui è un notevole salto di qualità. Io mi sento fortunata di poter star qui, pur continuando a sentirmi libera.

In Italia affinché la gente non butti cartacce, non evada le tasse, rispetti il tempo e gli altri, non lavori più degli altri, non chieda più agevolazioni di quelle di cui ha bisogno, compri i prodotti locali più costosi di quelli importati, affinché tutto ciò avvenga, occorrerebbe una dittatura. E anche per questo che sono scappata dal mio paese. Piuttosto che favorire un dittatore, meglio lasciare che ascoltino il suono della campana.”

“Campana? Quale campana.”

“Quella del Vaticano e, meglio lasciarli sperare. Sai è un paese che crede nella speranza e ha fede, ma meglio chiudere il discorso. Comunque non voglio generalizzare. Quando cambiai città, sempre in Italia, trovai un ambiente dove avrei voluto stabilirmi. Ci si etichettava in diversi orientamenti politici, ma di fatto si convergeva alla comunità e al rispetto. Forse è perché speravo di ritrovare quell'ambiente che lasciai Londra, ma ora non voglio ritornare indietro. Ho già divagato troppo.”

“Infatti. Alla tua maniera hai risposto alla domanda che ti avevo posto”. 

“Vorrei elencare delle impressioni sul canton Zurigo che tratterò o spiegherò meglio nei prossimi post:
  1. Si vedono più lucchetti ai bidoni che alle bici.
  2. Ci sono più altalene che panchine (qui ci sono molti bambini e nonostante ci siano anche tanti anziani sembra che le esigenze dei bambini vengano prima).
  3. Il buongiorno si vede dal bucato (infatti guai a non pulire la lavatrice e l'asciugatrice).
  4. Se ti butti in mezzo alla strada, chi ti prende non è certo un auto.
  5. Il postino passa sempre due volte (mattina e pomeriggio). Spedire una lettera costa relativamente poco e arriva subito.
  6. Qui la vita e la salute sono assicurate (nel senso che devi stipulare – e pagare una polizza – per avere diritto alle prestazioni sanitarie).
  7. I bambini sono educatissimi, ordinati, non urlano in pubblico per fare capricci e così i cani non li senti quasi abbaiare e non hanno museruola (per avere un cane so che è obbligatorio prendere la patente, per i bambini no e sinceramente vorrei capire se non siano educati troppo rigidamente anche se a vederli non sembrerebbero infelici).”
“Perché e per chi scrivi? Cosa vuoi ottenere? Perché dedichi il tuo pochissimo tempo a elaborare certi concetti?”

“Schwanden, perché stai suonando la campana?”


giovedì 21 aprile 2016

Zuri-go

Arrivammo portando la neve. Ma nulla fu scomodo o disagevole. La casa temporanea che ci assegnarono era fantastica, spaziosa. La cosa che più mi piaceva era la vista sul lago di Zurigo. Anche mia figlia ne era affascinata. I primi giorni però la piccola si sentì smarrita. Sulle strade svizzere era guardinga e non voleva camminare. Ma sul passeggino non protestava e guardava incuriosita. Poi si abituò, anche se fino a quando non consegnarono le cose che ci portammo da casa si sentì confusa e nervosa. In particolare non riusciva a mangiare in un seggiolone diverso dal suo. Aspettammo circa dieci giorni per riaverlo, insieme a tutti i nostri effetti personali. Ci fu infatti un malinteso con la compagnia del trasloco.
Ma a parte questo, tutto filò liscio.

Il giorno seguente il nostro arrivo, avevamo appuntamento con G. che ci accompagnò al comune a registrare il nostro avvento. La pratica fu perfezionata da una “simpatica tassa”, anche se edulcorata con l'invito alla festa di benvenuto per tutti i nuovi arrivati nella città. 

Fu utile la presenza di G., ma soprattutto la sua mediazione linguistica. Lei infatti parlava inglese fluente, ma in molti uffici non tutti sono propensi a parlare inglese, anche se in compenso tantissimi conoscono l'italiano. Tutti i documenti, le lettere, le ricevute che ci diedero infatti erano scritte in tedesco. Lo stesso giorno G. ci accompagnò in banca per aprire un conto corrente. Ci fecero accomodare in una sala riunioni confortevole, offrendoci caffè, cioccolatini e giochi per intrattenere la bambina.

Tuttavia non mi sentii a disagio. In tutto questo “lusso” c'era comunque informalità e nessun dress code, a parte i banchieri. Apprezzai il fatto che G. venne a prenderci non con auto privata, ma con auto del servizio “car sharing.” Non parcheggiò davanti la banca per non farci bagnare sotto la neve, ma, dopo aver trovato parcheggio, scendemmo tutti a piedi senza ombrello sotto la neve e lei non disse nulla che una donna tipica italiana avrebbe potuto dire “Oh ma la piccola si prenderà sicuramente un raffreddore”, anche se facemmo soltanto non più di cinquanta metri senza ripararci. Poi fu divertente quando G. rovesciò il caffè di fronte al consulente bancario, distratta dalla bimba che, non reggeva più di star lì dentro e si stava abbassando i pantaloni.
Non mi stupirebbe poi se quel caffè fosse stato equo solidale, visto che in questo paese l'etica sociale e ambientale sono molto più sentite, a scapito dei prezzi naturalmente.

In seguito partecipammo ad una festa a casa del responsabile dell'ufficio dove lavora il mio compagno. Nulla di formale. Catering in grossa parte autoprodotto, casual dress code, ma soprattutto niente scarpe. 

E ora veniamo ad una riflessione che balenò in quei giorni e che si estrinsecò in una domanda posta al mio compagno: “Scusa, ma in cambio di tutti questi servizi e benefit, cosa ti chiederanno? Non è che c'è qualche postilla strana o devi fermarti a lavorare anche di notte?”.
No. Quando iniziò a lavorare scoprimmo che non c'era nessuna richiesta strana o “antifamiliare”. In questo paese non sfruttano la gente, anche se non regalano nulla in cambio e se non sei produttivo però possono licenziarti senza problemi. In altri termini, a stipendio dignitoso deve corrispondere anche lavoro svolto dignitosamente. Trovare casa e ambientarci non sarebbe stato semplice e veloce senza aiuto. Pertanto se si tiene all'efficienza e alla produttività dei lavoratori, un'azienda dovrebbe favorirle. E in concreto offrirci aiuto per la nostra sistemazione ne era un esempio di promozione. E poi tutte quelle distinzioni di trattamento dei dipendenti “alla Fantozzi”, a seconda del grado e della gerarchia aziendale occupata, qui non esistono. Pertanto ricevemmo lo stesso trattamento, o quasi, che ricevette il suo capo a sua volta quando si trasferì. Inoltre l'azienda è un ambiente internazionale dove si parla inglese.

Potevamo stare nella casa assegnataci, a loro spese, non più di due mesi. Era incluso nel gratis anche un servizio di pulizia ogni due settimane. 

Cercammo quindi casa definitiva. G. ci proponeva annunci e se ci convincevano organizzava per noi una visita all'appartamento e ci accompagnava. La procedura per trovare casa qui è piuttosto complessa. Visiti una casa, se ti piace compili un foglio dove ti fanno l'interrogatorio sui tuoi mezzi di sostentamento, chiedendo garanzie e referenze. Riveli un sacco di informazioni a perfetti sconosciuti e poi attendi che ti scelgano tra un mazzo di altri candidati. Un po' come cercare lavoro in Italia. Solo che qui a differenza i soldi non te li danno, ma te li chiedono. E quanti. (Non voglio essere volgare, ma qui per un appartamento il minimo che si può spendere al mese è sui 1500 o 2000 franchi per una famiglia). Qui le case sono possedute in maggior parte da grandi aziende e gestite da agenzie. Poche persone possiedono la casa dove vivono. 

Noi siamo stati fortunati a trovare casa rapidamente. Fu durante la terza visita, a seguito di un annuncio da me trovato, che vidi per la prima volta Schwanden, nella sua lucente verzura, e capii che quello era il posto che cercavo e dove avrei voluto vivere. Fu l'unico appartamento a cui mandammo la richiesta e l'accolsero subito rapidamente. G. compilò per noi tutte le informazioni e chiese le referenze al datore di lavoro del mio compagno. Il cambiamento di residenza, seppur nella stessa città, comportò il pagamento di un'altra simpatica tassa, anche se ridotta e stavolta senza festa.

E così, ci trasferimmo vicino al bosco.

mercoledì 13 aprile 2016

Um-zug

Passò l’ultimo treno. L’ultimo perso. L’ultimo che sentii transitare dal cavalcavia. Poi sarebbe passato il mio treno, anzi il nostro. Il treno che ci avrebbe portato a Zurigo. Questa volta mi accontentavo di una distanza percorribile in treno. Mi accontentavo di una destinazione assegnata dal caso. Fortunatamente, si trattava di un posto dove la qualità di vita sarebbe migliorata. Ma sinceramente, ero così disperata e decisa ad andare via che non mi importava nulla di dove sarei finita. Certo sognavo una comunità, un luogo basato sulla cooperazione e la condivisione. Ma la priorità era poter vivere tranquilla lontano da falsità, consigli non richiesti e giudizi su come crescere la mia bambina. Non temevo il fatto di non conoscere nessuno a Zurigo e di dover contare solo sulle mie forze e sul supporto del mio compagno. Ero perfettamente consapevole del fatto che i problemi e i disaccordi familiari già presenti in partenza non si sarebbero dissolti nel viaggio. Ma speravo che un ambiente diverso avrebbe cambiato il mio umore e il mio stato d’animo, consentendomi quindi di vedere la realtà sotto un’altra luce anche se la realtà che mi portavo dentro di fatto non sarebbe cambiata. E’ come quando si cambia pettinatura. E’ chiaro che non si cambia testa, ma vedendosi in un altro modo ci si può comportare diversamente, sentendosi più sicuri o a proprio agio per esempio. E stavolta lasciavo scegliere al caso la mia acconciatura, anche se aspettavo qualcosa o qualcuno che mi portasse dal parrucchiere. Qualsiasi taglio purché drastico, che eliminasse tutti i nodi dai capelli. 

Ed ora Zurigo. Al mio compagno fu offerta una proposta di lavoro, seppur lui non stesse cercando attivamente un’altra occupazione. Capitò per caso che venne contattato da una persona sconosciuta interessata al suo profilo professionale. Non voglio raccontare i particolari per rispetto della sua privacy. Dico soltanto che l’azienda offerente pensò a tutto e si fece carico di tutte le spese di trasporto, trasloco, sistemazione abitativa iniziale e servizio di consulenza per sistemazione abitativa definitiva. A me piace organizzare ogni cosa da sola, ma devo ammettere che ho apprezzato veramente l'aiuto concreto che ci hanno dato. Infatti con una bambina piccola è difficile gestire qualsiasi cosa. Immaginate un trasferimento. Per una volta ricevevo aiuto organizzativo e pratico. Di solito la gente che si proponeva di aiutarmi voleva intromettersi, decidendo in mia vece o scegliendo per me cosa fare e portare. Ed io rifiutavo. Ma avrei accettato ben volentieri se mi avessero aiutato a portare a termine qualcosa che avevo già deciso e che avessero eseguito materialmente quanto da me richiesto. Esattamente come lo volevo. Senza dare “suggerimenti” o consigli. Ed ora vedevo gente che imballava ciò che avevamo deciso di portarci senza aggiungere altro se non canticchiando o conversando di altre cose. Senza dire “ma non vi conviene portare anche i mobili o comprare quello o questo? Solo queste cose portate?” Saprò bene cosa mi serve e poi è vero che ci pagano il primo trasloco, ma il secondo spostamento no e poi con roba inutile devo viverci io. Chi me la paga la vita ingombra da spazio che voglio liberare? E poi sono ben contenta di regalare le mie cose a chi penso possano servire di più, come un libro sulla felicità che lasciai in sala d'aspetto del mio medico. Ormai non ne avevo più bisogno. I pazienti invece credo di sì.

Non avrei più sentito considerazioni sul mio modo di vivere, seppur abbia sempre rispettato gli altri. E se qualche estraneo avesse dato consigli, a parte quelli relativi all'integrazione in terra straniera, forse non li avrei capiti per questioni linguistiche.

E partivamo. Io felice per ciò che lasciavo, senza nostalgia. Quando partii per Londra, ma anche quando tornai, ero carica di esperienze, di cose, di innovazioni, di contributi da apportare a chi mi avesse assunto. Adesso partivo vuota, senza nulla da dare, senza essere nulla e nessuno, se non madre di una bambina, forse il contributo più grande che potevo dare. Stavolta non avevo aspettative: solo l'intenzione di restare, di non tornare più in Italia se non per far visita a chi mi sta a cuore, che di fatto non ho mai lasciato.


domenica 10 aprile 2016

Last train

Viaggiava chissà per dove, sul suo binario. Io camminavo per la strada di casa. Ma il suo fischio mi investì. Mi impedì di rientrare tranquilla, come se nulla fosse, come se fosse passato soltanto un treno. Un treno. L'ennesimo della giornata. L'ennesimo di una ennesima giornata. Chissà quanti treni sarebbero ancora passati ed io sempre lì, internamente scossa dal suo fischio, ma esternamente indifferente poiché non cambiavo strada. Eppure mille destinazioni sfuggivano sotto i miei piedi che attraversavano il cavalcavia. 

Credevo che prima o poi sarebbe passato il mio treno, l'ultimo. Il treno che mi avrebbe portato lontano, via da quella situazione. Il treno che mi avrebbe salvato dal marciapiede, dalla zona di comfort, dalla routine. 

Non ho mai perso un treno perché ho sempre saputo quale treno dovevo prendere. Ma al momento non dovevo prendere nessun treno e allora li stavo perdendo tutti. Tutti. Uno dopo l'altro. E non potevo farci nulla. 

Ma se non avevo intenzione di prendere un treno in particolare, perché mi interessavo a tutti quelli che passavano? Il fuggitivo non ha intenzione di prendere un treno in particolare, ma soltanto il primo che passa. Ed io come il fuggitivo aspettavo solo il mio treno, il primo possibile, la mia speranza. 

Da cosa volevo fuggire? Non poteva esserci un'alternativa alla fuga? Ormai non c'era più nulla da discutere. Se non si riescono a far valere le proprie ragioni nel posto dove si vive, meglio rinunciare al posto dove ci si trova piuttosto che alle proprie ragioni. 

E io ci speravo. Aspettavo il treno che mi portasse in un posto nuovo. Quali erano le mie ragioni? Ne ho sempre avute tante di idee, obiettivi, utopie … Ma stavolta le mie ragioni erano soltanto un po' di pace e tranquillità in un luogo meno inquinato, sotto diversi punti di vista. Un luogo con prospettive migliori, anche per mia figlia. Un posto nuovo, dove ricominciare. Una città nuova, una nuova nazione. Ma quale? E il treno, inaspettatamente, arrivò.


martedì 5 aprile 2016

La vitale alternanza

“Schwanden, sai, ho sempre odiato sentirmi intelligente.”
“E perché?”
“Vedi, le persone veramente intelligenti generalmente si sentono ignoranti e stupide. Ignoranti, perché sanno che per quanto si possa studiare e sapere rimarrà pur sempre qualcosa di ignoto e ignorato. Stupide perché per quanto si possa ragionare a lungo rimarrà qualche aspetto che prima o poi farà rimettere tutto in discussione.
Quindi se una persona intelligente si sente intelligente vuol dire che l'ambiente dove si trova non è per lui stimolante perché gli dà l'impressione che non ci possa essere nulla di nuovo da sapere o su cui ragionare. Oppure si trova in un ambiente che non valorizza l'intelligenza richiedendo mediamente la stupidità. Oppure si sente superiore agli altri e basta.”
“Quindi fammi capire: secondo te l'intelligenza è quella qualità che chi ce l'ha non la sente?”
“In un certo senso sì. O meglio, una persona intelligente può anche sentirsi in certi momenti intelligente, per esempio quando supera una prova o una sfida, ma poi, per nutrire l'intelligenza, occorre sentirsi di nuovo stupidi e ignoranti. E' un po' come la fame. Nessun organismo è fatto per mangiare e saziarsi per sempre, ma è tutto un susseguirsi di fame e sazietà. Quindi colui che vorrebbe sentirsi intelligente, sazio e contento per tutto il resto della vita aspira solo ad un obiettivo piuttosto innaturale o addirittura disumano.”
“In breve, quindi la fame, l'ignoranza e l'infelicità sono delle condizioni dalle quali nessuno può sfuggire?”
“Sì e il nostro obiettivo non dovrebbe essere quello di massimizzare i periodi di sazietà, intelligenza e felicità, ma di garantirne l'equilibrio, mantenendo la vitale alternanza con i rispettivi opposti.”
“Potrei chiederti di approfondire l'argomento, ma so che andresti a parare chi sa dove”
“Già, ognuno vada a parare dove vuole. Sai, credo di essere anarchica, ma non nel senso negativo che spesso è attribuito.”
“Uh per carità, andiamo con ordine ora. Ne parliamo un'altra volta.”
“Sei fortunato, non volevo parlare di questo. Ritorniamo al fatto di sentirsi stupidi e ignoranti. Sai emigrare dall'Italia ti fa sentire stupido in terra straniera, in particolar modo se vai in un posto dove parlano una lingua che non conosci. Ma, per le ragioni appena spiegate, la sensazione di stupidità ti fa sentire vivo, ti dà lo stimolo per migliorare. Così come la fame. Non dobbiamo temerla. Dove c'è fame c'è crescita. La crescita senza fame è puramente artifizio, oltre che dannosa. ”
“E qui voglio mettere le mani avanti e impedirti altre divagazioni che sfociano in questioni di economia.”
“Va bene. Torniamo alla stupidità. Il fatto che la gente ti comunichi qualcosa e tu non capisci ti fa sentire stupido e ignorante. Di fronte a questa realtà, si possono scegliere due approcci: quello del neonato e quello del vecchio. Il primo ti porta a vedere la condizione come naturale e a trarre la conclusione: crescerò, imparerò. Quindi ti dà lo stimolo per adeguarti all'ambiente. Il secondo ti fa rinunciare alla possibilità di adeguarti all'ambiente e di imparare. Il vecchio infatti ripensa al passato, alla sua vita accontentandosi delle sue conoscenze ed esperienze. Il vecchio pensa che non ci sia alcun vantaggio nel fare sacrifici per imparare qualcosa di nuovo. Pensa piuttosto sia meglio chiedere a qualcuno, anche pagando, che gli faccia da interprete. E lui continua a farsi la sua vita e … la sua lingua.”
“Perché ora non stai studiando tedesco?”
“Beh anche il neonato piange e comunque il neonato ha i suoi tempi e impara giocando.”
“E perché invece parli con me?”
“Tu conosci il linguaggio universale della natura. Il linguaggio che dà più sicurezza e conforto quando non si capisce il mondo. Neanche in Italia capivo il mondo e lì non era una questione linguistica.”
“Già. Ma dopo che imparerai il tedesco forse ti renderai conto che la stupidità ha linguaggio universale, così come le convenzioni e l'ipocrisia.”
“Può darsi, ma nel frattempo avrò imparato il tedesco.”