sabato 21 settembre 2013

Briciole di ... progresso

Progresso? Lo chiamano progresso, ma si è rivelato quale passaggio da una schiavitù ad un'altra: dalla schiavitù della povertà e della fame a quella della ricchezza e della competitività. In estrema sintesi: la transizione da un lavoro da schiavo alla schiavitù da lavoro. Se in passato comandava la legge della sopravvivenza, ora comanda la legge della produttività, con la conseguenza che non si è più liberi di scegliere per la propria vita, a meno di voler o poter vivere lontano dalla società.

Se ci fosse veramente progresso, non si sarebbe schiavi del proprio lavoro. Non si sarebbe costretti a lavorare tutto il giorno per dover sopravvivere in una società dove correre è il presupposto non per arrivare prima, ma per stare al passo.

In una società progredita non si dovrebbe cessare di esistere, perché completamente assorbiti dal proprio lavoro o perché rifiutati dal lavoro stesso e dalle dure leggi del mercato.

Ma quale progresso c'è stato nella società? In passato si era costretti ad emigrare, ma per fame, disperazione. Ora si emigra, per business o per lavoro. In passato si partiva non lasciando nulla: né casa, né famiglia. Ora si parte e spesso si lascia tutto: casa, amici, famiglia, agi. Per cosa? Ė un controsenso: si hanno agi, casa, si mangia bene e tuttavia si è costretti a partire. Perché? Perché non si può scegliere dove stare? Perché non ci si può più aspettare di vivere e lavorare dove si nasce?
Ė qui che ci ha portato il progresso?

Ho sempre pensato di essere una squilibrata, per la mia mania di perfezionismo o per la mia continua ricerca di cambiamento o miglioramento, per la mia insaziabilità intellettuale. E invece realizzo che è il mondo ad essere squilibrato, al punto da star diventando insostenibile. 

Paradossalmente, vivranno sempre più a lungo gli anziani e moriranno sempre prima i giovani. Non verranno più pagati gli stagisti/lavoratori, per poter pagare i pensionati o i dipendenti a tempo indeterminato, con una certa anzianità, talmente rincretiniti da anni di lavoro sempre uguale, ma che non possono andare in pensione perché troppo giovani.

E questo è il progresso. Morire di fame o di debiti, per l'insostenibilità di un elevato tenore di vita.

Se una volta si cantava “aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più...” ora si canta “caro amico, siediti e aspetta che finiamo di ingozzarci. Se sei fortunato avanza qualcosa.” Altro che dividi il companatico. Magari ti fanno pure leccare il pavimento per pulire i loro avanzi.

Briciole, nient'altro che briciole ci lascia ciò che abbiamo chiamato progresso. Briciole, di chi divide e non condivide. Di chi occupa un posto, ma non imbandisce la tavola.

Briciole, che se te le lasciano sei fortunato: concedendoti l'elemosina, ti offrono il pranzo. E devi ringraziare, potendo pulire i loro rifiuti.

E questo è il progresso.

Progresso tecnologico, scientifico, economico e tutto ciò che volete. Innegabilmente, la vita dell'uomo è migliorata, ma soltanto perché è diventata più semplice, meno faticosa, ma non più libera.

Il progresso ci mostra la vita come una successione di mete parziali: esami, diplomi, laurea, matrimonio, figli, avanzamento di grado e via dicendo. Ci induce a preoccuparci di toccarle una dopo l'altra, senza accorgerci di quanto avviene lungo la strada, senza mostrarci di fatto la vita stessa e cosa avviene all'ecosistema.

Il progresso ci mostra quali falliti se ne restiamo fuori. Ci induce a sentirci falliti se non siamo laureati, se non abbiamo un lavoro o se lo abbiamo perso, ma anche se non abbiamo una famiglia convenzionale. Per ogni cosa ci può far sentir falliti, ma di fatto l’unico modo in cui ci rende falliti è privandoci della capacità di farci sentire e vedere al di fuori di esso.