lunedì 19 settembre 2011

Il Blog

Voglia di esprimermi. Raccontare. Dare forma al mio libero pensiero. Far riflettere e al contempo enucleare la mia filosofia, ma anche comunicare.
I libri a volte cambiano la vita. Leggi qualcosa che ti apre nuove prospettive, che ti mostra cio' che non hai ancora visto, che ti porta a conclusioni a cui da solo non saresti arrivato.
Vorrei scrivere un libro. Un libro che riflette il mio pensiero. Un libro che nasce da me e non dalle mie conoscenze scolastiche, accademiche o professionali.
Ma oltre a descrivere il proprio pensiero, occorre anche circostanziarlo, capirne le origini. E la fonte del mio pensiero e' la mia vita: le esperienze accadute, le persone incontrate.
Il mio pensiero non nasce dalle analisi di dati numerici per cui sono pagata. Il mio lavoro esprime soltanto le mie conoscenze e il mio modo di metterle assieme e padroneggiarle. E tale modo e' subordinato alle richieste che vengono dal mio datore di lavoro. Tali richieste non devono andare contro i miei valori, i miei ideali e i miei principi, altrimenti finirei per odiare il lavoro e quindi me stessa.
Non odio il mio lavoro, altrimenti lo lascerei subito, perche' la mia vita e' piu' importante. Ma nemmeno mi sento troppo coinvolta in cio' che faccio.
Forse il lavoro non mi esprime pienamente? Forse e' utopia voler fare un lavoro che sia lo specchio della propria anima ed e' quindi aberrante pensare che vita e lavoro siano due facce della stessa medaglia? Ma se e' utopia, allora perche' si lavora piu' ore di quelle in cui ci si ferma a pensare? E' utopia vivere?
La ragione della mancanza di sentimenti verso il mio attuale lavoro e' forse dovuta al fatto che empatizzo il comportamento inglese. I "veri" inglesi non esprimono le loro emozioni neanche verso il lavoro. Nessuno sembra che odi il suo impiego, ma nessuno dimostra neanche entusiasmo, passione verso di esso.
Quando ci sono molti progetti e studi in corso da terminare, il lavoro diventa il mio primo pensiero, ma forse soltanto perche' mi sottrae energie mentali per altri pensieri e mi stanca intellettualmente, anche se fisicamente ne risento, stando ore ed ore seduta davanti alla scrivania. E per riequilibrare mente e corpo, durante il tempo libero sento l'esigenza di stancarmi fisicamente. E piu' la mente si affatica, piu' il corpo deve stremarsi. "Prima o poi mi sa che vado a spaccare legna nel week end", penso.
Lavorare, lavorare in continuazione e' il solo modo per annientare il proprio pensiero. Di giorno e in settimana occupare la mente, mentre di notte e nel week end occupare il corpo. Non dormire mai, per non sentire il vuoto esistenziale.
Ma quando nel mio lavoro cominciarono ad esserci tempi morti, ecco che esplosero i pensieri, repressi dalla stanchezza e nati dalla noia. Pensieri che e' pericoloso trascurare.
"Se fossi in te uscirei prima oggi". Anche il capo mi incita. Ed allora che senso ha continuare a far finta di lavorare se non c'e' da fare per oggi? Il lato positivo e' che in Inghilterra l'individualità e' un valore.
Passeggio lungo il Tamigi. Ma cosa mi piace veramente fare da sola, nella mia individualita'?
Il mio ragazzo si appassiona di giochi matematici. Risolve problemi per diletto, problemi che spesso muoiono sul suo computer, che non escono di casa, che nessun altro potra' leggere.
Ma io non riesco ad appassionarmi a qualcosa che nasce da me e muore dentro di me, oppure che rimane isolato tra le mura domestiche. Sento l'esigenza di spalancare la porta e fare uscire la mia espressione. Da piccola, quando non sapevo con chi giocare o cosa fare, uscivo in balcone a cantare a squarciagola ed ero contenta, finche' mio padre o la vicina di casa non protestavano.
La libertà e' il valore per me piu' importante e pertanto rispetto anche quella degli altri. Non voglio fare qualcosa che disturba o nuoce al vicino. Ma sono veramente soddisfatta quando faccio qualcosa che gli altri apprezzano.
Se lavoro e gli altri mi trasmettono il loro apprezzamento allora riesco ad amare il mio lavoro ed essere motivata.
Al momento, nessuno si lamenta di come svolgo il lavoro attuale, ma neanche mi sprona a farlo meglio.
La mediocrità e' il risultato dell'impassibilità. Come si puo' mirare a fare un mestiere bene senza infervorirsi?
Una persona che mira solo alla sopravvivenza non puo' che ottenere solo risultati mediocri, senza infamia e senza lode.
Ma io voglio vivere, non solo sopravvivere.
A differenza delle mie passate convinzioni, realizzo che in fondo sono capace ad accettare la mediocrità nel lavoro. In compenso sento l'esigenza di esprimermi nel tempo libero, come in effetti facevo quando ero ragazzina.
Sopravvivere al lavoro/scuola, ma "vivere" e distinguersi in attività sociali o ricreative oppure "vivere" e distinguersi in ambito lavorativo/scolastico, ma avere una vita privata ordinaria, mediocre, qualunque. In entrambe i casi, mi sono distinta.
Il qualunquismo esprime una persona che non ambisce ad emergere in nessun ambito. Il qualunquismo e' la scelta migliore per una persona convenzionale, ma non per me.
Non rivelo me stessa se resto in ombra. Non sono felice se passo inosservata, se non catturo  l'attenzione dell'Altro o se non comunico alcun messaggio o rivelo i miei sentimenti.
Aspiro a fare qualcosa che non sia ordinario. Ed e' per questo che ho mirato alla perfezione o all'espressione creativa.
Ma ora mi rendo conto che e' piu' forte l'espressione creativa. Infatti la perfezione mira a migliorare qualcosa che esiste gia' mentre io vorrei creare qualcosa di mio, di originale.
Vorrei scrivere un libro, ma un blog puo' piu' facilmente permettermi di raggiungere il mio scopo: manifestare il mio pensiero che vuole esistere al di la' di me stessa.

3 commenti:

  1. Curioso, ho passato gli ultimi mesi a sognare di fare il boscaiolo.
    Continua così, il tuo libro arriverà.

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  2. Non c'è bisogno di ringraziare, il merito va riconosciuto, e non è un atto di bonomia ma un dovere.

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