Promiscuita’: orgia di culture, odori e colori. E’ difficile sentirsi stranieri a Londra. Lo sono un po’ tutti e non lo e’ nessuno, ognuno mantenendo i propri usi e costumi, la propria identita’ e dignita’ culturale, ma adeguandosi ai ritmi lavorativi e alle condizioni di ospitalita’ e soggiorno che la citta’ impone. Negozi aperti di notte e bus notturni. E la citta’ prospera, non si ferma mai: un pullulare di persone che si alternano per le strade: lavoratori, studenti, turisti, donne con bambini. Non esiste ora di punta, il traffico e’ un flusso costante. Le vie risuonano dei linguaggi piu’ disparati e sono impregnate di miscugli di esalazioni provenienti dai ristoranti, dagli scarichi ...
Ognuno conduce la vita che gli pare, si veste alla sua maniera e mangia ovunque: in mezzo alla strada, sul bus o in piedi sulla metropolitana affollata. L’economia e il lavoro sono il collante del mosaico. Il consumismo unisce, elimina le barriere culturali e linguistiche. Finche’ ognuno puo’ spendere, va tutto bene, e’ tutto lecito, ma quando i soldi finiscono allora insorgono i conflitti. E non si e' piu' ruote dello stesso meccanismo. Infatti non importa se le ruote siano diverse, ma l'importante e' che girino nella stessa direzione del sistema.
A Londra, e penso in generale in UK, uno straniero si trova di fronte al paradosso retorico: “E' nato prima il conto o il contante?”. Infatti non si puo' aprire un conto in banca se non si ha un lavoro. Ma non si puo' neanche trovare lavoro se non si ha prova di avere una dimora stabile. Tale prova viene fornita dall'intestazione delle bollette, contratti di locazione, conti in banca … Pero' non si puo' trovare neanche una dimora stabile se non si hanno i soldi e quindi un conto in banca e pertanto un lavoro. Ma cosa puo' fare uno che si presenta, come se arrivasse dal Nulla, con nome, cognome, documenti e valuta stranieri?
Quando arrivai a Londra abitai con il mio ragazzo in un alloggio che aveva affittato in condivisione con gente che non conosceva. Anche lui trovo' difficolta', a suo tempo, ad aprire un conto e a cercare casa, fintanto da chiedere l'intervento dell'Universita', dove lavorava e studiava, per fornire tutte le dichiarazioni necessarie. Aveva avuto la fortuna di essere stato assunto prima di lasciare l'Italia. Io invece arrivavo li' senza “sponsor” locale e non conoscendo nessuno tranne lui. Nonostante tutto, essendo mesi che non ci vedevamo, all'inizio la situazione sembro' idilliaca, anche in un appartamento coabitato. Ma dopo un certo numero di giorni, realizzai: “Ma chi e' 'sta gente fra i piedi? In Italia, pur nell'inferno della mia situazione, potevo vantare una signora casa spaziosa e adesso non posso neanche permettermi una piccola abitazione da condividere solo con la persona amata?”
Ma le case costano una fortuna a Londra, pur la qualita' essendo ben inferiore alle case italiane. Per trovare un'abitazione decente ed uno spazio tutto nostro dovevo necessariamente trovare lavoro, visto che non potevo neanche aprire un conto depositando i risparmi che avevo nella mia citta' di provenienza.
E avrei anche potuto avere difficolta' a trovare impiego perche' non avevo nessun documento che certificasse la mia dimora.
Per fortuna mi rilasciarono con facilita' il “national insurance number”, un codice senza il quale non si puo' ottenere un lavoro regolare perche' tale numero consente di individuare i contributi versati. Teoricamente, ogni cittadino europeo che vuole lavorare in UK ne ha diritto. Me lo rilasciarono dopo avermi fatto alcune domande sul mio titolo di studio, sulla mia attuale dimora e sulle mie intenzioni di lavoro. Per fortuna mi chiesero soltanto l'indirizzo e non anche la sua prova. Altrimenti mi sa che non restava altro che ritornare nella mia citta' natale.
In seguito ebbi anche difficolta' a trovare lavoro, nonostante le possibilita' di carriera come ricercatore o statistico non mancassero. Al di la' del mio disagio linguistico, cominciavo a dubitare di possedere le capacita' richieste per i lavori attinenti al mio titolo di studio e alla mia esperienza lavorativa. Ma era perche' non ero coerente con il mio titolo di studio o perche' il mio titolo di studio non era coerente con quello conseguito in UK? Dovevo riconoscere che i colloqui apparivano di taglio piu' tecnico rispetto a quelli sostenuti in Italia. Infatti non mi chiedevano soltanto domande personali, ma anche domande “operative” del tipo “come farebbe a modellizzare quel fenomeno”, “quali sono i pro e i contro dell'analisi x?” E forse le mie risposte, benche' dimostrassero conoscenze teoriche, apparivano poco pragmatiche e “filosofiche”.
A peggiorare la situazione, contribui' anche la padrona di casa che ci comunico' che avevamo un mese di tempo per trovare un altro alloggio. Nel “contratto verbale” che aveva stipulato con il mio convivente, non era stabilita una durata fissa, bastando soltanto il preavviso mensile per chiudere ogni pendenza da ambe le parti.
La convivenza con quella gente mi stava stretta, ma comunque mi sarei adeguata finche' non avrei trovato lavoro. E invece le circostanze mi offrivano una duplice fonte di incertezza: il lavoro e il tetto.
Ci attivammo per visionare un po' di case. Incontrammo “trafficoni”, gente che offriva case sguarnite o ancora da sistemare promettendo che sarebbero state in ordine al momento della nostra dimora. Un tizio, che non era neanche il proprietario ma il conduttore, ci fece vedere un alloggio in un sotterraneo. Constava di un'unica stanza dove si cucinava e mangiava dietro l'ingresso in un tavolo pieghevole, si faceva la doccia guardando direttamente il letto, anche se per fortuna da “un oblo'” e si dormiva circondati dal guardaroba. C'era il router pero', questo era un vantaggio, e anche la TV. Il bagno invece era fuori, in condivisione con una coppia. La lavatrice era pure condivisa dal “condominio” e funzionava a gettoni di sterline. C'era anche un terrazzino in condivisione, piuttosto raro nelle case inglesi, anche se l'odore dei bidoni dell'immondizia e l'acqua che avrebbe potuto condurre in casa, rischiava di annientarne la “poesia”. L'alloggio non era nemmeno cosi' economico. Inoltre non avevo alcuna garanzia di ottenere un contratto in regola da cui risultasse il mio nome e che quindi costituisse valida prova di indirizzo, necessaria per trovare lavoro ed aprire un conto in banca. Benche' fossi abituata ad adattarmi e a trovare “letti di fortuna”, non mi sembrava giusto pagare cosi' tanto per vivere in una topaia. Per pochi mesi si poteva fare, ma non per un anno o piu'.
Speranzosi di trovare una sistemazione migliore, continuammo a visitare case che pero' si rivelarono una peggio dell'altra. E la padrona dell'appartamento dove stavamo diventava sempre piu' insopportabile. Faceva vedere la stanza da noi occupata, per affittarla ad altri, a nostra insaputa e pretendeva ancora che facessimo il sorriso deficiente al visitatore. “Io non la reggo”, dicevo al mio convivente. E uscivo di casa per evitare di insultarla ad alta voce. Andavo a sdraiarmi sull'erba, nel parco vicino e piangevo. Mi sembrava di non possedere piu' nulla: territorio, famiglia, casa, dignita' e non confidavo piu' nemmeno nei miei studi. A Londra non ero nulla, non avevo niente. Se non avessi trovato lavoro non avrei neanche potuto vivere a fianco della persona che amavo.
Ma mi consolavo pensando che e' piu' facile ricostruire dopo aver distrutto tutto, piuttosto che partire dalle fondamenta danneggiate.
Io e il mio ragazzo concordammo di alzare il budget di spesa e interessarci ad offerte di appartamenti piu' costosi. Visitammo una casa gradevole. Ma la padrona, l'unica “vera inglese” finora incontrata, non ci prese in considerazione, pur avendole in buona fede e onesta' illustrato la nostra situazione: il mio ragazzo studente di dottorato con borsa di studio ed io, da circa un mese, “sbarcata sull'isola” senza aver ancora trovato un'occupazione.
Finalmente trovammo la casa ideale, dove mi trovo tuttora, con contratto regolare, luminosa, spaziosa per due/tre persone anche se arredata in maniera spartana. Non e' economica, ma la spesa e' ragionevole per la qualita' offerta e in paragone a cio' che offre la realta' londinese. Inoltre il proprietario e' una persona affidabile e si dimostro' comprensivo e disponibile a venire incontro alle nostre esigenze, dopo aver inquadrato la nostra situazione.
Forse fu il rifugio confortevole, a farmi ritrovare la tranquillita', la dignita' e l'autostima necessari per trovare un lavoro qualificato.
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