lunedì 30 maggio 2011

L'espressione del talento

"Cosa vuoi fare da grande?".
L'artista: la pittrice, la scrittrice, la cantante o l'attrice. Questa era la mia risposta, prima della fine della scuola dell'obbligo. Era piuttosto vaga, ma molto consapevole, esprimendo fedelmente le attivita' che impegnavano il mio tempo libero. Finiti i compiti, ero sempre con un foglio, una matita e tanta fantasia. Spesso corredavo anche le mie ricerche scolastiche con immagini che evocavano gli argomenti assegnati: il Risorgimento, il corpo umano, gli insetti, la regione d'Italia che preferivo... La mia fantasia trovava forma non soltanto nel disegno, ma anche nella scrittura.
Il lunedi' per me era il giorno piu' bello della settimana perche' in classe veniva sempre assegnato il tema d'italiano, occasione per poter raccontare, descrivere, esprimere le mie sensazioni, rivivere o riflettere sul fine settimana trascorso. Nelle mie pagine c'era allegria, malinconia, rabbia, noia, ma anche l'espressione di una bambina che odiava essere bambina, che voleva essere considerata, ascoltata, incoraggiata, che odiava l'ipocrisia e la falsa realta'. Questa "bambina" voleva esprimere se' stessa completamente, non soltanto per mezzo delle immagini o della scrittura, ma anche per mezzo dei suoni e delle parole.
La musica e' sempre stata sottofondo dei miei pensieri e accompagnamento delle mie giornate. Ho sempre cantato, in casa ma anche in pubblico, ogni qualvolta ne ho avuto occasione: il coro natalizio, le feste ... Il mio tono di voce e' sempre stato alto, affinche' tutti potessero sentire e perche' la passione ha alti volumi. Suonavo anche il pianoforte. Avevo talento, ma poca pazienza per il solfeggio. Forse, piuttosto che riprodurre i suoni tramite uno strumento, preferivo imitare le voci dei cantanti o degli attori.
Rivedevo piu' volte gli stessi film, per esercitarmi a recitare, a mettere in scena le stesse emozioni. Poi inventavo una storia e i personaggi prendevano forma con le Barbie, che diventavano madri, avventuriere, prostitute ... Coinvolgevo mia sorella o mia cugina, che mi aiutavano a organizzare la scena e i costumi.
"Bello, bello" era la risposta di mia madre al mio desiderio di voler essere un'artista.
Non ero soddisfatta, mi stava solo assecondando. Non poteva essere bello tutto quel che facevo, a prescindere, soltanto perche' opera di sua figlia. Mio padre invece non mi assecondava. Apprezzava i miei temi scolastici, i miei disegni, le mie canzoni, la mia iniziativa e quando necessario esprimeva un parere critico, dandomi degli spunti di riflessione su come migliorare. 
Tuttavia non mi ha mai esortato a perseguire una carriera "artistica", irrazionale. "Meglio una vita tranquilla, meglio cercare di controllare le proprie emozioni, meglio restare indifferenti che esporsi." Mi diceva.
Ammiravo mio padre, avrei voluto assomigliarli. Era molto intelligente, erudito, razionale, ma anche creativo. Non aveva talento artistico, ma ingegneristico. Aggiustava ogni oggetto che si rompeva in casa e si divertiva a costruire "diavolerie elettroniche".
Mi sarebbe piaciuto aiutarlo con i suoi marchingegni. Ma non avevo assolutamente talento e predisposizione.
Cercavo in lui un parere quando gli chiedevo di leggere il tema d'italiano assegnato per casa dalla maestra, ma cercavo in lui aiuto e conforto quando gli chiedevo di controllarmi i problemi di matematica.
 "Rileggi bene il testo del problema prima di rispondere". Mi diceva. E finalmente poi riuscivo a risolvere il problema.
L'unico modo per "raggiungere" mio padre era quello di diventare razionale e "matematica".
"Allora, cosa vuoi fare da grande?"

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