Ero sempre fuori casa, tranne per desinare e dormire, momenti in cui la mia assenza non era ancora tollerata. Mia madre esasperava il vitto: "Cosa mangi e come mangi fuori?"; mio padre l'alloggio : "Con chi e dove dormi?". Gli unici elementi che mi legavano alla famiglia, e che quindi limitavano la mia indipendenza, erano la tavola e il letto. Ma io chiedevo sempre di piu'. Mio padre riguardo al letto era inflessibile, ma riguardo alla tavola per fortuna era indulgente.
Richiedevo sempre piu' tempo da trascorrere con gli amici. Soffrivo quando non li vedevo e quando non erano disponibili. Inoltre mi sentivo inetta quando non conoscevo persone nuove. La mia felicita' dipendeva dagli incontri occasionali in discoteca, al luna park o dove capitava. Ma cosa cercavo veramente? In fondo cercavo amore. Frequentavo diversi ragazzi, ma in realta' ne avrei voluto uno solo. Avrei voluto una persona con cui instaurare un rapporto esclusivo, speciale. Ma non la trovavo. Forse perche' cercavo nel posto sbagliato o forse perche' mi trovavo nel posto sbagliato o forse era solo questione di tempo. Ma nella mia disperata ricerca mi divertivo e non avrei voluto essere altrove o vivere diversamente. Le mie esperienze erano esplorative, "orizzontali", non "verticali". Le mie amiche pero' erano il mio punto di riferimento, le persone a cui potevo confidare le mie vicissitudini senza tabu'.
Ma con loro non condivisi il mio disagio familiare. Non volli render loro partecipi dei miei problemi, della mia tristezza della mia "anormalita'". Non volli menzionare l'esistenza di una sorella con encefalopatia neonatale. Fuori di casa, infatti, era come se la mia famiglia non esistesse. Ero spensierata, leggera, come se io non avessi origini ne' radici. Ma se non avevo capo, non avevo neanche coda.
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