mercoledì 27 maggio 2015

Dialogo con la realtà


“Buongiorno Dott.ssa.”

“Prego evitare formalismi.”

“Sono la realtà.”

“Già.”

“Io sono la Realtà.”

“La realtà? Dunque, siamo in Italia, nel 2015, c'è Renzi al Governo, c'è disoccupazione, c'è ancora crisi, c'è ….”

“Non fare la spiritosa. Sono la tua realtà. Sei una ricercatrice esperta in statistica.”

“Sono anche madre.”

“Hai una laurea, un dottorato di ricerca e soprattutto un lavoro che devi riprendere tra non molto.”

“Ho una bellissima bambina che non ha ancora un anno.”

“Hai già chiesto sei mesi di maternità in più di quel che era previsto nel contratto di collaborazione. Te li han concessi, fin dall'inizio sono stati molto disponibili e comprensivi con te, cosa vuoi di più?”

“Non è così semplice.”

“Finalmente dopo tanto tempo di disoccupazione, o meglio di occupazioni occasionali, avevi trovato il posto che volevi. Ricercatrice, nella tua città, con un contratto decente anche se precario, in un ambiente piacevole. L'avevi meritato, con tutti i curricula che hai mandato spontaneamente in giro e gli incontri conoscitivi che hai proposto. E adesso che hai un contratto in essere non vorresti più tornare?”

“Vedi, cara Realtà, tu ragioni come tutti. Una volta era scontato che la donna rimanesse in casa a prendersi cura dei figli. Avevano pochi soldi in famiglia, eppure riuscivano a sfamare più persone. La gente non studiava, ma sembrava più intelligente, più autosufficiente. Sapevano produrre ciò che mangiavano. Adesso invece non sono neanche più in grado di far la spesa.”

“Non divagare.”

“Obiezione accolta, scusa. Adesso è scontato che una donna faccia i figli e poi torni subito al lavoro. La mamma ama talmente il suo bambino da essere accecata a tal punto che deve farlo crescere da altri.”

“Lascia perdere il sarcasmo. Svegliati, il mondo va avanti là fuori. Chi sta solo coi lattanti, perde i denti.”

“Chi sta solo là in mezzo perde i sensi.”

“Come sei patetica!”

“Insomma cosa vuoi? Forse ho perso interesse nel mio lavoro. Non ne ho sentito la mancanza. Certo i colleghi sono simpatici, un po' mancano. Però li posso sempre sentire o andare a trovare.”

“Che diavolo stai dicendo?”

“Quello che mi rende felice ora è poter stringere tra le braccia quella bambina. Persino le pulizie e i lavori da fare in casa non mi pesano perché li faccio per lei. Lei sta crescendo. Ha bisogno di me. Qualsiasi altro lavoro che posso fare: calcoli, modelli statistici, report …. non mi può dare la stessa soddisfazione che può darmi preparare le pappe per lei (anche se a volte non vuol mangiarle), cambiarla (anche se non sta mai ferma), portarla fuori (anche se a volte strilla), cullarla …. Niente ha più valore di vederla sorridere, qualsiasi cosa faccia per lei, e vederla crescere.”

“Si va beh, ma mica la stai lasciando per sempre.”

“Cara mia, guarda che dopo una giornata di lavoro sono stanca. Stare ore seduta davanti al pc mi rende nervosa, distaccata. Trascurerei la bimba. I bambini piccoli risentono molto della volubilità della madre. E in più sai che stress avanti e indietro al nido. Lava questo, porta questo. E per un minimo raffreddore, addio lavoro o trova baby sitter. Non parliamo poi del week end. Non potrei mica starmene tutto il giorno tranquilla con lei. No, devo pure veder certa gente che esige di veder la bambina. No, non ce la posso fare.”

“E che fai?”

“In fondo non abbiamo tutta questa esigenza di avere due stipendi (o meglio uno e mezzo, tolte le spese del nido). Sappiamo vivere bene usando la testa. Abbiamo poche esigenze di merci, ma tante in affetto e tempo da trascorrere insieme. La bambina ha bisogno di braccia aperte, piuttosto che di tasche piene. “

“Mi stai forse dicendo ...”

“Già. Cambio lavoro.”

“Ti hanno mica assunto dove hai fatto l'ultimo colloquio?”

“Macché! Quello è un posto di persone infelici”.

“Sarà stato infelice, ma era garantito. Intanto il cv per curiosità l'hai mandato.”

“Certo, io valuto ogni possibilità, ma il colloquio mi ha dato conferma: loro ti danno la garanzia di uno stipendio vitalizio, ma in cambio devi vendere l'anima. Non lascerei mica il mio posto precario per quelli.”

“Tua madre lo diceva sempre che avevi talento per l'arte drammatica.”

“Ma cosa ne capisci tu di arte. Senti, vediamo se ti convinco parlando con il tuo linguaggio. Molta gente dice che ama, ma più che una botta e via non sa fare. O forse si accontenta solo di quella. A me non basta. C'è chi si sposa e poi si trasferisce lontano da casa per lavoro. A queste persone è sufficiente vedere il coniuge e figli nel week end. A me non basterebbe. C'è chi passa il tempo con gli amici che trascorrono tutto il tempo con lo smartphone. Io no. Capisci? Sono fuori e fuori rimango. Fuori si respira.”

“Però vuoi rimanere a casa.”

“Certo, meglio in casa se fuori l'aria è inquinata.”

“Senti con te un discorso non lo si può fare.”

“Mio padre diceva che avevo sempre l'ultima risposta.”

“Già, e quale sarebbe?”

“Sarebbe che ho deciso di rinunciare al contratto di lavoro per badare a mia figlia.”

“Tu sei pazza. Rischi di non lavorare mai più.”

“Io sarò una pazza drammatica, ma tu sei pessimista.”

“Lo sai come funziona! Anche se sei precaria, una volta dentro trovano sempre un modo per farti continuare a lavorare, ma una volta fuori non ci entri mai più.”

“Sei sicura? Te lo dico io come realmente funziona. Un uomo ad un certo punto diventa vecchio senza più forze e, in prossimità della morte, ripenserà alla sua vita. Non cambia nulla se ha studiato oppure no. Non cambia nulla se abbia fatto tanto lavori o se ne abbia fatto uno solo. Non cambia nulla se ha avuto tante donne o se ne ha amato solo una. Non cambia nulla se è ricco o se è povero. Lui sta morendo. E se ciò che ricorda della vita che ha fatto lo fa sentire vivo, allora ecco il suo significato. Ecco un uomo realizzato. Ecco che può morire in pace. E se io tra un anno ripenserò all'anno passato, sarò felice perché avrò seguito mia figlia. Mia figlia cambia ogni giorno e una madre distratta dal lavoro non se ne accorge. Se tornassi al lavoro, tra un anno ripenserò ai calcoli, agli studi e non mi sentirò viva. Mi sentirò solo una ruota di un carro che non è il mio. No, cara mia. Se non sei un pezzente (e la maggior parte delle persone non lo è) il lavoro deve darti talmente tanta soddisfazione da giustificare il fatto che ti assorbe la giornata. Ma se hai un altro obiettivo, anche se soltanto per un anno, non vedo perché non dovresti riagganciare.”

“Per non perdere la priorità acquisita.”

“Ecco, non voglio perdere la priorità acquisita: mia figlia.”

E così rinuncio al contratto. Non avevo percepito nessun compenso per la maternità. Quindi non devo nulla a nessuno. Ho avvisato i responsabili per tempo, per non recare danno. Il futuro? Non mi spaventa perché vivendo bene il presente so che sarò felice domani. Sono sicura che, quando riterrò opportuno tornare a lavorare, qualcosa farò. In ogni caso, mi assumo la responsabilità della mia scelta. Che ora mi trovi a casa e che non stia sfruttando le mie competenze professionali non mi preoccupa. Per ora ho altri impegni. In fondo ho studiato per avere più opportunità, compresa quella di poter accudire la bimba a tempo pieno finché necessario.

Nessun commento:

Posta un commento