domenica 20 novembre 2011

La filosofia del dubbio


E mi sento “appesa”, formalmente legata ancora all'attuale contratto di lavoro, ma di fatto gia' inoccupata.
L'importante e' finire, concentrarsi sul lavoro da portare a termine, senza poterne iniziare uno nuovo. Il capo gia' di fatto non mi considera piu' come sua dipendente: non si preoccupa se vengo in ufficio o se lavoro da casa, se partecipo alle riunioni o meno.
D'altro canto, non posso giustificare la mia assenza, ma nemmeno dimostrare la mia presenza.
E resto immobile, nel dubbio.
Certamente la ricerca nell'unita' di terapia intensiva dell'ospedale andra' avanti, quando me ne saro' andata. E allora, qual e' stato il mio contributo?
Ho portato a termine degli studi che dovrebbero essere pubblicati. Ma il mio scetticismo e il mio distacco dal lavoro svalutano, o addirittura annullano, il valore aggiunto frutto di tale esperienza.
Mi sembra di non aver contribuito soltanto perche' non ho realizzato le mie aspettative, pur avendo esaudito le richieste del capo. E le mie aspettative vanno oltre le prestazioni professionali.
Torno in Italia essenzialmente per riprendermi la mia vita e per poter anche trascorrere il mio tempo con gli amici, che mi mancano parecchio. Torno in Italia per poter riprendere cio' che i miei obiettivi scolastici, e in seguito le mie disgrazie familiari, hanno distrutto: la mia predisposizione a voler aiutare gli altri e a voler collaborare per migliorare la societa' e non soltanto per ottenere riconoscimenti personali e titoli.
Infatti mi sembra di possedere soltanto titoli, sebbene ottenuti con sacrificio e determinazione. Ma il sacrificio non aggiunge valore al risultato, al contrario di cio' che credevo in passato. Il sacrificio, cosi' come la devozione, costituiscono soltanto il prezzo pagato per ottenere i risultati, ma non aggiungono valore a cio' che si possiede.
Che ne e' rimasto del mio perfezionismo negli studi? Soltanto il ricordo del riconoscimento e dei complimenti ricevuti dai docenti. Ma una volta che il prezzo e' gia stato pagato e il corrispettivo ricevuto, rimane il valore che attribuiamo a cio' che possediamo.
Ed e' per questo che adesso ho la sensazione di avere soltanto un titolo di studio, privo di qualsiasi altro valore da me riconosciuto. Un titolo che spesso non mi consente di ottenere soddisfazione dal mio lavoro e di esprimere la mia personalita'. Un titolo, di cui dubito la professionalita'. Un titolo che invece i miei ex compagni di studi universitari, seppur taluni con una votazione inferiore alla mia, hanno saputo valorizzare. Ho voluto ottenere quel titolo perche' presentava vantaggi competitivi sul mondo del lavoro. Ma trascuravo il fatto che tale vantaggio si annulla se non si sfruttano le occasioni per usufruirne. Quindi serve a poco studiare per avere piu' possibilita' professionali se poi quelle opportunita' non si sfruttano, per predisposizione o per mancanza di interesse.
E resto nel dubbio se riusciro' a trovare un impiego che oltre al mio titolo sfrutti anche le capacita' che voglio sfruttare. Le seconde sono piu' importanti delle prime per ottenere soddisfazione personale. Ma l'importante e' iniziare, iniziare una nuova carriera, e forse una nuova vita, muovendosi nella direzione della novita', uscendo, anche solo temporaneamente dal dubbio, dal buio, dall'incognito che seduce, ma trascina nell'ignoranza, rendendoci inermi, inflessibili, incapaci di prendere alcuna decisione.
Ma ancora per tre settimane saro' appesa alla vita londinese che, dopo aver ottenuto una casa, un lavoro, un conto in banca, e' stata imperniata sull'attesa. 
Attesa per iniziare a lavorare, attesa per i dati da analizzare, attesa per concludere un lavoro di fatto per me gia' concluso. Attesa, perche' la cultura inglese e' basata sulle attese: file allo sportello, nei negozi, nei locali, alle fermate del bus, ovunque. Attese, per evitare di lottare per ottenere.
Ma io preferisco lottare per conquistare, piuttosto che aspettare il mio turno affinche' cio' che desidero arrivi da me.
Anche l'attesa, come il dubbio, paralizza. Finche' rimarro' nella “filosofia del dubbio” e nell'attesa, saro' immobile, non potro' far progressi nel pensiero e nel movimento: un sasso a riva, che aspetta l'onda per essere portato via. 
Banksy Graffiti Bristol

1 commento:

  1. "To choose doubt as a philosophy of life is akin to choosing immobility as a means of transportation." Yann Martel - Life of Pi

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