giovedì 25 agosto 2011

Terreno fertile

I presupposti per un buon inizio nella nuova citta’ esistevano. Il luogo di lavoro era in una villa, collocata in un paesino in posizione collinare in mezzo al verde, lontano dal traffico cittadino. Ebbi la fortuna di trovare casa ad un passo dal lavoro. Era un bellissimo posto, dove mi sentivo tranquilla, in pace. Inoltre feci amicizia con la padrona di casa, una signora molto gentile e disponibile con la quale era piacevole anche scambiare pensieri e riflessioni personali.
Anche al lavoro mi sentivo a mio agio e non percepivo minimamente lo stress, pur essendo molto impegnata con studi e analisi varie. Cio' grazie all'ambiente piacevole: colleghi molto simpatici e spiritosi, ma anche solerti e diligenti ed il capo, persona davvero eccezionale. Del mio ex capo apprezzavo l'entusiasmo coinvolgente nello svolgere il lavoro e nel condividere le sue ottime conoscenze, la sua disponibilita' al dialogo e l' interesse e considerazione mostrati non solo nell'attivita' professionale, ma anche verso i dipendenti o i collaboratori. Pur essendo molto indaffarato, si soffermava sempre a spiegare in dettaglio il lavoro da fare. Mi sentivo guidata, non subordinata o strumentalizzata: il capo lavorava con me, al mio stesso livello. Non si limitava ad ordinare X e Y, ma mi insegnava passo dopo passo. Ed io imparavo ed ero motivata a voler imparare sempre di piu', non studiando su aride dispense o libri inpolverati, ma lavorando con lui e interagendo con i miei colleghi. Percepivo la vacuita’ del mio ideale puramente astratto di “Eccellenza”. Qual era il senso di pagare con l'alienazione e l'antipatia sociale il raggiungimento di un livello elevato? Essere eccellenti ed allo stesso tempo sorridenti, simpatici e umani, non trascurando le proprie attivita’ ricreative e mantenendo la propria personalita’ e dignita’ era possibile: il mio capo ne era un esempio.
Non sentivo piu’ il bisogno di un modello astratto: la realta’ era piu’ affascinante. Non percepivo nessun vantaggio a rifugiarmi nella mia isola poiche’ vivevo serenamente nell’ambiente dove mi trovavo e le persone mi incuriosivano. Ormai non mi attiravano piu’ i testi accademici. L’osservazione dell’ambiente circostante dava maggiori stimoli. Inoltre non sentivo piu’ l’esigenza di essere autodidatta quando tutto cio’ che volevo apprendere potevo impararlo dal capo e dai colleghi.
In un ambiente tale potevo concepire il concetto di “far carriera”. Nonostante la paga non fosse incentivante, tenuto anche conto delle spese di alloggio e trasporto che dovevo sostenere vivendo lontano dalla famiglia, ed il lavoro fosse precario, il terreno era fertile per una crescita personale e professionale. Non percepivo il tempo passato davanti alla scrivania come tempo sprecato. Non guardavo costantemente le prime due cifre dell’orologio aspettando di leggere 18. Non mi annoiavano, anzi mi divertivano, i discorsi che sentivo in pausa pranzo o in pausa caffe’. Non sentivo nessun desiderio di evasione o prevaricazione. Volevo essere simpatica e collaborare al meglio. Non percepivo la routine lavorativa: ogni giorno era diverso, nonostante le analisi a volte fossero ripetitive. Inoltre avevo occasione di parlare in pubblico: di presentare i lavori durante i meeting o le conferenze mediche. Il lavoro sfruttava bene le mie capacita’ e conoscenze, ma soprattutto la mia personalita’ ed il mio temperamento “artistici” venivano accettati. Pertanto la mia indole non sentendosi repressa e rifiutata, tendeva naturalmente ad adattarsi e integrarsi alle esigenze lavorative.
Nessuna giacca e cravatta, nessuna divisa: solo persone che vogliono contribuire ad interpretare in maniera corretta la realta’ clinica, nelle terapie intensive italiane, e a suggerirne possibili miglioramenti. Non solo lavoratori, ma membri di una squadra, ognuno con il suo ruolo e la sua personalita’. Nessuna rivalita’ tra loro. Nessuna subordinazione alle esigenze di mercato o alle mere pubblicazioni scientifiche. Una fervida attivita’ di studio e scambio di conoscenza. Un vero centro di ricerca con degli obiettivi concreti.
Capii’ che l’ambiente lavorativo, l’organizzazione e le persone con cui si interagisce sono gli aspetti fondamentali del lavoro. Da essi infatti dipende la qualita’ delle giornate e quindi della vita stessa. Qualita’ che viene percepita soltanto a livello individuale: non definita in termini oggettivi e astratti, ma dettata soltanto dalle nostre esigenze. I titoli accademici richiesti, la responsabilita’ delle mansioni, la paga, la scadenza del contratto, il “prestigio” idealizzato del lavoro, definito da una Legge esterna e non dalla nostra Natura non devono condizionare la scelta lavorativa. Se e’ possibile scegliere, perche’ non seguire la strada che migliora la qualita’ della nostra vita e da cui dipende anche la nostra felicita’?
Se la mia felicita’ fosse dipesa soltanto dal lavoro, sarei ancora li’ adesso. Ma la mia vita privata necessitava di qualcos’altro. Era incompleta. Cosa mancava? O meglio, chi mancava? Una persona che al momento era lontana. 
 

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