lunedì 22 agosto 2011

Nomadismo

Negli ultimi sei mesi di dottorato avevo trovato un lavoro part-time come assistente di ricerca nello stesso dipartimento di matematica e statistica applicata all’economia. Nonostante gli incarichi assegnatomi fossero operativi e l’ambito di ricerca non mi incuriosisse particolarmente, il lavoro mi piaceva perche’ sfruttava le mie capacita’ e mi coinvolgeva nella stesura degli articoli scientifici che i docenti avrebbero pubblicato menzionando la mia collaborazione. Mi si chiedeva di analizzare dati o di fare delle simulazioni, di leggere le bozze degli articoli e correggerne gli errori, di controllare le referenze bibliografiche... Il lavoro da svolgere era ben definito, ma non lo erano il modo ed i mezzi usati per ottenere i risultati, che dipendevano  dalle mie conoscenze statistiche e/o informatiche e dalla mia motivazione ad acquisirne nuove. Potevo organizzarmi il lavoro arbitrariamente, lavorando di giorno oppure di notte, a casa o in ufficio, purche’ rispettassi le scadenze di pubblicazione e gli appuntamenti con i docenti per discutere dei risultati. Grazie al dialogo e al confronto con gli esperti, non percepivo l’isolamento. Inoltre la necessita’ di utilizzare particolari risorse informatiche mi legava all’ufficio e mi dava l’occasione di socializzare di piu’ con gli altri studenti di dottorato e con i ricercatori.
Quando conseguii il titolo di dottore di ricerca continuai il lavoro per qualche mese. Inoltre collaborai come assistente alla docenza del mio ex relatore della tesi di laurea. Tenevo le esercitazioni agli studenti in aula, correggevo gli esami, elaboravo del materiale didattico e avevo il contatto con gli studenti. Mi sarebbe piaciuto molto proseguire e far carriera come insegnante. Anche il professore mi avrebbe incoraggiato, ma purtroppo non aveva potere decisionale nel dipartimento perche’ si era sempre occupato di didattica trascurando, per ragioni che condividevo, l’attivita’ di ricerca scientifica. E nel mio dipartimento non avrei avuto possibilita’ perche’ non vantavo pubblicazioni scientifiche rilevanti nelle attivita’ di ricerca di interesse dei docenti. “Cambiare aria, cambiare citta’ ”. Fu il suggerimento del docente.
Pertanto, mentre continuavo a lavorare come assistente, cercavo impiego altrove, spinta anche dall’imminente scadenza del mio contratto.
Epidemiologia era il campo di ricerca piu’ vicino ai miei interessi e piu’ attinente a cio’ che avevo studiato al dottorato. Infatti i dati si riferivano a persone e non ad entita’ astratte o ad oggetti materiali. Le informazioni erano complesse da analizzare e la complessita’ mi affascinava. Inoltre avrei acquisito conoscenze di base in ambito clinico, e competenze specifiche in ambito statistico. Infatti, per quanto avessi delle ottime nozioni teoriche, peccavo di  esperienza con dati reali e con i modelli piu’ usati nella prassi. Trovai lavoro come statistica in un centro di ricerca in epidemiologia clinica a circa duecento chilometri dalla mia citta’. Il pensiero di lasciare la mia casa, il mio rifugio e di essere lontana dalla mia famiglia subito mi intristi’, dandomi la percezione della futura nostalgia che avrei provato. Ma poi prevalsero il mio spirito di avventura ed il fascino per le novita’, la voglia di andare avanti, iniziando una nuova carriera in un’altra citta’, incontrando nuove persone e staccandomi dalla mia dimora. Avrei potuto vivere libera da condizionamenti da luoghi vissuti e da persone note. Avrei potuto vivere seguendo soltanto la mia indole e il mio istinto, non essendo nella nuova citta’, legata sentimentalmente a nessuna persona, non possedendo nessun oggetto immobile e non avendo pratiche amministrative da sbrigare. Avrei ricominciato la mia vita vivendo alla giornata. Il cielo e l’ambiente circostante avrebbero determinato la mia direzione. Nessun altro obiettivo. In fondo ambivo a contribuire con successo all’attivita’ lavorativa che dovevo iniziare. Ma non era la mia priorita’. Volevo partire, in balia degli imprevisti. Soltanto l’abbandono di cio’ che aveva influito all’imposizione della mia Legge e alla definizione del mio Ideale mi avrebbe consentito un’esistenza in linea con le mie forze vitali ed il mio istinto. E, in quel momento, l’unico modo per conseguirlo fu il “Nomadismo”.
Ma nuovamente le avversita’ mi ostacolarono e mi impedirono di godere pienamente della mia nuova condizione. La mia famiglia era il legame che, non la mia Legge, ma la mia natura mi impediva di rompere. Inoltre ero ancora profondamente legata al mio ex convivente. 

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