venerdì 26 agosto 2011

Il moto pendolare


Mia madre stava di nuovo male. Stavolta il cancro aveva colpito il cervello e gli effetti sarebbero stati devastanti. Subito dopo la diagnosi, fece delle terapie che furono efficaci per qualche mese e le permisero di condurre una vita normale. Ma poi gradualmente la situazione peggioro’. Era pericoloso lasciarla sola in casa. Si sentiva confusa. Spesso non capiva dove si trovava e a volte scambiava me per mia sorella.
Andavo a trovarla tutti i week end. Facevo il possibile per aiutarla, ma soprattutto per aiutare mia sorella, che badava a mia madre e all’altra mia sorella invalida tutto il tempo, aiutata soltanto in parte dall’assistenza sociale diurna. Pero’ era veramente difficile trattare con mia sorella. Aveva una dipendenza affettiva, quasi morbosa, nei confronti di mia madre. Le sembrava normale stare tutto il giorno in casa e non lavorare per badare alla madre e alla sorella. Ed era apprensiva. Non riusciva a distrarsi. Esisteva solo la madre per lei e mi considerava un’egoista perche’ lavoravo, vivevo in un’altra citta’ e venivo a trovare la mamma soltanto nel fine settimana. Non capiva affatto quanto fosse faticoso nel week end, dopo una settimana di intenso lavoro, alzarsi alle cinque del mattino e dopo, quattro ore passate sui mezzi pubblici, vedere la mamma che peggiorava di volta in volta. Non capiva il mio dolore nel ripartire la domenica pomeriggio per ritornare a vivere lontano chilometri. Mi spiaceva essere lontana. Ma avevo diritto anche io a vivere. Sarebbe stato un vano suicidio se anche io avessi mollato tutto e fossi rimasta tutto il giorno con la mamma. In ogni caso non sarebbe guarita. Inoltre avrei rischiato anche io di alienarmi, e cio’ avrebbe potuto soltanto peggiorare la situazione, visto che mi ero appena ripresa dal mio malessere. Invece vivere una vita serena durante la settimana, mi dava le forze e lo spirito necessario per affrontare l'atmosfera infernale del week end.
Dopo circa quattro mesi dal mio trasferimento, pero’ la situazione divento’ critica: mia madre non camminava piu’. Mia sorella si rivolse ad una badante. Opinai che fosse meglio inserire mia madre in una struttura. Ma mia sorella non ne volle sentire parlare. Non voleva che andasse via di casa, a meno che non la ricoverassero in ospedale. “Ma non ti rendi conto che in casa non si hanno le strutture adeguate per poterla assistere? Neanche la badante riesce a farle il bagno.” Le dicevo. E le assistenti sociali minacciavano di intervenire. Ma io preferivo non contrastare la scelta di mia sorella che, nonostante il suo atteggiamento immaturo, era una persona responsabile. L’atteggiamento autoritario nei suoi confronti, in questa situazione, non avrebbe fatto che peggiorare il nostro rapporto gia’ difficoltoso.
In fondo, capivo quello che provava. Era come sentirsi in dovere di assistere alla demolizione della propria casa che, all’improvviso, viene giudicata pericolante. Temeva quello spettacolo e non voleva assistervi, ma non voleva neanche attivarsi per scappare o per ridurne le conseguenze. Soltanto qualcuno di sua fiducia poteva evitarle quella visione e tutte le pratiche successive. Qualcuno a cui lei avrebbe lasciato in mano la situazione e di cui anche mia madre si sarebbe fidata. Soltanto io potevo prendermi quell’incarico ed evitarle un eventuale trauma. Era l'unica cosa che potevo fare per lei. Ma il rischio di non poter intervenire al momento opportuno era elevato. Ma forse potevo sperare di individuarlo osservando attentamente la situazione, settimana per settimana.
E intanto pendolavo, tra un binario e l’altro, tra domicilio e residenza familiare, tra la mia vita e quella di mia madre.

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