lunedì 24 maggio 2021

Il secondo errore

Quando scoppiò la pandemia, mi preoccupai per mia sorella S. All’inizio temevo si contagiasse, vivendo in una comunità per disabili e dovendo spesso esser ricoverata in ospedale per problemi inerenti alla colectomia, che anni fa aveva subito, e che richiedeva controlli e cure periodiche o urgenti. Poi quando effettivamente si contagiò, insieme ai suoi conviventi, e nessuno ebbe effetti più gravi di un’influenza, cominciai a temere il fatto che il suo bisogno di assistenza e di cure ospedaliere passasse in secondo piano rispetto alla cura dei malati di COVID. 

Ebbi un presagio: se avesse superato il 2020, non sarebbe arrivata alla fine del 2021 per mancanza di attenzione e di disponibilità alla cura della sua patologia. E così fu.

Una notte, verso le 3, squillò il telefono inaspettatamente. Mia sorella S. era deceduta per polmonite ab ingestis. Rimasi impietrita. Non potevo nemmeno partire immediatamente, potendo solo viaggiare con i mezzi pubblici che non circolano di notte. E poi, vista la situazione della pandemia, che era al momento critica in Svizzera, avrei dovuto fare la quarantena sia all’ingresso in Italia che al ritorno in Svizzera. Non avrei neanche potuto esser di aiuto a mia sorella A. e avrei rischiato di star ferma più di un mese per un evento irreversibile a cui purtroppo l’unico rimedio era la rassegnazione. E così mi rassegnai, lì, lontana, ignara. E poi cercai di visualizzare l’accaduto, ma non riuscivo a focalizzare le circostanze del decesso.

Si era recata d’urgenza in ospedale per i soliti disturbi. Era entrata camminando, quindi non era in fin di vita. Era COVID negativa. Non aveva crisi respiratorie quando è entrata. E’ rimasta in ospedale per neanche 24 ore e, poco prima che i medici pensassero di dimetterla, è morta per soffocamento da inalazione. Cosa era successo? In tempi normali, estranei alla pandemia, c’era sempre qualcuno ad assisterla costantemente: un operatore della comunità disabili o mia sorella. Ma vista la pandemia, a nessun ospite erano consentite la permanenza e l’assistenza ai pazienti. Pertanto non si è potuto avere testimoni, se non i medici stessi i quali hanno però dato spiegazioni piuttosto lacunose. “Un pezzo di cibo”. Ma se si nutriva con un sondino! Com’è possibile? “Probabilmente è stato il reflusso che spesso aveva”. Il magistrato si arrese a questa seconda ipotesi e non dispose neanche l’autopsia.

In seguito alla pandemia, si è dimenticata l’esistenza di cause di morte dubbie o sospette, a meno che il sospetto non sia il vaccino anti-COVID. Si cerca di evitare di indagare e chiudere i casi in fretta. poiché sono tutti oberati dal COVID. Non si può perder tempo con una disabile totalmente incapace, deceduta magari perché si è pure tirata via il sondino da sola.

E così il magistrato, seppur dubbioso (ma i dubbi in questo periodo sono eresia) si arrese all’omertà, firmando il nulla osta per procedere al funerale.

Vivo la scena da lontano. Ma quella lacuna sulla sua morte mi fa pensare al peggio. Un omicidio colposo: l’assassino è un infermiere menefreghista, incompetente oppure solamente stanco e provato da questa pandemia, che ha commesso un errore durante il posizionamento del sondino nasogastrico. Anche se immaginassi l’ultima ipotesi, cercando di provare un minimo di comprensione per “caino”, la situazione non cambierebbe. E non cambierebbe nemmeno se pensassi all’ipotesi di inalazione del suo stesso reflusso senza l’ingerenza di una mano visibile.

Eppure cambierebbe se pensassi che non siano complici medici e magistrati omertosi. Cambierebbe perché ora potrei capire, potrei visualizzare correttamente l’accaduto, invece che immaginare il peggio. Potrei ricevere delle scuse da chi ha commesso l’errore fatale e potrei decidere se accoglierle e perdonare i colpevoli, vista la situazione. Potrei avere un po’ più di fiducia sul personale ospedaliero: non hanno colpe e quando le hanno lo ammettono e attuano provvedimenti per disincentivarle. Potrei avere un po’ più di fiducia nei magistrati. Potrei avere di conseguenza anche più fiducia nella situazione attuale e nella gestione della pandemia da parte delle altre aziende ospedaliere e dei medici e credere che non siano mai stati responsabili di aver abbandonato i pazienti malati di COVID, i quali sono stati uccisi effettivamente ed esclusivamente dal virus.

E invece no. Ti sogno mentre soffochi. E io soffoco la mia rabbia, il tormento e ogni dubbio, costretta a trasformarli in rassegnazione, se voglio andare avanti e non diventare pazza o ossessiva.

Ho dovuto soffocare il mistero sulla causa della febbre di mio padre: mistero che la “scienza” non ha saputo svelare. A distanza di 20 anni, tra l’altro nello stesso ospedale, devo soffocare il dubbio che la “scienza” non ha voluto svelare. E se la “scienza” ha fatto un passo avanti allora la trasparenza ne ha fatto uno indietro.

Ma la “scienza” è fatta di persone, a sua volta influenzate da istituzioni, a sua volta influenzate da politici, a sua volta influenzati da persone. È un circolo vizioso a cui ognuno contribuisce. E se non ci fidiamo delle persone, non ci fidiamo di nulla e l’autorità della “scienza” crolla.

La nostra vita è in mano ad altri quando nasciamo così come ritorna ad essere in mano ad altri quando moriamo. Con te, S., la “scienza” ha fatto errori due volte: in ospedale, durante il parto, un errore ha distrutto la tua intelligenza, ha segnato per sempre la tua vita e quella dei tuoi familiari. Un errore talmente grande che non è stato possibile risarcire: non saresti mai stata invalida senza quell’errore. Il secondo errore è stato commesso prima che tu morissi: senza quell’errore forse saresti ancora viva. Eppure anni fa abbiamo dovuto ringraziare la “scienza” per averti salvato la vita con un intervento che nelle condizioni in cui eri aveva scarse possibilità di riuscita. La stessa “scienza” che però, se ti ha allungato la vita ne ha peggiorato lo stato di invalidità e la qualità, costringendoti con sofferenza a sopportare ulteriori disagi e dolori.

Chi non ti ha mai abbandonato, se non i tuoi genitori per morte, e ha migliorato la qualità della tua vita è stata invece la tua famiglia, che non ti ha mai visto come un errore medico, ma ti ha attribuito la dignità negata. Pure chi è stato gentile e caloroso con te, come gli operatori della comunità disabili, ha migliorato la tua vita, trasformando in un sorriso quello sguardo impaurito di chi forse prova sofferenza, ma non la sa esprimere, di chi vive in balia degli altri. Perché se la “scienza” ti può dare la vita ed impedire che ti venga tolta, l’umanità che ricevi te ne fa apprezzare il valore.

Senza la tua famiglia che ti ha dato un nome, una casa, una storia saresti un semplice errore della “scienza”: un esperimento mal riuscito destinato ad esser nascosto se non addirittura eliminato senza alcuna traccia.


 

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