domenica 10 aprile 2016

Last train

Viaggiava chissà per dove, sul suo binario. Io camminavo per la strada di casa. Ma il suo fischio mi investì. Mi impedì di rientrare tranquilla, come se nulla fosse, come se fosse passato soltanto un treno. Un treno. L'ennesimo della giornata. L'ennesimo di una ennesima giornata. Chissà quanti treni sarebbero ancora passati ed io sempre lì, internamente scossa dal suo fischio, ma esternamente indifferente poiché non cambiavo strada. Eppure mille destinazioni sfuggivano sotto i miei piedi che attraversavano il cavalcavia. 

Credevo che prima o poi sarebbe passato il mio treno, l'ultimo. Il treno che mi avrebbe portato lontano, via da quella situazione. Il treno che mi avrebbe salvato dal marciapiede, dalla zona di comfort, dalla routine. 

Non ho mai perso un treno perché ho sempre saputo quale treno dovevo prendere. Ma al momento non dovevo prendere nessun treno e allora li stavo perdendo tutti. Tutti. Uno dopo l'altro. E non potevo farci nulla. 

Ma se non avevo intenzione di prendere un treno in particolare, perché mi interessavo a tutti quelli che passavano? Il fuggitivo non ha intenzione di prendere un treno in particolare, ma soltanto il primo che passa. Ed io come il fuggitivo aspettavo solo il mio treno, il primo possibile, la mia speranza. 

Da cosa volevo fuggire? Non poteva esserci un'alternativa alla fuga? Ormai non c'era più nulla da discutere. Se non si riescono a far valere le proprie ragioni nel posto dove si vive, meglio rinunciare al posto dove ci si trova piuttosto che alle proprie ragioni. 

E io ci speravo. Aspettavo il treno che mi portasse in un posto nuovo. Quali erano le mie ragioni? Ne ho sempre avute tante di idee, obiettivi, utopie … Ma stavolta le mie ragioni erano soltanto un po' di pace e tranquillità in un luogo meno inquinato, sotto diversi punti di vista. Un luogo con prospettive migliori, anche per mia figlia. Un posto nuovo, dove ricominciare. Una città nuova, una nuova nazione. Ma quale? E il treno, inaspettatamente, arrivò.


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