giovedì 14 agosto 2025

La "biondina garibaldina"

Quando una persona a te cara viene a mancare credi che tutto ti crolli addosso. Credi di non poter andare avanti perché non era quella la strada che avevi pensato di percorrere. Ti senti forzato, catapultato in una vita nuova, vuota senza quella persona. Ma più vai avanti nel tuo nuovo percorso e più ti accorgi che in fondo quella persona è sempre stata lì con te e non ti ha mai abbandonato. Quindi questa persona non ti manca più, non perché l’hai dimenticata, ma perché, al contrario, l’hai pensata talmente intensamente da farla rivivere. Il rapporto non è più fisico: non puoi più abbracciarla, baciarla o prenderla per mano, ma spirituale. Puoi vederla nella tua immaginazione e sentire la sua voce, veder il suo sorriso quando fai qualcosa di sbagliato che non ha gravi conseguenze. Puoi cercare il suo conforto quanto ti senti smarrito, quando ne hai bisogno.  

Oramai i miei genitori e mia sorella non mi mancano più. Un giorno forse ci rincontreremo, ma non ha importanza quando. Loro sono con me. Sono dei bravi nonni per mia figlia: sento che la guardano quando io non sono e non posso essere con lei. E mia sorella pure, non con le parole che non ha mi ha mai detto, ma con la sua presenza ballerina.

Ma non di loro parlerò in questa sede, ma di un’amica che non posso dire che non mi manchi; forse perché non è ancora passato nemmeno un anno da quando se n’è andata oppure perché perdere amici è diverso. Con gli amici di solito non convivi. Non c’è la loro continua presenza silenziosa tra le mura a stabilire un dialogo senza parole. Con gli amici fissi un appuntamento per vederli, per vivere insieme esperienze o per raccontare loro quelle non vissute insieme. Bevete insieme, mangiate insieme, ma in fondo non conta ciò che bevete, che mangiate o i luoghi che frequentate. Se invece all’improvviso ti ritrovi da solo, allora tutto questo pesa perché dietro quel caffè, quella birra, quella pizza o quella gita c’è soltanto il vuoto della loro assenza.

Ricordo il primo giorno quando ti vidi a scuola. Pensai di non aver nulla in comune con te. Tu troppo chiara, troppo bionda, troppo liscia e troppo spensierata. Io l’opposto. Poi ci parlammo per la prima volta al bar della scuola. Tu avevi la stessa tuta sportiva nera, della stessa marca, solo che la tua aveva le strisce verticali laterali bianche, la mia le stesse strisce, ma di color rosa. Capii che in fondo eravamo complementari o forse soltanto sfumature diverse dello stesso colore. In ogni caso, stavamo bene insieme e ridevamo tanto da avere mal di pancia. Con te mi dimenticavo dei miei problemi e anche della mia famiglia. Avrei voluto far parte della tua famiglia e della sua spensieratezza. Invece dovevo accontentarmi di essere felice solo quando uscivamo insieme da sole o con altri amici, quando andavamo a ballare, quando facevamo cavolate, quando non prendevamo nulla sul serio, nemmeno la scuola. A volte ti invidiavo. Avrei voluto essere al tuo posto. Entrambe attiravamo l’attenzione di diversi ragazzi, quando uscivamo insieme, ma tu li facevi innamorare, mentre io apparivo come lo specchio per le allodole, ma di fatto poi l’allodola ero io. Tu eri, come ti chiamava un vecchio professore un po’ eccentrico, la “biondina garibaldina”, mentre io ero “quell’altra”. Ma entrambe volevamo stare per conto nostro e non seguire le lezioni. Ben presto però capii che non viaggiavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ti bocciarono, io invece proseguii gli studi.

Non ho mai capito perché avevi difficoltà a scuola, visto che eri una persona intelligente. Ma in fondo non ha nessuna importanza, anche se io ora devo ringraziare di aver avuto degli obiettivi, di essermi impegnata duramente per avere avuto una vita migliore, in un altro paese, per potermi godere la vita, come non ho potuto fare in passato. Tu non avevi particolari obiettivi. Per te la tua famiglia, le tue cugine, i tuoi nipotini, i tuoi amici erano tutto. E forse vivevi per loro, anche se ne assorbivi i problemi, le preoccupazioni, talvolta la negatività, e questi continuavano a crescere dentro di te e ad appesantirti. Al contrario, io con gli anni mi sono alleggerita, liberata del passato, dei problemi, delle preoccupazioni, degli altri, raggiungendo uno stato di completa libertà, seppur non privo di responsabilità.  Non so se, al contrario di me, il prenderti delle responsabilità ti stressava, al punto da bloccarti, anziché farti sentire libera. Ricordo che ti stupivi quando ti raccontavo che partivo da sola per tre mesi, durante il mio dottorato di ricerca. Per te poi sarebbe stato impensabile lasciarsi tutto alle spalle e iniziare una nuova vita in un altro paese che non parlava la tua lingua.

Eri altruista, sempre disponibile, gentile con tutti, ma aspettavi sempre che qualcuno ti coinvolgesse a fare qualcosa. Una volta mi hai detto che ero pazza perché ero andata in discoteca da sola. Ma forse a volte uno si salva grazie a quella pazzia. Negli ultimi anni ero preoccupata per te. Dai tuoi messaggi capivo che c’era qualcosa, aldilà dei tuoi problemi familiari. Ma poi quando ci vedevamo, la tua serenità mi faceva credere che mi sbagliavo e che non dovevo preoccuparmi. Con gli anni però quella confidenza che avevamo da ragazzine si è persa. Io ti ho sempre raccontato tutto di me, anche cose di cui mi vergognavo. Tu forse hai smesso pian piano di parlarmi di te, dei tuoi sogni, dei tuoi desideri che forse trascuravi per gli altri e che reprimevi per via dei tuoi problemi. Riguardo la tua salute, non avrei mai immaginato fosse stata così cagionevole. Mi consola che non se l’aspettava nessuno perché forse non era solo con me che non ne parlavi. Ma è una magra consolazione. Ha anche poca rilevanza pensare che io ero quella che si sottoponeva ad esami invasivi per sospetti diagnostici poco felici (per fortuna solo sospetti). Ero io quella che aveva subìto almeno un intervento chirurgico necessario, che aveva avuto una gravidanza complicata e dopo la gravidanza che continuava ad avere sintomi poco chiari. Di recente, a parte i virus che ti beccavi nonostante i vaccini, non mi avevi mai riportato un problema di salute importante, se non l’ipertensione. Ma alla tua età, che era anche la mia, non avrei mai pensato che qualcosa avesse potuto esserti fatale.

E questo qualcosa rimane per me un mistero, anche se in parte mi sento responsabile per avere aggravato la tua situazione. Un giorno, a cuor leggero, ti dissi che pensavo di liberarmi di un ultimo pezzo del mio passato, l’appartamento che un tempo era dei miei nonni, e dove tu abitavi in affitto. Non pensavo che questo potesse buttarti giù. Te lo dissi due anni prima, ma soltanto quando fu ufficiale divenne per te un problema. Capivo le tue difficoltà, ma forse non fino a che punto fossero per te gravi. La comprensione delle esperienze altrui è limitata dalla propria percezione dei fatti. E la mia percezione è quella di una persona che ha vissuto diversi traslochi e spostamenti e in ognuno di essi ci ha visto un’occasione di rinnovo o di miglioramento, anche in situazione di difficoltà. Ma per te non era così. Tu preferivi vivere vicino a tua madre, anche se in una zona inquinata e in via di degrado. E la mia comprensione è limitata dal fatto di aver perso entrambe i genitori e di esser andata a vivere lontano dallo smog e dal degrado e di esser comunque felice delle mie scelte e di aver trasformato le tristi vicende in un percorso di autodeterminazione.

Non sto cercando in questo post l’occasione per liberarmi di un possibile senso di colpa o di trovare una spiegazione per la tua venuta a mancare. In fondo non esistono spiegazioni vere e proprie degli accadimenti, ma soltanto combinazioni. E purtroppo il fatto che il giorno prima l’agente immobiliare è venuto con un potenziale cliente ed il giorno dopo, quando dopo mesi dovevamo vederci, non ce l’hai fatta è soltanto una combinazione. Forse se non avessi deciso di vendere tu saresti ancora qui o forse no. Forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso o forse no.  Tuttavia mi sento a malincuore parte di questa combinazione, di questa possibile causalità o forse soltanto casualità. Ma ti scrivo per aver occasione di rincontrarti perché nonostante il peso di tutti i problemi e preoccupazioni che avevi eri e per me rimani sempre quella “biondina garibaldina” di cui tu, credo, avessi nostalgia. Eri una lettrice fedele di questo blog. Una delle ultime volte che ti ho vista mi hai chiesto perché non scrivevo più. Purtroppo mi hai dato un’occasione per ricominciare e dare forma al tuo ricordo. 





martedì 8 giugno 2021

L' "Anno Zero"

"Schwanden, me ne vado". 

"Te ne vai? E dove?" 

"In una zona piu' vicino a dove lavoro e dove ho iscritto mia figlia a scuola. Credo che presto obbligheranno l' "home office" e da dove abito, portare mia figlia a scuola, ritornare a casa e poi andarla a prendere e ritornare a casa vorrebbe dire trascorrere 4 ore sul bus. Poi sai, da quando hanno messo l'obbligo delle mascherine sui bus è diventato quasi insopportabile passare ore imbavagliati e a vedere tutti questi bavagli mi e' venuta tristezza e allora ho cominciato a guardare altrove: non le persone, ma le case e cosi' alla fine di questo anno matto ci trasferiamo. Cambiare casa renderebbe la situazione piu' accettabile. 

In quella zona non avrei ricordi di una vita normale. In quella zona iniziero' lavorando esclusivamente da casa. La nuova casa sarà il centro di ogni interesse. Sarà poi piu' luminosa e spaziosa. Non conosco nessuno in quella zona e nemmeno la zona stessa. Non passero' in luoghi a me noti, chiusi forse per un eventuale lockdown invernale. Se tutto sarà chiuso, non mi importerà visto che i boschi saranno aperti, come la collina e la via verso il lago. La natura mi salverà: ogni privazione sociale sarà compensata dalla molteplicità dei paesaggi naturali che vedro': boschi, colline, laghi, ruscelli. Tutto sarà accessibile a piedi dalla nuova casa. Non mi mancherà nulla se non la società, di cui ne sentirei maggiormente la mancanza se continuassi a restare qui. Qui ho ricordi: di luoghi sociali frequentati liberamente, di dialoghi con sconosciuti solo per praticare il tedesco, di incontri, di eventi, di attività ricreative e sportive, di bagni in piscina, di lavaggi condominiali in lavatrice, di aperitivi, di cene di lavoro. 

E' stato un trampolino di lancio in una nuova città, in una nuova nazione e in una nuova lingua. Le esperienze vissute, gli incontri e il sentirmi parte di un luogo mi hanno permesso di affezionarmi a questo posto, a differenza di Londra che ho solo percepito come un amante seducente col quale ci si gode solo il presente. Forse tutto questo è stato possibile perché ho iniziato una nuova vita, cosa che in Italia non sarebbe stata possibile, come madre, come avventuriera, come persona e come professionista. 

Schwanden, sei stato la campagna aperta, sfondo di un incredibile paesaggio. Ma ora ho bisogno di un rifugio, meno esposto alla vita sociale  e alla sua seduzione. Ho bisogno di un rifugio dove rinchiudere tutto, lavoro, pensieri, dove la natura sia unica fonte di ispirazione. Ma cerco una natura che ti catturi e ti impedisca di uscirne; non un campo aperto come te, Schwanden. 

Dopo cinque anni me ne vado, da un estremo all'altro della città: da nord-ovest a sud-est. Schwanden, ci sono cose che non ti ho raccontato. In questi cinque anni nuove filosofie oscure sono emerse. Pensavo di riuscire a parlartene. Ti ricordi? Avevo esordito con "è troppo complicato." E poi è scoppiata la pandemia, in questo anno che concludo con un trasloco. 

Questo anno, l'anno zero (già 2020), un anno che tutti avrebbero voluto saltare spostando il calendario avanti di un anno. Io invece avrei voluto spostare il calendario indietro perchè intuivo che l'anno zero sarebbe stato soltanto un anno di transizione verso una nuova era d.C. (dopo Corona): un'era che, da come si prospetta, non vorrei vivere. Un' era fatta di guerre biologiche e di difese vaccinali, dove la scienza crea gli stessi problemi che poi risolve. 

Eppure, basterebbe ascoltare di piu' la natura, vivere con meno problemi ed essere consapevoli che alla fine l'ultima parola ce l'ha lei. 

Schwanden, non avrei mai immaginato di lasciarti per trovare la libertà in questa "guerra biologica, sociale e sanitaria". Credevo che ti avrei lasciato per cercare fortuna in un altro paese, non per scappare dalla società o per cercare una casa piu' bella dove poter lavorare e rifugiarmi.

Schwanden, festeggero' i quaranta anni in una nuova casa. Sarà una festa esclusivamente in famiglia, anche se in fondo sogno un'occasione per rincontrare tutte le persone, per poter dialogare con il mio passato, per concludere cio' che è insospeso e per rafforzare la mia identità: scudo necessario per superare la dimensione disumana della nuova era. Mai come ora, infatti, penso che guardare al passato sia un presupposto per auspicarsi un futuro migliore".



giovedì 27 maggio 2021

La prima stazione

Dopo la morte di mia sorella, la mia diffidenza verso la medicina e la critica negativa nei confronti della gestione della pandemia raggiunsero livelli tali da prender posizione assolutamente contraria al vaccino.

All’inizio di gennaio, nell’ospedale per il quale lavoro, partì la campagna vaccinale per i dipendenti. Non mi sarei vaccinata, pensai. Era una follia fare un vaccino dove poco chiare erano le informazioni, gli effetti collaterali, ma soprattutto non c’era assolutamente garanzia che avesse ridotto i contagi, anche se poteva aiutare a prevenire le ospedalizzazioni.

I miei colleghi si vaccinarono tutti. Qualcuno mi chiese se avessi provveduto. Io rispondevo negativamente e poi cambiavo discorso per evitare possibili conflitti. A maggior ragione ero chiusa in casa a lavorare. Da mesi avevano ordinato l’”Home office”. Per fortuna le scuole erano aperte, altrimenti non so come sarei riuscita a continuare a lavorare. Pensavo che se proprio volevano convincermi a vaccinarmi avrebbero dovuto per lo meno consentirmi di tornare a lavoro in tutta libertà, senza maschere e test. Nel frattempo però, preferivo non vedere nessuno, non per paura diretta del virus, ma per evitare di dover far test e quarantene. Riesco a rinunciare a vedere gente, ma non posso rinunciare ad uscire fuori di casa, nel bosco. Per me è terapeutico. Quando sto male, star fuori a contatto con la natura migliora il mio malessere.

Eppure i mesi passavano. Incrementai la mia percentuale di lavoro, affinché fossi talmente oberata da non pensare a nulla e da riuscire a sopportare l’isolamento sociale. Ho sempre continuato a viaggiare con i mezzi pubblici. Ma poche sono le volte in cui ho avuto interazioni sociali con altre persone diverse da mia figlia e il mio compagno. Poche volte ho incontrato amici. D’altro canto, la mia scarsa tolleranza a zoom e altre simili applicazioni, mi ha tenuta anche lontana da una vita sociale virtuale. Forse se qualcuno avesse sperimentato ciò di cui sto parlando capirebbe la situazione e arriverebbe ad un punto tale per cui è più importante far di tutto per cercar di uscirne, piuttosto che lottare per non contraddire i propri ideali, se è proprio quella lotta che conduce a quella situazione.

Una notte sognai di essere in sala di attesa per la vaccinazione dei dipendenti. Nel sogno mi chiesi come fosse stato possibile, visto che io non volevo e non avrei mai aderito volontariamente. Mi svegliai sconcertata. No, non sarebbe mai accaduto. Ma qualcosa sfuggiva al mio controllo.

Il tempo passava, le restrizioni continuavano e si inasprivano. L’obbligo di quarantena per chi si spostava variava da un giorno all’altro. Non ci spostammo, neanche per le vacanze scolastiche pasquali. La politica a testarsi regolarmente era sempre più pressante, anche per chi non avesse sintomi e non avesse incontrato nessuno. Io rifiutai di testarmi, ma temevo che a scuola di mia figlia si verificassero episodi di positività e che quindi ad un certo tempo non avrei potuto sfuggire.

Ad un certo punto, la prospettiva e la politica cambiarono: “chi alla normalità vuol tornare, si deve vaccinare”. E chi si vaccina è esonerato da test e quarantene, può accedere tranquillamente a bar, ristoranti, locali, viaggiare sereno e può non indossare la mascherina.

Pensai a quando la mascherina non era obbligatoria e mi rifiutavo di metterla spontaneamente persino sui mezzi di trasporto. All’epoca c’erano campagne per invitarti ad indossarla e per un giorno ne distribuirono pure gratuitamente. Io guardavo la scena con assoluta indifferenza e pensavo che non sarebbero mai riusciti a farmela mettere. Poi quando divenne obbligatoria, non potei fare più nulla, se non infrangere il regolamento e passare da criminale, cosa che esulava dai miei pensieri. Nelle situazioni in cui ero libera di metterla, all’aria aperta, a casa quando invitavo gente, mi astenevo da indossarla e non chiedevo a nessuno che veniva a farmi visita di indossarla. Ma purtroppo dove ero obbligata, non potevo fare altrimenti. Stetti male per questo e ancora oggi mi pesa indossarla.

Ricordo anche che volevo rinunciare a proseguire il corso di tedesco per non dover indossare la mascherina. Poi però la mia voglia di conoscere e dialogare con persone nuove e di migliorare le mie conoscenze linguistiche mi spinsero a partecipare. L’insegnante, il primo giorno, quando mi vide entrare, sedermi e parlare senza mascherina mi riprese dicendo che dovevo metterla, non perché lo chiedeva lei, ma perché lo chiedeva la direzione. La mia faccia triste le fece compassione e con tono gentile mi disse. “Guarda che anche per me è difficile. Ho dovuto esercitarmi diverse volte a parlare con questa roba”. La sua empatia mi fece star meglio e riuscii ad indossare la mascherina. Se l’insegnante avesse avuto un atteggiamento arrogante dicendomi: “Se non te la vuoi mettere, stattene a casa e rimani ignorante” allora probabilmente avrei abbandonato l’aula e questionato con argomenti tipo: “però guardi che c’è abbastanza distanza tra un banco e l’altro. Per ora la mascherina è prevista solo nelle situazioni dove la distanza di sicurezza non può essere mantenuta.” E invece spesso la gentilezza che ricevi ti fa cambiare atteggiamento.

Ricordando quell’episodio, pensai al vaccino. E se lo rendessero obbligatorio? La Svizzera è un paese democratico. La gente si è ribellata ad un secondo lockdown totale e allora il governo ha cambiato politica. Da quando però hanno promesso la normalità in cambio del vaccino, son tutti corsi a vaccinarsi. Così come chi entra al supermercato e ne approfitta delle offerte per spender di meno. Già e perché allora non ne approfitto anche io, visto che tanto prima o poi dovrò acquistare quel prodotto? E poi forse se più gente si vaccina, la smetteranno di essere fobici e ossessivi e di distruggere i dubbi e denigrare le persone che li hanno, distruggendo di conseguenza anche la scienza stessa. Forse se aderisco volontariamente, non metteranno l’obbligo di vaccinarsi e si potrà di nuovo essere liberi.

La campagna vaccinale per i dipendenti, dove lavoro, stava per concludersi. Forse con ingenui pretesti e speranze da illusi, mi convinsi che la cosa più conveniente da fare era partecipare, per evitare di dover far test ogni settimana o peggio di dover fare il vaccino obbligatoriamente in futuro. In fondo non sono mai stata contraria per principio ai vaccini. Ma sono avversa alla politica e al business non troppo pulito che ci stanno dietro. Non ho mai fatto un vaccino che non sia stato obbligatorio, come ad esempio quello dell’influenza vaccinale. Non ne ho mai sentito l'esigenza. Credo che la cosa più importante infatti sia salvaguardare e potenziare il proprio sistema immunitario in maniera naturale. Non ho fatto fare vaccini non obbligatori a mia figlia. E quando si è ammalata ho potuto constatare che mia figlia è sana, come del resto la maggior parte dei bambini dovrebbe esserlo, visto che solitamente i bambini sani non sviluppano complicanze dopo una malattia, quale ad esempio la varicella. Ma in questo periodo anche prendersi un raffreddore è considerato una malattia.

Ho aderito a questo nuovo vaccino, sentendomi parte di una sperimentazione. Partecipo non perché penso sia importante per la mia salute (al contrario, su quello ho dei dubbi), ma partecipo solo perché gli altri credono sia importante, sperando che faccia loro bene, e che mi facciano vivere la mia vita in santa pace, senza costringermi ad andare dal medico o dal farmacista per testarmi regolarmente e senza che mi vedano come una criminale.  

Non partecipo a questa campagna come se fossi una pecora (non lo sono mai stata), ma partecipo come chi sale in fretta disperato su un treno che sta per partire e che non sa dove lo porterà, ma lo prende lo stesso perché sente di non aver alternative migliori.  Tutti dicono che quel treno è il treno della speranza. Io temo che quello invece sia il treno verso l’inferno. Ma di fatto nessuno conosce la verità, che solo alla fine del viaggio sarà nota.  E per questo prendo il treno, forse ingannando me stessa che mi sbagliavo e che invece dovrei fidarmi degli altri. Ma alla prima stazione barcollo. Sono talmente confusa e stanca che anziché avere la forza di tornare alla vita sociale ho un solo desiderio: sparire.

 


 

 

lunedì 24 maggio 2021

Il secondo errore

Quando scoppiò la pandemia, mi preoccupai per mia sorella S. All’inizio temevo si contagiasse, vivendo in una comunità per disabili e dovendo spesso esser ricoverata in ospedale per problemi inerenti alla colectomia, che anni fa aveva subito, e che richiedeva controlli e cure periodiche o urgenti. Poi quando effettivamente si contagiò, insieme ai suoi conviventi, e nessuno ebbe effetti più gravi di un’influenza, cominciai a temere il fatto che il suo bisogno di assistenza e di cure ospedaliere passasse in secondo piano rispetto alla cura dei malati di COVID. 

Ebbi un presagio: se avesse superato il 2020, non sarebbe arrivata alla fine del 2021 per mancanza di attenzione e di disponibilità alla cura della sua patologia. E così fu.

Una notte, verso le 3, squillò il telefono inaspettatamente. Mia sorella S. era deceduta per polmonite ab ingestis. Rimasi impietrita. Non potevo nemmeno partire immediatamente, potendo solo viaggiare con i mezzi pubblici che non circolano di notte. E poi, vista la situazione della pandemia, che era al momento critica in Svizzera, avrei dovuto fare la quarantena sia all’ingresso in Italia che al ritorno in Svizzera. Non avrei neanche potuto esser di aiuto a mia sorella A. e avrei rischiato di star ferma più di un mese per un evento irreversibile a cui purtroppo l’unico rimedio era la rassegnazione. E così mi rassegnai, lì, lontana, ignara. E poi cercai di visualizzare l’accaduto, ma non riuscivo a focalizzare le circostanze del decesso.

Si era recata d’urgenza in ospedale per i soliti disturbi. Era entrata camminando, quindi non era in fin di vita. Era COVID negativa. Non aveva crisi respiratorie quando è entrata. E’ rimasta in ospedale per neanche 24 ore e, poco prima che i medici pensassero di dimetterla, è morta per soffocamento da inalazione. Cosa era successo? In tempi normali, estranei alla pandemia, c’era sempre qualcuno ad assisterla costantemente: un operatore della comunità disabili o mia sorella. Ma vista la pandemia, a nessun ospite erano consentite la permanenza e l’assistenza ai pazienti. Pertanto non si è potuto avere testimoni, se non i medici stessi i quali hanno però dato spiegazioni piuttosto lacunose. “Un pezzo di cibo”. Ma se si nutriva con un sondino! Com’è possibile? “Probabilmente è stato il reflusso che spesso aveva”. Il magistrato si arrese a questa seconda ipotesi e non dispose neanche l’autopsia.

In seguito alla pandemia, si è dimenticata l’esistenza di cause di morte dubbie o sospette, a meno che il sospetto non sia il vaccino anti-COVID. Si cerca di evitare di indagare e chiudere i casi in fretta. poiché sono tutti oberati dal COVID. Non si può perder tempo con una disabile totalmente incapace, deceduta magari perché si è pure tirata via il sondino da sola.

E così il magistrato, seppur dubbioso (ma i dubbi in questo periodo sono eresia) si arrese all’omertà, firmando il nulla osta per procedere al funerale.

Vivo la scena da lontano. Ma quella lacuna sulla sua morte mi fa pensare al peggio. Un omicidio colposo: l’assassino è un infermiere menefreghista, incompetente oppure solamente stanco e provato da questa pandemia, che ha commesso un errore durante il posizionamento del sondino nasogastrico. Anche se immaginassi l’ultima ipotesi, cercando di provare un minimo di comprensione per “caino”, la situazione non cambierebbe. E non cambierebbe nemmeno se pensassi all’ipotesi di inalazione del suo stesso reflusso senza l’ingerenza di una mano visibile.

Eppure cambierebbe se pensassi che non siano complici medici e magistrati omertosi. Cambierebbe perché ora potrei capire, potrei visualizzare correttamente l’accaduto, invece che immaginare il peggio. Potrei ricevere delle scuse da chi ha commesso l’errore fatale e potrei decidere se accoglierle e perdonare i colpevoli, vista la situazione. Potrei avere un po’ più di fiducia sul personale ospedaliero: non hanno colpe e quando le hanno lo ammettono e attuano provvedimenti per disincentivarle. Potrei avere un po’ più di fiducia nei magistrati. Potrei avere di conseguenza anche più fiducia nella situazione attuale e nella gestione della pandemia da parte delle altre aziende ospedaliere e dei medici e credere che non siano mai stati responsabili di aver abbandonato i pazienti malati di COVID, i quali sono stati uccisi effettivamente ed esclusivamente dal virus.

E invece no. Ti sogno mentre soffochi. E io soffoco la mia rabbia, il tormento e ogni dubbio, costretta a trasformarli in rassegnazione, se voglio andare avanti e non diventare pazza o ossessiva.

Ho dovuto soffocare il mistero sulla causa della febbre di mio padre: mistero che la “scienza” non ha saputo svelare. A distanza di 20 anni, tra l’altro nello stesso ospedale, devo soffocare il dubbio che la “scienza” non ha voluto svelare. E se la “scienza” ha fatto un passo avanti allora la trasparenza ne ha fatto uno indietro.

Ma la “scienza” è fatta di persone, a sua volta influenzate da istituzioni, a sua volta influenzate da politici, a sua volta influenzati da persone. È un circolo vizioso a cui ognuno contribuisce. E se non ci fidiamo delle persone, non ci fidiamo di nulla e l’autorità della “scienza” crolla.

La nostra vita è in mano ad altri quando nasciamo così come ritorna ad essere in mano ad altri quando moriamo. Con te, S., la “scienza” ha fatto errori due volte: in ospedale, durante il parto, un errore ha distrutto la tua intelligenza, ha segnato per sempre la tua vita e quella dei tuoi familiari. Un errore talmente grande che non è stato possibile risarcire: non saresti mai stata invalida senza quell’errore. Il secondo errore è stato commesso prima che tu morissi: senza quell’errore forse saresti ancora viva. Eppure anni fa abbiamo dovuto ringraziare la “scienza” per averti salvato la vita con un intervento che nelle condizioni in cui eri aveva scarse possibilità di riuscita. La stessa “scienza” che però, se ti ha allungato la vita ne ha peggiorato lo stato di invalidità e la qualità, costringendoti con sofferenza a sopportare ulteriori disagi e dolori.

Chi non ti ha mai abbandonato, se non i tuoi genitori per morte, e ha migliorato la qualità della tua vita è stata invece la tua famiglia, che non ti ha mai visto come un errore medico, ma ti ha attribuito la dignità negata. Pure chi è stato gentile e caloroso con te, come gli operatori della comunità disabili, ha migliorato la tua vita, trasformando in un sorriso quello sguardo impaurito di chi forse prova sofferenza, ma non la sa esprimere, di chi vive in balia degli altri. Perché se la “scienza” ti può dare la vita ed impedire che ti venga tolta, l’umanità che ricevi te ne fa apprezzare il valore.

Senza la tua famiglia che ti ha dato un nome, una casa, una storia saresti un semplice errore della “scienza”: un esperimento mal riuscito destinato ad esser nascosto se non addirittura eliminato senza alcuna traccia.


 

mercoledì 19 maggio 2021

Vaccinati o rinnegati

Gente si vaccina

ma continua a usar la mascherina.

Gente si vaccina

ma ad altra gente ancor non si avvicina.

Gente si vaccina

e ad ogni cosa che viene imposta si inchina.

Gente si vaccina

pur non sapendo cosa combina.

Gente si vaccina

avendo pura fede nella medicina.

Gente si vaccina

pensando anche alla nonnina (che già prima vaccina).

Gente si vaccina

e al senso civico ti trascina.

 

Io mi vaccino

per quel tesserino.

Io mi vaccino

per un bel viaggettino.

Io mi vaccino

per non lavorare isolata in uno stanzino.

Io mi vaccino

per poter bere con voi un po’ di vino.

Io mi vaccino

per potervi dare un bacino.

Io mi vaccino

per respirare col nasino.

Io mi vaccino

per un vostro sorrisino.

Io mi vaccino

per finire in fretta questo orrendo teatrino.

Io mi vaccino

anche se mi duole un pochino;

effetto collaterale:

la rinuncia alla mia volontà personale.

 

Io mi sono vaccinata

per non esser discriminata.

Io mi sono vaccinata

per non essere testata.

Io mi sono vaccinata

per non esser perseguitata.

Io mi son vaccinata

per una vita sociale desiderata.

Io mi son vaccinata

ma dubbiosa son sempre restata.

Io mi son vaccinata

perché dalle vostre pressioni esasperata.

Io mi son vaccinata

anche se mi sento ingannata.

Io mi son vaccinata

per non esser rinnegata.

Io mi son vaccinata

non per la presunta immunità

ma soltanto per un misero ritorno alla normalità.