giovedì 9 aprile 2015

La condanna

Già quando ero in gravidanza pensavo fosse contrario ai miei principi allattare ad orari e costringere un bambino a mangiare. I bambini sanno autoregolarsi. Lo confermano diversi testi. E perché la mia bambina non avrebbe dovuto essere in grado di autoregolarsi? Perché non avrebbe potuto mangiare quando e quanto voleva? Perché dovevo svegliarla per farla mangiare?

Ipse dixit. Se mi han detto di far così vuol dire che nel suo caso è necessario. Forse perché è nata prematura? Ma mica prematura vuol dire ritardata nel capire i bisogni? Dubitavo, ma tuttavia obbedivo a ciò che mi avevano detto. Ero rimasta spaventata da quell'esperienza e mi sentivo ancora in colpa per non essere stata in grado di nutrirla adeguatamente. Per non sbagliare, per non espormi, per non rischiare, seguii alla lettera ciò che mi dissero.

Doveva fare sette pasti al giorno, cioè ogni 3 ore e mezza circa. Avevo comprato la bilancia per la doppia pesata e se non riusciva a succhiare il quantitativo prescritto dovevo integrare col latte artificiale.

La pesavo. Segnavo il peso. La tenevo attaccata al seno non più di mezz'ora. La ripesavo. Segnavo il peso. Integravo col latte artificiale. La tenevo in braccio finché non finiva tutto il pasto o quasi. Segnavo quanto riuscivo a farla mangiare. Non era tutto così semplice e lineare. 

I bambini non sono macchine. A volte mentre mangiava si interrompeva se doveva sporcare il pannolino. E ci impiegava un po'. Per evitare sovrapposizioni con il pasto successivo, cercavo di sollecitarla. Ma niente da fare. Perdevo solo tempo. In effetti aveva ragione. Come si può mangiare mentre si caga? A parte che non è piacevole, è anche difficoltoso. Pertanto era assurdo pretendere di rispettare gli orari. Alla TINO risolvevano tutto in fretta con i microclismi. Ma io mi rifiutavo. Persino da adulti ci si concede il tempo per i propri bisogni, leggendo magari. Perché allora mettere fretta ad un lattante? Perché non aspettare che faccia da solo? Mangiare e cagare sono le uniche cose che un lattante sa far da solo. Perché dobbiamo farle noi allora? Perché dobbiamo imporre i nostri ritmi o condizionare i loro bisogni?

Non volevo dare alla bimba l'impressione che la vita fosse solo regole, privazioni, bisogni definiti da altri. Era contro i miei valori. Volevo trattare la bimba come se fosse un esploratore della Terra che vede il mondo con curiosità, libero, guidato solo dal proprio istinto. Volevo che lei decidesse quando svegliarmi per poter mangiare, quando piangere per avere conforto. Non mi avrebbe disturbato. Io sarei stata pronta a soddisfare i suoi bisogni. Questo pensavo fosse il mio ruolo di madre. Non volevo svegliarmi quando puntavo la sveglia. Non era lei che dovevo nutrire. Non volevo stare ore seduta sul divano a provare in tutti i modi di farla mangiare, con le coccole, con i sorrisi. Non era in quel modo che volevo dare amore a mia figlia. 

Piangevo, non ce la facevo a farle finire il biberon. Non potevo sentirla piangere perché non voleva mangiare più di quel che lei riteneva necessario. Coinvolsi anche il mio compagno. In questo compito lui ebbe molto più successo. Riusciva quasi sempre a farle finire il pasto. Col passare del tempo però lei imparò a sputare, a vomitare. Mangiava male. Ci metteva ore. Ingurgitava un mucchio d'aria. Era rintontita tutto il giorno. Veniva svegliata in continuazione, perché quando finiva il pasto e si appisolava, era quasi ora del pasto successivo.

Io non dormivo più. Avevo quasi le allucinazioni dalla stanchezza. Avrei voluto mandare tutti al diavolo. Tutti quelli che volevano stare ore a guardarmi, mentre ero sul divano a torturare mia figlia. Tutti quelli che ancora avevano il coraggio di dirmi “ma sembra che non abbia fame” “ma meno male che c'è il latte artificiale” “ma ti fa dormire la notte?” “ma perché non venite per le feste?””ma quando hai la prossima visita pediatrica?”

A me non importava di non dormire più. Volevo solo che mia figlia stesse bene. Mia figlia cresceva di peso. Era sana, per i medici, ma vedevo che non stava bene. Era sempre nervosa, aggressiva. Io riuscivo sempre a calmarla, a farla riposare. Ma la situazione stava peggiorando. Era talmente isterica che non riusciva più ad attaccarsi al seno. Piangeva davanti al biberon e puntava i piedi sulle mie gambe come se volesse scappare. Faceva così anche se aveva fame, ma forse non voleva mangiare perché aveva paura di essere forzata. Era difficile capire il suo comportamento. 
 
Era una situazione insostenibile. Capisco che era importante che crescesse di peso, ma per me era più importante che crescesse serena. Se volevo prevenire futuri problemi, per esempio di bulimia, visto che aveva già imparato a procurarsi il vomito, non potevo continuare con quella politica.

Però in fondo avevo paura di ascoltare lei per andare contro i medici, paura che l'avrebbero di nuovo portata via, se non fosse cresciuta a sufficienza. Ma mia figlia non poteva crescere ad un ritmo che non era il suo. Dovevo intervenire a suo favore. Dovevo lasciarla vivere. Altrimenti avrei fatto come chi ti salva la vita per condannarti a morte.



1 commento:

  1. Non voglio criticare i metodi ospedalieri. In ospedale non è possibile dar da mangiare a richiesta di ogni bambino perchè con tanti bambini da gestire diventa complicato. Ma questo non vuol dire che si debba indirizzare le madri a "riprodurre" l'ospedale in casa.

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