Quando una persona a te cara viene a mancare credi che tutto ti crolli addosso. Credi di non poter andare avanti perché non era quella la strada che avevi pensato di percorrere. Ti senti forzato, catapultato in una vita nuova, vuota senza quella persona. Ma più vai avanti nel tuo nuovo percorso e più ti accorgi che in fondo quella persona è sempre stata lì con te e non ti ha mai abbandonato. Quindi questa persona non ti manca più, non perché l’hai dimenticata, ma perché, al contrario, l’hai pensata talmente intensamente da farla rivivere. Il rapporto non è più fisico: non puoi più abbracciarla, baciarla o prenderla per mano, ma spirituale. Puoi vederla nella tua immaginazione e sentire la sua voce, veder il suo sorriso quando fai qualcosa di sbagliato che non ha gravi conseguenze. Puoi cercare il suo conforto quanto ti senti smarrito, quando ne hai bisogno.
Oramai i miei
genitori e mia sorella non mi mancano più. Un giorno forse ci rincontreremo, ma
non ha importanza quando. Loro sono con me. Sono dei bravi nonni per mia
figlia: sento che la guardano quando io non sono e non posso essere con lei. E
mia sorella pure, non con le parole che non ha mi ha mai detto, ma con la sua
presenza ballerina.
Ma non di loro
parlerò in questa sede, ma di un’amica che non posso dire che non mi manchi;
forse perché non è ancora passato nemmeno un anno da quando se n’è andata
oppure perché perdere amici è diverso. Con gli amici di solito non convivi. Non
c’è la loro continua presenza silenziosa tra le mura a stabilire un dialogo senza
parole. Con gli amici fissi un appuntamento per vederli, per vivere insieme
esperienze o per raccontare loro quelle non vissute insieme. Bevete insieme,
mangiate insieme, ma in fondo non conta ciò che bevete,
che mangiate o i luoghi che frequentate. Se invece all’improvviso ti
ritrovi da solo, allora tutto questo pesa perché dietro quel caffè,
quella birra, quella pizza o quella gita c’è soltanto il vuoto della loro assenza.
Ricordo il primo
giorno quando ti vidi a scuola. Pensai di non aver nulla in comune con te. Tu
troppo chiara, troppo bionda, troppo liscia e troppo spensierata. Io l’opposto.
Poi ci parlammo per la prima volta al bar della scuola. Tu avevi la stessa tuta
sportiva nera, della stessa marca, solo che la tua aveva le strisce verticali
laterali bianche, la mia le stesse strisce, ma di color rosa. Capii che in
fondo eravamo complementari o forse soltanto sfumature diverse dello stesso
colore. In ogni caso, stavamo bene insieme e ridevamo tanto da avere mal di
pancia. Con te mi dimenticavo dei miei problemi e anche della mia famiglia.
Avrei voluto far parte della tua famiglia e della sua spensieratezza. Invece
dovevo accontentarmi di essere felice solo quando uscivamo insieme da sole o
con altri amici, quando andavamo a ballare, quando facevamo cavolate, quando
non prendevamo nulla sul serio, nemmeno la scuola. A volte ti invidiavo. Avrei
voluto essere al tuo posto. Entrambe attiravamo l’attenzione di diversi
ragazzi, quando uscivamo insieme, ma tu li facevi innamorare, mentre io
apparivo come lo specchio per le allodole, ma di fatto poi l’allodola ero io.
Tu eri, come ti chiamava un vecchio professore un po’ eccentrico, la “biondina
garibaldina”, mentre io ero “quell’altra”. Ma entrambe volevamo stare per conto
nostro e non seguire le lezioni. Ben presto però capii che non viaggiavamo sulla
stessa lunghezza d’onda. Ti bocciarono, io invece proseguii gli studi.
Non ho mai capito
perché avevi difficoltà a scuola, visto che eri una persona intelligente. Ma in
fondo non ha nessuna importanza, anche se io ora devo ringraziare di aver avuto
degli obiettivi, di essermi impegnata duramente per avere avuto una vita migliore,
in un altro paese, per potermi godere la vita, come non ho potuto fare in
passato. Tu non avevi particolari obiettivi. Per te la tua famiglia, le tue
cugine, i tuoi nipotini, i tuoi amici erano tutto. E forse vivevi per loro,
anche se ne assorbivi i problemi, le preoccupazioni, talvolta la negatività, e
questi continuavano a crescere dentro di te e ad appesantirti. Al contrario, io
con gli anni mi sono alleggerita, liberata del passato, dei problemi, delle
preoccupazioni, degli altri, raggiungendo uno stato di completa libertà, seppur
non privo di responsabilità. Non so se,
al contrario di me, il prenderti delle responsabilità ti stressava, al punto da
bloccarti, anziché farti sentire libera. Ricordo che ti stupivi quando ti
raccontavo che partivo da sola per tre mesi, durante il mio dottorato di
ricerca. Per te poi sarebbe stato impensabile lasciarsi tutto alle spalle e
iniziare una nuova vita in un altro paese che non parlava la tua lingua.
Eri altruista, sempre
disponibile, gentile con tutti, ma aspettavi sempre che qualcuno ti
coinvolgesse a fare qualcosa. Una volta mi hai detto che ero pazza perché ero
andata in discoteca da sola. Ma forse a volte uno si salva grazie a quella
pazzia. Negli ultimi anni ero preoccupata per te. Dai tuoi messaggi capivo che
c’era qualcosa, aldilà dei tuoi problemi familiari. Ma poi quando ci vedevamo,
la tua serenità mi faceva credere che mi sbagliavo e che non dovevo
preoccuparmi. Con gli anni però quella confidenza che avevamo da ragazzine si è
persa. Io ti ho sempre raccontato tutto di me, anche cose di cui mi vergognavo.
Tu forse hai smesso pian piano di parlarmi di te, dei tuoi sogni, dei tuoi
desideri che forse trascuravi per gli altri e che reprimevi per via dei tuoi
problemi. Riguardo la tua salute, non avrei mai immaginato fosse stata così
cagionevole. Mi consola che non se l’aspettava nessuno perché forse non era
solo con me che non ne parlavi. Ma è una magra consolazione. Ha anche poca
rilevanza pensare che io ero quella che si sottoponeva ad esami invasivi per
sospetti diagnostici poco felici (per fortuna solo sospetti). Ero io quella che
aveva subìto almeno un intervento chirurgico necessario, che aveva avuto una
gravidanza complicata e dopo la gravidanza che continuava ad avere sintomi poco
chiari. Di recente, a parte i virus che ti beccavi nonostante i vaccini, non mi
avevi mai riportato un problema di salute importante, se non l’ipertensione. Ma
alla tua età, che era anche la mia, non avrei mai pensato che qualcosa avesse
potuto esserti fatale.
E questo qualcosa
rimane per me un mistero, anche se in parte mi sento responsabile per avere
aggravato la tua situazione. Un giorno, a cuor leggero, ti dissi che pensavo di
liberarmi di un ultimo pezzo del mio passato, l’appartamento che un tempo era
dei miei nonni, e dove tu abitavi in affitto. Non pensavo che questo potesse buttarti
giù. Te lo dissi due anni prima, ma soltanto quando fu ufficiale divenne per te
un problema. Capivo le tue difficoltà, ma forse non fino a che punto fossero
per te gravi. La comprensione delle esperienze altrui è limitata dalla propria percezione
dei fatti. E la mia percezione è quella di una persona che ha vissuto diversi
traslochi e spostamenti e in ognuno di essi ci ha visto un’occasione di rinnovo
o di miglioramento, anche in situazione di difficoltà. Ma per te non era così.
Tu preferivi vivere vicino a tua madre, anche se in una zona inquinata e in via
di degrado. E la mia comprensione è limitata dal fatto di aver perso entrambe i
genitori e di esser andata a vivere lontano dallo smog e dal degrado e di esser
comunque felice delle mie scelte e di aver trasformato le tristi vicende in un
percorso di autodeterminazione.