Ero confusa, ma dovetti agire. Erano le cinque di notte. Avvertii le infermiere dell’accaduto. Poi sbaraccai tutto: vestiti, effetti personali miei e di mia madre e portai via, in modo da non dover piu’ tornare in quella stanza.
Dopo piu’ di due ore, tornai a casa di mia sorella, affrontando il momento piu’ critico: riferirle la notizia. Per fortuna, la trovai tranquilla. Subito penso’ fossi passata soltanto a prendere qualcosa per la mamma. “Come sta?”. Non ci credette. La lasciai sfogarsi. “Cosa devo fare? Devo tornare li’? Devo vedere mentre la portano via?”.
Le risposi che non doveva fare nulla e che non era neanche tenuta a venire alla cerimonia. Infatti poi non venne. Ando’ a farsi una passeggiata, vagando senza meta. La lasciai andare: sapevo che non si sarebbe persa e che la responsabilita’ per l’assistenza all’altra mia sorella la legava alla casa e l’avrebbe motivata ad andare avanti.
Passai la giornata al telefono, annunciando la brutta notizia. In particolare, avvisai le sorelle di mia madre, che non sentivo ne’ vedevo piu’ da anni. Infatti, dopo il litigio con lo zio e dopo essermene andata di casa, avevo vissuto dimenticandomi dell’esistenza dei parenti. Mia madre lo accettava e, per non rendere piu’ difficile la situazione, non richiese la visita delle sorelle quando fu ricoverata in ospedale ancora cosciente. So che avrei dovuto avvertirle prima, ma, conoscendole, temevo le loro reazioni esasperate d’ansia e angoscia, che non avrebbero giovato a mia sorella e che non avrei potuto controllare, data la mia lontananza. D’altro canto, mia sorella era assolutamente contraria a contattarle e coinvolgerle. Aveva bisogno di persone discrete che dimostrassero razionalita', autocontrollo e fermezza, non che contaminassero ulteriormente l’ambiente con pianti e urla isteriche o con lamentele ingiustificate contro i medici. Mi rendevo conto che il loro comportamento non era doloso, ma causato soltanto dalla loro incapacita’ di gestire le emozioni, non rendendosi conto delle possibili influenze negative verso l’ambiente esterno. In fondo, non le potevo giudicare. Anche io in passato avevo dimostrato tale incapacita’.
“Perche’ non ci avete avvisato prima, quando la mamma era grave?”. “Zia, credimi, e’ stato meglio cosi’ per tutti”. E le spiegai la situazione. Capi’.
Alla cerimonia, nonostante i passati conflitti e attriti, ci trovammo di nuovo riuniti. Tutti condividevamo lo stesso sentimento, tutti le eravamo affezionati. Forse era stata la mancanza di dialogo ad averci allontanato, accompagnata dalla mia ostilita’ nel difendere il mio territorio e la mia posizione di capofamiglia. Ma ora nessun rancore aveva piu’ senso di esistere e ogni sentimento negativo nei confronto dei miei parenti si annientava. Non avevo piu’ nulla da temere e da difendere. Del mio territorio non restava null’altro che la mia proprieta’.
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