Rinchiudermi nello studio, o in casa, per ideare e realizzare un progetto rivoluzionario che introducesse innovazione e contribuisse decisivamente al patrimonio scientifico o culturale era il mio ideale chimerico della ricerca accademica. Ma sottovalutavo che ogni rivoluzione implica un'azione collettiva. Un’idea radicale, se non riceve comprensione e sostegno da parte della societa' o da un gruppo di persone, non viene percepita come rivoluzionaria, ma piuttosto come pazzia. L'individuo non puo’ concepire il progresso senza il dialogo, il confronto e la collaborazione con le altre persone.
Inoltre in una societa’ evoluta e’ utopistico ambire all’estremismo, ma ci si deve accontentare di realizzare un modesto contributo che richiede comunque il riconoscimento altrui. Non ci si puo’ distinguere se si passa inosservati, ma nemmeno se si esce dal campo di osservazione: in tal caso infatti si annienta la propria visibilita’.
Mi illudevo di potermi distinguere per la mia genialita’ facendo qualcosa che si notasse da se’ e che non avesse bisogno di pubblicita’. Aspiravo ad essere talmente brava nel mio campo di specializzazione da non aver bisogno della collaborazione di nessuno e nemmeno di un promotore. Avrei voluto innovare il sistema, o la societa’, rimanendovi al di fuori.
Ma la scienza e la cultura non possono definirsi prescindendo dalla collettivita’. Diversamente, l’arte trova la sua espressione anche rimanendo a livello individuale. Infatti se si dipinge un quadro e lo si tiene in casa, il lavoro, pur non venendo riconosciuto all' esterno, avra' valore artistico. Ma non si puo' parlare di scienza, ma piuttosto di creativita' o di “arte”, nel caso di un marchingegno innovativo, progettato con intento scientifico, che poi rimane tra le mura domestiche. In tal caso infatti manca l'utilita' pubblica della scoperta che ne determina la successiva divulgazione e omologazione.
Ma perseguivo un ideale artistico o accademico?
Chiaramente artistico. Ma avendo studiato statistica e matematica consideravo il dottorato di ricerca e la successiva carriera accademica come l'unica possibilita' per introdurre l'arte nella scienza o nella conoscenza. Pertanto il mio atteggiamento fu quello dell'artista intrattabile. E potevo permettermelo, non dovendo piu' sostenere esami in aula. La valutazione del mio profitto infatti consisteva nello svolgimento di dimostrazioni di teoremi assegnati dal docente. Ogni ansia da prestazione e angoscia da compito in classe svani' nella mia isola domestica, dove potevo accendere lo stereo ad alto volume e scrivere uno dopo l'altro i vari passaggi algebrici che conducevano al teorema finale. Era come se la musica mi dettasse le formule. Continuavo per ore, alternando dischi e generi musicali, dal rock metallico alla new age, e sfogliando libri per acquisire le conoscenze necessarie. Entravo cosi' in simbiosi con la musica e la matematica, che riflettevano il mio stato d'animo e la complessita' dei vari passaggi.
Quando ero assorta negli esercizi, non mi rendevo conto di cosa accadesse all'esterno. Null'altro esisteva. Quello era il mio mondo. Non sentivo la stanchezza e neanche le gambe anchilosate per la sedentarieta'. Ma quando uscivo di casa anche solo per far la spesa, mi sentivo invisibile, anche se in realta' era perche' non osservavo piu' la realta'. Ero distratta. Mi vestivo con noncuranza. Trascuravo le faccende casalinghe. Ero immersa nei miei pensieri che si astraevano da tutto, persino dal fine del mio lavoro.
La mia valutazione da parte dei docenti fu positiva, per quanto riguarda i risultati accademici. Ma la situazione cambio' quando dovetti intraprendere il mio progetto di ricerca finale. In fondo forse i professori pensavano che la mia indole ribelle e l'estraniazione avrebbero impedito il successo in ambito accademico. Ma se per un ricercatore sono fondamentali la collaborazione e il dialogo, anche piu' dell'eccellenza accademica, perche' allora il corso di dottorato mirava a fornire un'ottima istruzione, ma trascurava il coinvolgimento dello studente nell'attivita' accademica o scientifica? Perche' non si promuoveva il lavoro di gruppo anziché quello individuale? Il mio atteggiamento era certamente sbagliato, ma non trovavo nessuna motivazione che mi inducesse a cambiarlo.
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