Inizio’ con la percezione di suoni, fischi, interferenze. Me ne accorsi un giorno, qualche mese prima di partire per Edimburgo. Camminavo per la strada quando ad un certo punto sentii uno strano rumore, che si presento’ inizialmente simile al processore di un computer e poi assomigliante alla risacca del mare. Ma da dove proveniva? Forse era stata un’allucinazione sonora, una sorta di miraggio, complice il sole abbacinante.
Arrivai a casa. Il suono era ancora li’. Era dentro la mia testa. Lo sentivo manifestarsi piu’ decisamente, isolato tra le mura domestiche. “Forse sono stanca. Domani mi alzero’ e non lo sentiro’ piú’”, pensai.
E invece era sempre li’. Di notte, prima di addormentarmi era un tormento, perche’ lo sentivo amplificarsi ed espandersi sul cuscino. Un computer sempre acceso che sembrava non funzionare piu’ correttamente. E se si rompesse da un momento all’altro?
Preoccupata, chiesi al medico di base. “Iniziamo con gli antinfiammatori. Se non agiscono andiamo dall’otorino”. Andai dall’otorino. Nessun problema. E dall’audiometria non risultarono segni di perdita di udito. Mi prescrissero degli integratori, qualora fosse carenza di vitamine. Nessun effetto. Feci una radiografia alla mandibola. Nessuna disfunzione. Nessuna patologia dentaria. Cominciai a documentarmi. Le cause degli acufeni, questo il termine medico che denota il mio disturbo, non sono state ancora identificate con esattezza. E’ un disturbo complesso ed e’ difficile trovarne una cura efficace, supposto che se ne determini la causa. Valutai che, molto probabilmente, avrei continuato a stressarmi, sottoponendomi ad esami inutili. E se imparassi a convivere con questi fruscii? In fondo ho sempre vissuto con ridotte capacita’ visive, parzialmente corrette da lenti a contatto.
Mi tranquillizzai, facendo il possibile per ignorare quel suono. Partii per Edimburgo. Il suono mi accompagno’ anche li’. Ma non mi rovino’ il soggiorno.
Quando tornai in Italia, un nuovo compagno si era aggiunto agli acufeni. Il mal di testa cronico. Le giornate si susseguivano e lo stordimento non passava. Interpellai di nuovo il medico di base. “Facciamo una risonanza magnetica all’encefalo”. Feci anche quella, ma la mia fobia degli esami invasivi, mi impedi’ di farmi iniettare il cosiddetto mezzo di contrasto per migliorare la visibilita’ delle immagini.
Risulto’ una lesione, non significativa da sola, ma se accompagnata dagli acufeni e dal mal di testa poteva presagire l’esordio di una neuropatia demielinizzante, cioe’ di una malattia che distrugge la mielina, guaina delle fibre nervose.
Consultai un neurologo. “Deve ripetere l’esame con il mezzo di contrasto, per capire meglio la sua situazione, e prenda gli antidepressivi per il mal di testa”.
Fu il terrore di un’iniezione endovenosa e la paura della diagnosi che mi fecero rimandare l’esame di qualche mese. “Devo portare a termine il mio progetto di ricerca”. Era la mia giustificazione. Non volli assumere farmaci per poter avere il controllo di me stessa, dei mie pensieri e delle mie reazioni. “Voglio vivere la mia vita. Preferisco vivere nell’ignoranza della malattia. Preferisco vivere anni in meno, ma con la mia indipendenza, la mia padronanza, le mie idee piuttosto che guadagnare anni di vita in ospedale, dipendendo da farmaci, sottoponendomi a torture e diventando un “corpo da esaminare”. Ma capivo che il mio ragazzo, che da qualche anno era anche il mio convivente, premeva affinche’ mi sottoponessi all’esame e che prendessi tutti i farmaci necessari. In effetti anche io, anni prima, convinsi mia madre ad affrontare la chemioterapia. Forse cio’ e’ dovuto al fatto che le persone sane danno piu’ valore alla vita rispetto alle persone malate. O forse, come nel mio caso, perche’ la propria vita ha un valore diverso rispetto a quella dell’Altro. Si e’ altruisti o egoisti quando si pensa che l’Altro debba vivere ad ogni costo ed in qualsiasi condizione pur di non abbandonarci? E’ per sadismo o per rispetto della vita altrui che si suggerisce ad una persona di sopportare qualsiasi operazione, qualsiasi tortura pur di vivere?
Non avrei ceduto, ma il dolore diventava sempre piu’ forte. E adesso il dolore si irradiava anche dal collo verso il braccio fino alla mano. Ogni piccola attivita’ quotidiana mi pesava. E anche pensare, cominciava ad essere faticoso. Non potevo lasciarmi distruggere dalla mia testardaggine. Mi decisi a ripetere l’esame e a superare la mia fobia. L’esame non aggiunse alcuna informazione. Mi convinsi a prendere gli antidepressivi per poter continuare a lavorare al mio progetto. Non sopportandone gli effetti collaterali, consultai un altro specialista. Si apri’ una speranza per la mia guarigione. Il medico mi ascoltava, mi comprendeva. Mi diede altri farmaci, dopo attenta analisi. Ma soprattutto mi consiglio’ cure alternative, una volta che il mal di testa me l’avesse concesso: attivita’ fisica, gite ...
I farmaci fecero effetto e mi aiutarono a portare a termine la mia ricerca ed ottenere il titolo di dottore di ricerca.
Affrontai anche altri esami di accertamento, non troppo piacevoli, per escludere la presenza di danni di funzionalità dei nervi periferici, del nervo ottico e di quello acustico. Il medico reputo' non necessario proseguire ulteriormente le indagini. “Ripeta soltanto la risonanza magnetica, per vedere se le zone di lesione non sono aumentate”. “Che dice la estendo anche alla zona cervicale, che non abbiamo ancora indagato? ”, azzardai. “Perche' no, in effetti potrebbe essere quella la causa del mal di testa, dell' acufene e degli altri dolori”. Leggere libri medici mi aveva aiutato. La precedente lesione era rimasta tale. Ma c'erano segni della sindrome cervico-brachiale. Quindi si trattava di cervicale e avere individuato la causa del Male ne preannunciava la vittoria.
Ma la strada era lunga. Dovevo riprendermi fisicamente, poiche' ero magrissima, e sconfiggere definitivamente il mal di testa. Inoltre mi trovavo da sola, perche' avevo allontanato il mio Amore.
Piano piano tutti i fastidi sparirono, tranne l'acufene che mi e' fedele tuttora, anche se ormai conviviamo pacificamente.
Ma il fattore determinante alla mia ripresa non furono i farmaci, ma gli amici, le persone care ed il contributo decisivo provenne poi dal mio ragazzo.
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