Per tentare la carriera accademica, avrei prima dovuto ottenere il titolo di dottore di ricerca.
Ma che cosa comportava? Che cosa voleva dire fare ricerca? Quali erano le reali prospettive? In realta’ non ne ero consapevole. Quello di cui ero certa era che volevo ancora studiare, nonostante la situazione di precarieta’ della carriera da ricercatore universitario in Italia. Ed il percepire una borsa di studio, anche se inferiore ad uno stipendio, per poi conseguire il piu’ alto titolo accademico, mi allettava. E non solo, in futuro mi avrebbe consentito di fare dello studio il mio mestiere e la mia vita.
Ma era per mero interesse oppure anche stavolta cercavo un ideale da perseguire e una legge con cui identificarmi? Forse ricercavo nuovamente la trascendenza, per fuggire alle contingenze della vita e perche’ non volevo fare del consumismo l’unica motivazione della mia carriera. In fondo avevo paura che, continuando a lavorare in azienda, non avrei piu’ avuto desideri se non quelli materiali, che avrei abbandonato i miei sogni, i miei ideali lasciandomi passivamente arrendere al non avere altro scopo di guadagnare se non quello di spendere.
Quando andai a vivere da sola, cominciai di nuovo ad avere sintomi anoressici, anche se la presenza del mio fidanzato, che spesso veniva a stare da me, ne impedi’ ogni sviluppo. Stavolta pero’ i sintomi furono dovuti in parte al distacco dalla mia famiglia. L’obbligo di cucinare e far la spesa soltanto per me, mi spingeva all’eccessivo autocontrollo per evitare gli sprechi. Non usavo la bilancia per misurare le quantita’, perche’ non volevo fare la contabile del cibo e ragionare in grammi. Pero’ l’unita’ di misura con cui valutavo le mie porzioni, tendeva via via a ridursi, senza che io ne fossi conscia. Inoltre a volte, per evitare la routine o semplicemente per comodita’, sostituivo un dolce al pasto. Cio’ non accadeva quando mangiavo e cucinavo in compagnia del mio fidanzato. Con lui era un piacere anche cucinare e mangiare, senza correre il rischio di eccessi o sregolatezze.
Ma il motivo principale del mio malessere, che ancora una volta trasferivo nel cibo, fu la frustrazione per il mondo del lavoro. Inizialmente perche’ risultai inadatta al lavoro che avrei voluto fare e successivamente perche’ il lavoro che svolsi si rivelo’ diverso dalle mie aspettative.
Pertanto la via accademica, dell’eccellenza, appariva come un’ancora di salvezza dal malessere e dai disturbi alimentari, come lo era stato in passato. Ma se nel triennio delle superiori fu la solitudine ad indurmi a cercare un modello in cui rifugiarmi, questa volta fu l’isolamento. La legge in cui mi identificai non si baso' piu’ sull’autosufficienza, sull’autoritarismo e sul rigore, ma sull’alienazione, sull’astrazione, sulla ribellione e, paradossalmente, sull’anarchia. Mi identificai cioe’ in una legge che non aveva disciplina. E rischiai di perdere il controllo della mia vita, della mia mente e del mio corpo.
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