Il dottorato segno' la fine della mia ricerca dell'eccellenza e degli imperativi che mi avevano imposto un percorso verticale.
Cominciai a realizzare che l'altitudine era opprimente e insana poiché mi distaccava dalla mia natura. Ero ormai in una posizione talmente elevata da rendere la discesa l'unica possibilita' di proseguimento del cammino. Cio' non voleva dire che dovevo tornare indietro, ma che dovevo soltanto scendere, con la possibilita' di percorrere una strada alternativa a quella che mi aveva condotto alla salita, osservando aspetti della realta' ancora ignoti. Inoltre la discesa mi avrebbe consentito anche di spostarmi verso un'altra vetta.
Ma la priorita' era scendere, scendere per vivere, la piu' naturale delle ambizioni che gli studi avevano oscurato.
L'azione, il movimento sono piu' importanti di qualsiasi pensiero o principio. Pertanto non dovevo deprimermi se trovavo un lavoro non abbastanza qualificato da giustificare i miei studi oppure un lavoro interessante, ma precario e sottopagato.
Costituisce un vantaggio aver studiato se ci vincola ad uno "status" che la societa' impone? E' un vantaggio aver studiato se ci induce a pensare che un lavoro non sia adatto a noi solo perche' non qualificato anche se sfrutterebbe le nostre capacita' e fosse in linea con la nostra personalita'? E' un vantaggio aver studiato se ci allontana dalla nostra natura, dalle persone che amiamo e quindi da cio' che ci renderebbe felice? Si studia per avere maggiori opportunita' oppure per precludere alcune strade?
Analogamente, non era fondamentale che il mio progetto di ricerca, conclusosi con la tesi di dottorato, ottenesse un riconoscimento e fosse pubblicato in una ricerca scientifica.
"La tua tesi va bene per finire il dottorato e conseguire il titolo di studio. Ma se vuoi avere piu' possibilita' di fare carriera come ricercatrice all'Universita' dovresti lavorarci ancora per poter rendere il tuo lavoro pubblicabile. Puoi chiedere l'estensione della borsa di studio per un anno". Mi disse il coordinatore del corso di dottorato. Ma io ero stanca e la mia impazienza era piu' forte della mia perseveranza. Realisticamente, se non avevo ricevuto abbastanza stimoli e incentivi nel corso dei tre anni, la situazione non sarebbe cambiata in un ulteriore anno. "Voglio chiudere", pensai. In fondo ero soddisfatta. Avevo fatto un lavoro abbastanza dignitoso per poter ottenere il titolo nel piu' breve tempo possibile. Il mio tempo, la mia vita valevano di piu' di qualsiasi possibile gratificazione futura che poi forse non avrei neanche apprezzato.
L'importante allora era recuperare quello che avevo perduto: la mia spontaneita', il mio umorismo, la mia predisposizione naturale ad aiutare gli altri, ad ascoltarli e comprenderli, la mia voglia di intrattenere le persone e, a mia volta, essere intrattenuta da loro.
Negli ultimi anni passati, avevo posto me stessa sempre in primo piano, dimenticandomi di quanto fosse importante la "tappezzeria" nel determinare la bellezza e l'armonia di un ritratto.
Dovevo uscire dal mio isolamento. Purtroppo la rottura con il mio convivente fu inevitabile. Ero confusa, distante, pur amandolo. Forse perche' lo consideravo complice della mia isola, o meglio, della nostra isola che in sua compagnia trovavo piacevole, ma in sua assenza paranoica.
Sentii il bisogno di rivedere le amiche piu' care da cui, inspiegabilmente, mi ero allontanata. Rivedendole e restando sempre in contatto tramite i social network, ho ritrovato la voglia di ridere, ridere fino al punto in cui si prova male alla pancia. Ero stufa di controllare le mie emozioni: volevo poter sfogare la mia gioia o la mia rabbia urlando in liberta'. La mia indole in fondo non era cambiata. Era sempre quella di quando avevo quindici anni, ma soffocata dalle responsabilita' familiari e dalla Legge che mi ero imposta. Anche la mia creativita' artistica era rimasta tale, anche se in forma latente. Infatti era da tanto tempo che non disegnavo piu! Ora potevo ricominciare. Ora ero libera dall' "Ideale" che mi aveva salvaguardato, ma anche trascinato in una situazione di stallo radicale.
Quali erano le mie vere preferenze? Le persone mi interessavano piu' dei numeri. Scrivere, mi piaceva di piu' che risolvere problemi matematici. Perche' negarlo? Perche' ostinarsi a voler essere indifferente alla gente? Perche' voler soffocare l'empatia e la curiosita' per le esperienze altrui?
Ora potevo condividere i miei pensieri e manifestare liberamente le mie idee su Internet, confidarmi con le mie amiche come un tempo e ascoltare le loro confidenze. Potevo farlo anche senza abbandonare la mia isola, che pian piano divenne soltanto un luogo dove rifugiarsi e non un luogo in cui radicarsi e identificarsi.
Grazie alla Rete partecipai alle rimpatriate con i vecchi compagni di scuola delle medie e delle superiori.
Non posso negare quanto mi fece piacere rivederli e quanto contribui' all'abbandono del mio isolamento.
Seguire i miei amici e leggere le loro pagine in Rete mi interessa di piu' di ogni materiale accademico o di un libro. Perche' negarlo? E' con sincerita' che esprimo tuttora la mia ammirazione per gli amici che si sposano, che hanno figli, per quelli che manifestano le idee in cui credono e per quelli che sono sempre alla ricerca di avventura e che vivono pienamente il presente nella sua instabilita'.
Ogni scelta di vita, ogni pensiero devono essere manifestati se esprimono la propria natura. La diversita' crea confusione, ma e' dalla diversita' che nascono le nuove prospettive.
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