Vivere da soli: si mangia cio' che si vuole e quando si ha fame, si esce senza giustificazioni ne' specificazioni di moto da e per luogo, si dorme senza essere svegliati, in casa ci si dimentica delle buone maniere. Ma si puo' degenerare: disordine, sporcizia, vizi ...
Quello che spaventa di piu' e' il silenzio. Gli unici rumori che si sentono o provengono dall'esterno o sono derivati dai propri movimenti. Se si parla, la propria voce risponde come un eco. Se si piange o si ride, si realizza di essere ridicoli, poiche’ la manifestazione delle proprie emozioni sembra burlarsi di noi. E allora si diventa insensibili. E ci si barrica dietro l’indifferenza: nulla ci preoccupa, ma nulla piu’ ci interessa. Per quanto all’inizio si tema e odi la propria isola, ci si finisce per identificarsene e si ha paura ad abbandonarla. Nella propria isola non si hanno maschere e non ci sono ruoli. Tutti gli ideali e le ambizioni non hanno ragione di esistere. Solo i passatempi ci distraggono dal nichilismo e dalla logorazione del trascorrere del tempo.
Ma stando da soli si scopre veramente se' stessi, i propri gusti e le proprie idee. Si pensa e agisce in funzione del proprio istinto, senza condizionamenti da parte di altri essere umani.
La conoscenza e la comprensione di se' stessi sono pero' utili dal momento che ci si deve relazionare con l'Altro. Ma se poi si rimane senza contatti esterni, che vantaggio ci arreca sapere se siamo coraggiosi, pigri, invidiosi? Non si pone neanche il problema di accettarsi o migliorarsi: ci siamo solo noi e basta.
Ogni descrizione e caratterizzazione diventa pleonastica, puramente convenzionale poiché, dal momento che il soggetto e' unico, non ha bisogno di essere classificato.
Vivendo da sola, percepivo la seduzione e il pericolo dell' isola.
Ma la ricerca di un impiego non me lo permetteva. E la mia brama di iniziare una carriera annientava ogni riflessione sulla mia esistenza.
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