giovedì 21 aprile 2016

Zuri-go

Arrivammo portando la neve. Ma nulla fu scomodo o disagevole. La casa temporanea che ci assegnarono era fantastica, spaziosa. La cosa che più mi piaceva era la vista sul lago di Zurigo. Anche mia figlia ne era affascinata. I primi giorni però la piccola si sentì smarrita. Sulle strade svizzere era guardinga e non voleva camminare. Ma sul passeggino non protestava e guardava incuriosita. Poi si abituò, anche se fino a quando non consegnarono le cose che ci portammo da casa si sentì confusa e nervosa. In particolare non riusciva a mangiare in un seggiolone diverso dal suo. Aspettammo circa dieci giorni per riaverlo, insieme a tutti i nostri effetti personali. Ci fu infatti un malinteso con la compagnia del trasloco.
Ma a parte questo, tutto filò liscio.

Il giorno seguente il nostro arrivo, avevamo appuntamento con G. che ci accompagnò al comune a registrare il nostro avvento. La pratica fu perfezionata da una “simpatica tassa”, anche se edulcorata con l'invito alla festa di benvenuto per tutti i nuovi arrivati nella città. 

Fu utile la presenza di G., ma soprattutto la sua mediazione linguistica. Lei infatti parlava inglese fluente, ma in molti uffici non tutti sono propensi a parlare inglese, anche se in compenso tantissimi conoscono l'italiano. Tutti i documenti, le lettere, le ricevute che ci diedero infatti erano scritte in tedesco. Lo stesso giorno G. ci accompagnò in banca per aprire un conto corrente. Ci fecero accomodare in una sala riunioni confortevole, offrendoci caffè, cioccolatini e giochi per intrattenere la bambina.

Tuttavia non mi sentii a disagio. In tutto questo “lusso” c'era comunque informalità e nessun dress code, a parte i banchieri. Apprezzai il fatto che G. venne a prenderci non con auto privata, ma con auto del servizio “car sharing.” Non parcheggiò davanti la banca per non farci bagnare sotto la neve, ma, dopo aver trovato parcheggio, scendemmo tutti a piedi senza ombrello sotto la neve e lei non disse nulla che una donna tipica italiana avrebbe potuto dire “Oh ma la piccola si prenderà sicuramente un raffreddore”, anche se facemmo soltanto non più di cinquanta metri senza ripararci. Poi fu divertente quando G. rovesciò il caffè di fronte al consulente bancario, distratta dalla bimba che, non reggeva più di star lì dentro e si stava abbassando i pantaloni.
Non mi stupirebbe poi se quel caffè fosse stato equo solidale, visto che in questo paese l'etica sociale e ambientale sono molto più sentite, a scapito dei prezzi naturalmente.

In seguito partecipammo ad una festa a casa del responsabile dell'ufficio dove lavora il mio compagno. Nulla di formale. Catering in grossa parte autoprodotto, casual dress code, ma soprattutto niente scarpe. 

E ora veniamo ad una riflessione che balenò in quei giorni e che si estrinsecò in una domanda posta al mio compagno: “Scusa, ma in cambio di tutti questi servizi e benefit, cosa ti chiederanno? Non è che c'è qualche postilla strana o devi fermarti a lavorare anche di notte?”.
No. Quando iniziò a lavorare scoprimmo che non c'era nessuna richiesta strana o “antifamiliare”. In questo paese non sfruttano la gente, anche se non regalano nulla in cambio e se non sei produttivo però possono licenziarti senza problemi. In altri termini, a stipendio dignitoso deve corrispondere anche lavoro svolto dignitosamente. Trovare casa e ambientarci non sarebbe stato semplice e veloce senza aiuto. Pertanto se si tiene all'efficienza e alla produttività dei lavoratori, un'azienda dovrebbe favorirle. E in concreto offrirci aiuto per la nostra sistemazione ne era un esempio di promozione. E poi tutte quelle distinzioni di trattamento dei dipendenti “alla Fantozzi”, a seconda del grado e della gerarchia aziendale occupata, qui non esistono. Pertanto ricevemmo lo stesso trattamento, o quasi, che ricevette il suo capo a sua volta quando si trasferì. Inoltre l'azienda è un ambiente internazionale dove si parla inglese.

Potevamo stare nella casa assegnataci, a loro spese, non più di due mesi. Era incluso nel gratis anche un servizio di pulizia ogni due settimane. 

Cercammo quindi casa definitiva. G. ci proponeva annunci e se ci convincevano organizzava per noi una visita all'appartamento e ci accompagnava. La procedura per trovare casa qui è piuttosto complessa. Visiti una casa, se ti piace compili un foglio dove ti fanno l'interrogatorio sui tuoi mezzi di sostentamento, chiedendo garanzie e referenze. Riveli un sacco di informazioni a perfetti sconosciuti e poi attendi che ti scelgano tra un mazzo di altri candidati. Un po' come cercare lavoro in Italia. Solo che qui a differenza i soldi non te li danno, ma te li chiedono. E quanti. (Non voglio essere volgare, ma qui per un appartamento il minimo che si può spendere al mese è sui 1500 o 2000 franchi per una famiglia). Qui le case sono possedute in maggior parte da grandi aziende e gestite da agenzie. Poche persone possiedono la casa dove vivono. 

Noi siamo stati fortunati a trovare casa rapidamente. Fu durante la terza visita, a seguito di un annuncio da me trovato, che vidi per la prima volta Schwanden, nella sua lucente verzura, e capii che quello era il posto che cercavo e dove avrei voluto vivere. Fu l'unico appartamento a cui mandammo la richiesta e l'accolsero subito rapidamente. G. compilò per noi tutte le informazioni e chiese le referenze al datore di lavoro del mio compagno. Il cambiamento di residenza, seppur nella stessa città, comportò il pagamento di un'altra simpatica tassa, anche se ridotta e stavolta senza festa.

E così, ci trasferimmo vicino al bosco.

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