Passò l’ultimo treno. L’ultimo perso. L’ultimo che sentii
transitare dal cavalcavia. Poi sarebbe passato il mio treno, anzi il
nostro. Il treno che ci avrebbe portato a Zurigo. Questa volta mi
accontentavo di una distanza percorribile in treno. Mi accontentavo
di una destinazione assegnata dal caso. Fortunatamente, si trattava di
un posto dove la qualità di vita sarebbe migliorata. Ma
sinceramente, ero così disperata e decisa ad andare via che non mi
importava nulla di dove sarei finita. Certo sognavo una comunità, un
luogo basato sulla cooperazione e la condivisione. Ma la priorità
era poter vivere tranquilla lontano da falsità, consigli non
richiesti e giudizi su come crescere la mia bambina. Non temevo il
fatto di non conoscere nessuno a Zurigo e di dover contare solo sulle
mie forze e sul supporto del mio compagno. Ero perfettamente
consapevole del fatto che i problemi e i disaccordi familiari già
presenti in partenza non si sarebbero dissolti nel viaggio. Ma
speravo che un ambiente diverso avrebbe cambiato il mio umore e il
mio stato d’animo, consentendomi quindi di vedere la realtà sotto
un’altra luce anche se la realtà che mi portavo dentro di fatto
non sarebbe cambiata. E’ come quando si cambia pettinatura. E’
chiaro che non si cambia testa, ma vedendosi in un altro modo ci si
può comportare diversamente, sentendosi più sicuri o a proprio agio
per esempio. E stavolta lasciavo scegliere al caso la mia
acconciatura, anche se aspettavo qualcosa o qualcuno che mi portasse
dal parrucchiere. Qualsiasi taglio purché drastico, che eliminasse
tutti i nodi dai capelli.
Ed ora Zurigo. Al mio compagno fu offerta
una proposta di lavoro, seppur lui non stesse cercando attivamente
un’altra occupazione. Capitò per caso che venne contattato da una
persona sconosciuta interessata al suo profilo professionale. Non
voglio raccontare i particolari per rispetto della sua privacy. Dico
soltanto che l’azienda offerente pensò a tutto e si fece carico di
tutte le spese di trasporto, trasloco, sistemazione abitativa
iniziale e servizio di consulenza per sistemazione abitativa
definitiva. A me piace organizzare ogni cosa da sola, ma devo
ammettere che ho apprezzato veramente l'aiuto concreto che ci hanno
dato. Infatti con una bambina piccola è difficile gestire qualsiasi
cosa. Immaginate un trasferimento. Per una volta ricevevo aiuto
organizzativo e pratico. Di solito la gente che si proponeva di
aiutarmi voleva intromettersi, decidendo in mia vece o scegliendo per me cosa fare e portare. Ed io rifiutavo. Ma avrei accettato ben volentieri se mi avessero aiutato a portare a termine qualcosa che avevo già deciso e
che avessero eseguito materialmente quanto da me richiesto. Esattamente come lo
volevo. Senza dare “suggerimenti” o consigli. Ed ora vedevo
gente che imballava ciò che avevamo deciso di portarci senza
aggiungere altro se non canticchiando o conversando di altre cose.
Senza dire “ma non vi conviene portare anche i mobili o comprare
quello o questo? Solo queste cose portate?” Saprò bene cosa mi
serve e poi è vero che ci pagano il primo trasloco, ma il secondo
spostamento no e poi con roba inutile devo viverci io. Chi me la paga
la vita ingombra da spazio che voglio liberare? E poi sono ben
contenta di regalare le mie cose a chi penso possano servire di più,
come un libro sulla felicità che lasciai in sala d'aspetto del mio
medico. Ormai non ne avevo più bisogno. I pazienti invece credo di
sì.
Non avrei più sentito considerazioni sul mio modo di vivere,
seppur abbia sempre rispettato gli altri. E se qualche estraneo
avesse dato consigli, a parte quelli relativi all'integrazione in
terra straniera, forse non li avrei capiti per questioni
linguistiche.
E partivamo. Io felice per ciò che lasciavo, senza nostalgia.
Quando partii per Londra, ma anche quando tornai, ero carica di
esperienze, di cose, di innovazioni, di contributi da apportare a chi
mi avesse assunto. Adesso partivo vuota, senza nulla da dare, senza
essere nulla e nessuno, se non madre di una bambina, forse il
contributo più grande che potevo dare. Stavolta non avevo
aspettative: solo l'intenzione di restare, di non tornare più in
Italia se non per far visita a chi mi sta a cuore, che di fatto non
ho mai lasciato.
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