mercoledì 13 aprile 2016

Um-zug

Passò l’ultimo treno. L’ultimo perso. L’ultimo che sentii transitare dal cavalcavia. Poi sarebbe passato il mio treno, anzi il nostro. Il treno che ci avrebbe portato a Zurigo. Questa volta mi accontentavo di una distanza percorribile in treno. Mi accontentavo di una destinazione assegnata dal caso. Fortunatamente, si trattava di un posto dove la qualità di vita sarebbe migliorata. Ma sinceramente, ero così disperata e decisa ad andare via che non mi importava nulla di dove sarei finita. Certo sognavo una comunità, un luogo basato sulla cooperazione e la condivisione. Ma la priorità era poter vivere tranquilla lontano da falsità, consigli non richiesti e giudizi su come crescere la mia bambina. Non temevo il fatto di non conoscere nessuno a Zurigo e di dover contare solo sulle mie forze e sul supporto del mio compagno. Ero perfettamente consapevole del fatto che i problemi e i disaccordi familiari già presenti in partenza non si sarebbero dissolti nel viaggio. Ma speravo che un ambiente diverso avrebbe cambiato il mio umore e il mio stato d’animo, consentendomi quindi di vedere la realtà sotto un’altra luce anche se la realtà che mi portavo dentro di fatto non sarebbe cambiata. E’ come quando si cambia pettinatura. E’ chiaro che non si cambia testa, ma vedendosi in un altro modo ci si può comportare diversamente, sentendosi più sicuri o a proprio agio per esempio. E stavolta lasciavo scegliere al caso la mia acconciatura, anche se aspettavo qualcosa o qualcuno che mi portasse dal parrucchiere. Qualsiasi taglio purché drastico, che eliminasse tutti i nodi dai capelli. 

Ed ora Zurigo. Al mio compagno fu offerta una proposta di lavoro, seppur lui non stesse cercando attivamente un’altra occupazione. Capitò per caso che venne contattato da una persona sconosciuta interessata al suo profilo professionale. Non voglio raccontare i particolari per rispetto della sua privacy. Dico soltanto che l’azienda offerente pensò a tutto e si fece carico di tutte le spese di trasporto, trasloco, sistemazione abitativa iniziale e servizio di consulenza per sistemazione abitativa definitiva. A me piace organizzare ogni cosa da sola, ma devo ammettere che ho apprezzato veramente l'aiuto concreto che ci hanno dato. Infatti con una bambina piccola è difficile gestire qualsiasi cosa. Immaginate un trasferimento. Per una volta ricevevo aiuto organizzativo e pratico. Di solito la gente che si proponeva di aiutarmi voleva intromettersi, decidendo in mia vece o scegliendo per me cosa fare e portare. Ed io rifiutavo. Ma avrei accettato ben volentieri se mi avessero aiutato a portare a termine qualcosa che avevo già deciso e che avessero eseguito materialmente quanto da me richiesto. Esattamente come lo volevo. Senza dare “suggerimenti” o consigli. Ed ora vedevo gente che imballava ciò che avevamo deciso di portarci senza aggiungere altro se non canticchiando o conversando di altre cose. Senza dire “ma non vi conviene portare anche i mobili o comprare quello o questo? Solo queste cose portate?” Saprò bene cosa mi serve e poi è vero che ci pagano il primo trasloco, ma il secondo spostamento no e poi con roba inutile devo viverci io. Chi me la paga la vita ingombra da spazio che voglio liberare? E poi sono ben contenta di regalare le mie cose a chi penso possano servire di più, come un libro sulla felicità che lasciai in sala d'aspetto del mio medico. Ormai non ne avevo più bisogno. I pazienti invece credo di sì.

Non avrei più sentito considerazioni sul mio modo di vivere, seppur abbia sempre rispettato gli altri. E se qualche estraneo avesse dato consigli, a parte quelli relativi all'integrazione in terra straniera, forse non li avrei capiti per questioni linguistiche.

E partivamo. Io felice per ciò che lasciavo, senza nostalgia. Quando partii per Londra, ma anche quando tornai, ero carica di esperienze, di cose, di innovazioni, di contributi da apportare a chi mi avesse assunto. Adesso partivo vuota, senza nulla da dare, senza essere nulla e nessuno, se non madre di una bambina, forse il contributo più grande che potevo dare. Stavolta non avevo aspettative: solo l'intenzione di restare, di non tornare più in Italia se non per far visita a chi mi sta a cuore, che di fatto non ho mai lasciato.


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