Viaggiava chissà per dove, sul suo binario. Io
camminavo per la strada di casa. Ma il suo fischio mi investì. Mi
impedì di rientrare tranquilla, come se nulla fosse, come se fosse
passato soltanto un treno. Un treno. L'ennesimo della giornata.
L'ennesimo di una ennesima giornata. Chissà quanti treni sarebbero
ancora passati ed io sempre lì, internamente scossa dal suo fischio,
ma esternamente indifferente poiché non cambiavo strada. Eppure
mille destinazioni sfuggivano sotto i miei piedi che attraversavano
il cavalcavia.
Credevo che prima o poi sarebbe passato il mio treno,
l'ultimo. Il treno che mi avrebbe portato lontano, via da quella
situazione. Il treno che mi avrebbe salvato dal marciapiede, dalla
zona di comfort, dalla routine.
Non ho mai perso un treno perché ho
sempre saputo quale treno dovevo prendere. Ma al momento non dovevo
prendere nessun treno e allora li stavo perdendo tutti. Tutti. Uno
dopo l'altro. E non potevo farci nulla.
Ma se non avevo intenzione di
prendere un treno in particolare, perché mi interessavo a tutti
quelli che passavano? Il fuggitivo non ha intenzione di prendere un
treno in particolare, ma soltanto il primo che passa. Ed io come il
fuggitivo aspettavo solo il mio treno, il primo possibile, la mia
speranza.
Da cosa volevo fuggire? Non poteva esserci
un'alternativa alla fuga? Ormai non c'era più nulla da discutere. Se
non si riescono a far valere le proprie ragioni nel posto dove si
vive, meglio rinunciare al posto dove ci si trova piuttosto che alle
proprie ragioni.
E io ci speravo. Aspettavo il treno che mi
portasse in un posto nuovo. Quali erano le mie ragioni? Ne ho sempre
avute tante di idee, obiettivi, utopie … Ma stavolta le mie ragioni
erano soltanto un po' di pace e tranquillità in un luogo meno
inquinato, sotto diversi punti di vista. Un luogo con prospettive
migliori, anche per mia figlia. Un posto nuovo, dove ricominciare. Una città nuova, una
nuova nazione. Ma quale? E il treno, inaspettatamente, arrivò.
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