giovedì 8 settembre 2016

Biopsy

Finalmente mi scrissero dall'ospedale, mandandomi un plico (scritto solo in tedesco) contenente tutte le informazioni necessarie per l'intervento e l'ammissione in ospedale. Dovevo compilare un questionario, e spedirlo per posta, prima del colloquio con l'anestesista fissato il giorno precedente la biopsia.
Prima che arrivasse la lettera, conoscevo già la data perché avevo chiesto al dottore. Ma non sapevo in quale ospedale sarei dovuta andare (per telefono non lo avevo capito).
L'ospedale dista una quindicina di chilometri da dove abito. Ma è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici, anche se dalla stazione ferroviaria all'ospedale conviene andare a piedi, pur camminando in salita.

Mi recai da sola, col bus, col treno e poi a piedi, portando una borsa contenente lo stretto necessario per trascorrere la notte (mi avrebbero dimesso dopo 24-36 ore se tutto fosse andato bene). Era una bella giornata e la passeggiata fu piacevole. Avevo lo stesso atteggiamento che ho quando esploro un posto nuovo, incuriosito e concentrato sul percorso. Mancava però lo spirito di poter girovagare, di cambiare rotta o di viaggiare senza meta perché la destinazione e l'orario erano fissati.

Non tutti in ospedale parlavano inglese, ma per fortuna chi non parlava inglese parlava italiano. Quindi comunicare con il personale fu ad ogni modo possibile, tranne in isolati casi in cui mi feci ripetere più e più volte perché la persona si esprimeva solo in svizzero-tedesco. Alla reception mi diedero una carta per usare il telefono e la tv presenti in ogni letto. La carta avrebbe segnato l'effettivo utilizzo del servizio da pagare alla dimissione. Avevo letto che nel solo caso in cui si ha un'assicurazione privata l'uso della televisione è gratuito, ma quel giorno me ne dimenticai. Tuttavia un'infermiera, che parlava italiano ma era di origine portoghese, non appena mi accompagnò in stanza per i preparativi, mi accese subito la televisione, facendomi credere fosse “kostenlos” (gratuita) o dando per scontato che io ne fossi interessata o che non potessi farne a meno. Mi fece vedere come si usava e mi disse che potevo pure vedere le emittenti italiane. Immaginate in quel momento quale posizione potesse occupare nella scala delle mie priorità vedere RAI1, RAI2 …. (proprio io che nemmeno in Italia possedevo la TV per scelta personale). Comunque l'infermiera era simpatica e devo riconoscere il suo tentativo di avvicinarsi a ciò che credeva “la mia cultura” per farmi sentire “a casa”. Perciò sorrisi e ringraziai dicendo che comunque avrei guardato emittenti svizzere per esercizio linguistico e per questioni di integrazione. Capì e mi lasciò sola nella camera provvisoria, raccomandando di chiamare se avessi avuto bisogno. Nell'ospedale, c'era il WI-FI gratuito. E così ingannai l'attesa.

Arrivò il momento di entrare in sala. Ad un certo punto l'anestesista mi prese il braccio e disse: “Count”. Io lo guardai un po' sbalordita. E mi rispose che solitamente invitava a contare per distrarre il paziente che si spaventava. Ma io non avevo mosso ciglio. E allora si sentì un po' come chi fa una battuta che non viene capita e disse ridendo: “Don't worry”. In effetti mi sarebbe sembrato strano se l'anestesia avesse richiesto al paziente di contare le pecore per addormentarsi.
Poi mi mise un aggeggio sulla fronte e mi disse che una volta non conosceva il termine “Forehead” e mi raccontò come l'aveva imparato. Io sorrisi, ma cominciai ad essere poco recettiva. Mi disse che ancora era la fase di pre-anestesia usando parole molte semplici “With this one, you are going to relax, not to sleep, but if you fall asleep it's ok.” No, non dormivo. Poi venne a salutarmi il medico che mi aveva seguito fin dall'inizio con l'ecografia e che mi avrebbe anche operato. Ad un certo punto sentii pronunciare, da un altro medico che parlava italiano “Ora dormirai”.

E così per un paio d'ore persi le mie facoltà, la mia volontà e la mia anima per consegnare il mio corpo a chi lo avrebbe tagliato per prelevarne un pezzo. Il concetto è terribile, ma di fatto non sentii, nulla e non provai nulla. Mi ritrovai in dormiveglia nella stanza da letto dove avrei pernottato. Dopo un po' vennero a trovarmi mia figlia e il mio compagno. Neanche lei sembrava aver patito durante la mia assenza (il mio compagno invece aveva un'aria sconvolta a stare tutto il giorno da solo con la bambina!). Non avevo neanche tanto male. Mi ristabilii in fretta e il giorno dopo tornai a casa.

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