“Schwanden, quando
chiedi ad un bambino cosa vuol far da grande, il bambino ti dà la
risposta definitiva per l'adulto felice che diventerebbe. Eppure non
lo stai ad ascoltare. Ridacchi e pensi che cambierà idea cento volte
prima di decidere. In realtà è l'adulto che fa cambiare cento volte
idea al bambino finché egli non si uniforma e dà una risposta
sensata per la società e il mercato del lavoro.
Eppure io avevo già
capito tutto da bambina della scuola elementare. Avevo già capito
che il mio talento era la scrittura creativa e non la matematica.
Avevo già capito che un lavoro e una vita ordinaria non erano
congeniali al mio essere. Avevo già capito che ero una ribelle. Però
mi confondevano le ottime valutazioni scolastiche che ricevevo in
tutte le materie. E allora studiai ciò che era più richiesto,
ignorando il fatto che a ciò che richiedevano dovevo dare io una
risposta e forse non ero la persona più adatta a farlo. Ne ho già
parlato. Non voglio ripetere.
Ti dico solo che se
avessi studiato ciò che meglio valorizza il mio talento, magari
sarei disoccupata lo stesso, ma perlomeno forse saprei come muovermi
per uscirne, conoscerei meglio il settore e chi ci lavora. Invece
conosco solo gente che ha fatto carriera nel settore che ho
volontariamente abbandonato dopo la laurea e gente che continua come
ricercatore nel settore da cui sono uscita per maternità. Schwanden,
ho smesso di far statistica, e non ne ho sentito la mancanza. Ho
smesso di scrivere e mi son sentita privata di tutto.
A volte mi sento
fallita. Tutti i titoli che posseggo non solo non mi fruttano
interessi, ma hanno pure perso il loro valore. Schwanden, non c'è
peggior gestore finanziario di colui a cui non interessa il denaro.”
“La parola giusta è
ribelle e non fallita, intanto. Non hai fallito come professionista,
ma ti sei ribellata ai modi e alle condizioni imposte alla
professione. Hai solo detto che non era l'ideale per te e ti sei
dileguata. E' vero che fai fatica a trovare impiego perché sei
anticonformista e non riesci a fingere di esser diversa, ma è anche
vero che una volta assunta non hai mai deluso nessuno, a parte per la
tua indisposizione ad essere asservita. Penso che potrebbero
assumerti anche in Svizzera se tu lo volessi. Ma poiché preferisci
un lavoro nel “sociale”, ma non hai la qualifica, allora ti
impieghi a casa, auto-remunerandoti, e ti prendi cura di tua figlia.
Penso che sei molto fortunata. Quello che ti sto offrendo qui davanti
ai tuoi occhi è un paradiso.”
“Schwanden lo so, io
mi sento in pace qui.”
“E allora, cos'è
che non va?”
“Schwanden, quando
mi chiedono cos'è che non va, la prima risposta che sarei tentata di
dare è: tutto. Sono io che non vado: ho un pessimo carattere, il
portamento “alticcio” e la bassa statura, non seguo le mode, i
luoghi comuni, non mi piace fare shopping, sono trasandata, e quando
mi vesto elegante appaio lo stesso come uno sputo in un occhio
conformista, parlo poco o troppo a seconda delle situazioni, non so
fingere, non guardo le vetrine, non sono aggiornata sulle offerte
commerciali o sulle notizie che interessano la massa …
Schwanden, alla luce
di queste considerazioni, alla domanda cos'è che non va però ti
rispondo “nulla”. Schwanden, cos'è che deve andare e dove deve
andare? Chi dice che dovrei essere diversa? Altrimenti non sarei io,
altrimenti non vivrei la mia vita, ma un'altra vita. Anche se fossi
malata la risposta sarebbe comunque che nulla non va. Già, chi dice
che bisogna essere sani per poter vivere? Chi dice che deve andare
sempre tutto bene? Chi dice che dobbiamo evitare di soffrire? Le
giornate alla fine trascorrono lo stesso. A volte una sofferenza
temporanea ti arricchisce di più nell'animo rispetto alla monotonia
quotidiana. Si chiama vita. Certo, malattia, sofferenza, imprevisti
sono tutte cose che ci distraggono dalla routine, che riducono la
produttività e ci allontanano dal lavoro. Ma vivere non vuol dire
essere sempre operativi, efficienti. Non siamo macchine sempre in
funzione anche se accese. E poi la vita è come ricevere un'eredità.
Se l'accetti, ti accolli sia i crediti che i debiti, le attività e
le passività. Ci sono eredità più fortunate, altre meno, più
corpose o più magre. Ma cosa importa? Ciò che abbiamo è ciò che
dobbiamo valorizzare. E' la nostra vita e dobbiamo farne tesoro.
Paghiamo i debiti e riscuotiamo i crediti perché riceviamo il tutto,
ne diventiamo padroni e quindi responsabili. Ne assumiamo i rischi e
ne godiamo i frutti. Se ricevessimo soltanto una parte, un legato, un
bene, è come se qualcuno ci donasse solo un bel giorno di vita. Un
bel ricordo, certo, ma nulla più. E invece no. Subiamo le
sofferenze, ma possiamo ridere oggi e continuare a farlo domani.
Paghiamo i debiti, per garantirci la continuità.”
“Sei sempre la
solita ragioniera in fin dei conti.”
“Cerco di dare
giustificazione filosofica ai miei studi.”
“Quindi sei contenta
della tua eredità, della situazione familiare svantaggiata da cui
sei partita? Dei valori che ti ha trasmesso?”
“Certamente, anche
se da quando son ritornata da Londra sembra che dietro l'accettazione
di questa eredità ci sia una maledizione.”
“Una maledizione?
Sei la reincarnazione di Bordel?”
“Schwanden, ti
riferisci alla male-dizione di Baudelaire, il poeta maledetto? Se fai
lo spiritoso, faccio la tua male-dizione o la tua storpiatura, ti
faccio prima oscillare in Schwangen (che in tedesco vuol dire
oscillato) e poi in Schwanger (in tedesco incinta) e ti faccio
partorire un bel boschetto.”
“A parte gli scherzi
e i giochi di parole, che cosa sarebbe questa maledizione?”
Nessun commento:
Posta un commento