“
Ricomincio dai pezzi scrissi quando tornai da
Londra. Infatti pensavo di ricostruire, di cucire quei pezzi e
ricominciare da lì. Ma mentre cercavo di ricostruire, ristrutturare,
riprendere le relazioni con amici e parenti, ricollocarmi nel mondo
del lavoro in piena crisi, cominciai a perdere i pezzi, fisicamente.
Col senno di poi avrei intitolato il post Ricomincio a pezzi, ma
ovviamente non avrei mai potuto saperlo. Fino a quel momento in vita
mia non avevo mai subito anestesie, di nessun tipo. Ero sempre stata
conscia di ciò che mi accadeva, di ciò che mi facevano, persino da
ragazzina ubriaca. E invece la maledizione volle un'anestesia per
ogni anno che passava dal mio rientro in Italia, concedendomi una
dilazione iniziale di due mesi (persi la priorità acquisita in day
hospital per il ricovero in reparto) che fece scattare il primo
evento all'anno solare successivo. Già, la rea dell'autocontrollo,
che ero stata in passato, subiva l'anestesia come legge del
contrappasso. E la rea dell'anarchia subiva la reclusione ospedaliera
come legge del contrappasso. Schwanden, sembra assurdo ma accadde
proprio questo. A Londra non andai mai una volta dal medico di base,
nemmeno per sceglierlo. Tornai in Italia e non mi bastò più andare
neanche dallo specialista, necessitavo di un chirurgo. E così, fu la
volta della cistifellea, due giorni di degenza in ospedale più uno
di scherzo (non solo persi la priorità in day hospital, ma
rimandarono l'intervento in reparto dopo una pre-anestesia, come
raccontai). L'anno dopo, fu la sorpresa della bimba, anche se in
effetti qui si parla più di creazione che di perdita di un pezzo,
però richiese 23 giorni di degenza più il parto cesareo, dove
appunto persi il privilegio del controllo, del parto attivo, seppur
l'anestesia non fu totale. Poi fu la volta dei denti del giudizio, di
cui non raccontai nulla perché non fu rilevante in sé, ma solo nel
contesto di un piano “malefico”.
E
emigrando qui, pensavo di sfuggire a questa legge, di sciogliere la
maledizione. Pensavo fosse legata alla mia terra, alle mie origini,
ma invece è legata proprio a me, alla mia vita, senza ieri, né
domani. Schwanden, la maledizione non solo mi perseguita, ma fa parte
di me.”
“Però,
devo interpretare tutto questo come una descrizione poetica e solenne
di tutta una serie di sfortunati eventi, meglio conosciuti come
sfighe. Già, una teoria di sfighe diventa un piano maledetto. Sembra
quasi che tu stia trovando una giustificazione alla sfortuna. Se non
ti conoscessi, potrei pensare che tu sia assurdamente religiosa o
superstiziosa.”
“Io
aggiungerei anche picchiatella e fatalista.”
“Invece
so bene che in fondo per te la Provvidenza agisce semmai come la mano
invisibile di Adam Smith piuttosto che secondo il piano di qualsiasi
legge biblica o del contrappasso.”
“La
sfortuna di romanzo vestita, esattamente così. Questa è la mia
risposta alle disavventure. Visto che la sfortuna appare sempre nuda,
cruda, cieca, bieca, senza ragione né programma, senza nazione né
cartogramma ho provato a vestirla, a darle una ragione, un senso, un
piano e anche una nazione. Tuttavia resta internazionale e senza
frontiere.”
“Però
dimmi, se la maledizione ha avuto origine da quei pezzi ed è
diventata parte di te seguendoti ovunque, mi chiedo quale pezzo ti
stia domandando ora, o la tua è solo una paura?”
“Schwanden,
ormai non ho più paura. Accetto tutto, qualsiasi cosa domandi, anche
se l'istinto di avvalersi della facoltà di non rispondere senza
dubbio c'è. Molti sostengono che contro una patologia si debba
lottare. Questo è il lavoro di un medico, che lotta per una causa
generica, e non per una singola persona. Per il paziente è diverso.
Il medico ambisce a far funzionare il macchinario il più a lungo
possibile, a qualsiasi condizione o costo. Al paziente invece importa
che il macchinario lo porti almeno fin dove voleva arrivare e che il
viaggio sia piacevole. Il medico guarda il macchinario dall'esterno.
Il paziente ci viaggia dentro. Se un paziente lottasse contro la sua
patologia, di fatto lotterebbe contro la sua stessa carne, contro i
suoi stessi pezzi, contro la vettura che lo fa viaggiare. E invece se
i pezzi sono malati, bisogna lasciarli andare se non si possono
riparare, visto che non si può nemmeno cambiar vettura. E in ogni
caso, anche se fossero sani, non bisognerebbe attaccarsi alla propria
carne, non bisognerebbe attaccarsi a qualcosa che deperisce, che si
usura. Un paziente deve lottare per non far scappare il sorriso, non
la propria bocca. Un paziente deve lottare per continuare a percepire
la vita con i cinque sensi e non per gli occhi, le mani, la lingua,
le orecchie, il naso. I pezzi privi di sensibilità non sono altro
che carne da chirurgo. La sensibilità non è nel corpo, ma
nell'anima.”
“Senti,
ma veniamo al dunque. Non credevo che la narrazione prendesse questa
svolta.”
“Non
lo credevo nemmeno io. Volevo parlarti ancora degli svizzeri, ma ho
dovuto rivedere la scaletta.”
“Perché?
Cosa è successo? Puoi dirmi quale sarà il prossimo pezzo a cui
dovrai rinunciare?”