Io sono disponibile ad essere flessibile e ad adeguarmi per fare ciò in cui
credo. E’ anche grazie alla mia determinazione se riprenderò a lavorare. Infatti
non credo sia giusto che la ricerca debba fermarsi a causa dei vari tagli. Ed
io piuttosto lavorerei anche a titolo gratuito.
Io sarei ben disposta a farlo, ma quali sarebbero le alternative se non lo
facessi? Ciò che ho fatto finora. Stare a casa, senza avere un ruolo sociale e
senza neanche poter sperare in un futuro lavorativo. E allora la mia
flessibilità, pur di fatto essendo una scelta, diventa un’imposizione, il mio
volontariato una sorta di lavoro forzato, la mia “vocazione” una “forzatura”.
E la flessibilità, si intende, è sempre a carico del lavoratore. Infatti se
il mercato fosse altrettanto flessibile potrebbe assumermi anche senza
richiedermi esperienza nel settore, accontentandosi della mia buona volontà e
del mio potenziale. Ma non è così. Mi son sentita dire che ho un curriculum
particolare, un profilo troppo elevato. Ma troppo elevato per cosa? Per stare
all’altezza del quadro aziendale?
Sono tornata in Italia consapevole di non poter pretendere di fare carriera
come ricercatrice, ma disposta ad adeguarmi pur di vivere con il mio convivente
e di abitare vicino alle mie sorelle. Ma allora perchè il mercato ha mille
pregiudizi ed è così rigido? Perchè non è in grado di “adeguarsi” alla mia
candidatura? Perchè ha mille pretese: competitività, produttività e tutte le
varie formule per far fronte alla crisi.
Ma è giusto che soltanto le aziende abbiano pretese ed i lavoratori no? Ma è giusto costringere le persone ad essere flessibili? Rendere flessibile
qualcosa che non può esserlo vuol dire di fatto spezzarlo. Se per ipotesi
infatti mi ammalassi? Addio tutto. Addio progetti di ricerca. In tal caso, l’imposizione
della flessibilità mi darebbe soltanto il colpo di grazia. Inoltre la flessibilità imposta decide anche la tua residenza (e magari
anche il tuo divorzio con il coniuge). Infatti se uno non è disposto o non può
per varie ragioni spostarsi ed ha una certa esperienza nel settore, non è detto
che possa trovare lavoro in altri settori se rimane nella sua città di origine.
E’ questo che chiamiamo progresso? Miglioramento delle condizioni di vita e
delle possibilità di sviluppo? In Italia siamo indietro, si sente sempre dire.
Ma a che cosa ci riferiamo? Che cos’è l’”avanti” a cui miriamo? Sogniamo il modello
statunitense o ci accontentiamo del modello tedesco? Certo, magari gli altri Paesi
pagano meno tasse, hanno più soldi per la ricerca, la gente può consumare di
più, la benzina costa meno. Ma è solo
questo che ci interessa? E’ solo questo da cui dipende la nostra società?
“Il lavoro non è un diritto”. Certamente non lo è. Ma pensate che negli
altri Paesi lo sia? Volete che il lavoro sia garantito a tutti? Allora forse
occorrerebbe sacrificare l’attuale sistema capitalista. Capisco, vi fa paura la
parola “com......” associata a “Pericolo rosso”, “Anti-Cristo”, “Regime”, “Rinuncia alla
proprietà” e tutti gli altri luoghi comuni dietro cui si nasconde quella
parola? Ma credete che mantenendo l’attuale sistema tali pericoli non si
prospettino? Non penso che pagheremo più di quel che stiamo pagando ora. La
differenza è che forse potremmo avere servizi migliori.
E poi basta nascondersi dietro falsi ideali e farne una questione
politica. Bisognerebbe unirsi anzichè dividersi. Basta con la creazione di
nuove associazioni, ciascuna con una virgola in più che la distingua dalle
altre per salvaguardare il protagonismo individuale. Le associazioni dovrebbero
lottare unite, anzichè divise. Le relazioni dovrebbero fondarsi su ciò che
unisce le parti, non su ciò che le divide. Vi capisco, anche io ho bisogno di
protagonismo e libertà. Ed è anche per questo che scrivo questo blog. Ma
un’associazione è ben altro. E quando si tratta di cooperare, sono ben disposta
a mettere da parte il mio ego.
Ma cooperare non vuol certo mica dire premere il tasto “Condividi” sui social
network e poi continuare a farsi i fatti propri. Quella è solo ipocrisia. Sui
social network siamo tutti rivoluzionari, abbiamo tutti dei valori, crediamo
tutti in qualcosa. Ma poi?
Molta gente di fatto critica solo il rigore dell’attuale Governo, ma in
fondo in fondo pensa: “Si stava meglio quando c’era il Cavaliere. Almeno si
poteva “cavalcare”, spendere, evadere ...”
Ma ciò che mi chiedo è: “Dove ci porterà questo rigore?” Da una parte
pensavo fosse necessario e servisse veramente a migliorare. Ma più passa il
tempo e più ne dubito, chiedendomi dove si voglia andare a parare. Quale sarà il
futuro? Potrò fare ricerca senza essere precaria o, in alternativa, trovare un lavoro dignitoso?
E nel frattempo, paghiamo. Paghiamo per essere flessibili, per non poter condurre
ciò che i nostri genitori con meno soldi mandavano avanti: la baracca
familiare. Baracca, non di lusso, ma stabile. Mentre ora si sogna il lusso,
anche se ciò richiede di vivere in una roulotte pagandone pure la tassa.
Sono stanca. Sono stanca di leggere cazzate. Sono stanca di firmare
petizioni che servono solo da marketing per varie associazioni. Sono stanca di
aziende che prima di assumerti cercano in rete il tuo nome per vedere se la tua
immagine è "pulita". Sono stanca di persone che non parlano in maniera chiara.
Sono stanca persino di poter soltanto scrivere, a tempo perso, per raggiungere
i miei lettori. Sono stanca di essere stanca senza far nulla.
Carissima, sono molto sentiti, intensi e passionali i tuoi post. Sono mossi da rabbia, ma anche da una grande speranza e fiducia, la fiducia che fa la differenza tra chi crede che un cambiamento evolutivo della società si possa fare e si debba fare, e chi si lagna, si lamenta con i soliti discorsi da "fremata dell'autobus", ovvio, tralascio coloro che nello status quo porgono le proprie preziose chiappe al sole dei Tropici. Ma 'ste chiappe non abbrustoliranno mai?
RispondiEliminaUn abbraccio
Mary