“Le idee debbono sposarsi all’azione ...
Le idee non possono esistere da sole nel vuoto del pensiero. Le idee sono
in rapporto con la vita ...
L’estetica dell’idea genera vasi da fiori e i vasi da fiori si mettono alla
finestra. Ma se non c’è pioggia o sole, a che giova mettere i vasi da fiori
fuori dalla finestra? – Henry Miller ”
Penso sempre in questo periodo che dovrei fare qualcosa, attivarmi per
trasformare le mie idee in azione. Il mio vaso da fiori è fuori sul balcone, grazie
a questo blog. E sta aspettando la pioggia. Magari pioverà, ma se non voglio
fare appassire i fiori, devo innaffiarli con l’acqua. L’idea non basta.
Ma cosa vuol dire nel mio caso “innaffiare”? Forse vorrebbe dire far
diventare le mie idee un progetto, ma soprattutto trovarmi dei collaboratori o,
meglio, far parte di un’associazione dove le mie idee possano prendere forma.
Sento che dovrei farlo, per non diventare soltanto una persona che dopo
aver aperto la finestra “New post” del blog, comincia a vomitare idee, anche se
poi riesce a impacchettarle come vasi da fiori. Ma cosa vorrebbe dire entrare a
far parte di un’associazione?
Vorrebbe forse dire conformarsi. Infatti ciò che fa la differenza, per
l’appartenenza o meno ad un gruppo, non è credere ai suoi valori, ma adeguarvisi.
Un po’ come andare a messa. L’importante è partecipare, anche se non si crede.
A chi importa se la nostra fede sia sincera se sappiamo “venderla” come tale?
Di certo non al prete, che apprezza molto di più le offerte pecuniarie. Al
pubblico interessa? No, per definire il pubblico basta la presenza, non
l’intento, la volontà di presenziare.
Ciò che mi turba e mi fa sentire inetta è la mia incapacità di conformarmi:
troppo donna per essere un uomo e troppo uomo per essere donna, troppo
ignorante per essere erudita e troppo erudita per essere ignorante, troppo
produttiva per essere perdigiorno e troppo perdigiorno per essere produttiva,
troppo ingenua per essere scaltra e troppo scaltra per essere ingenua, troppo
individualista per essere socievole e troppo socievole per essere individualista,
troppo per essere niente e troppo poco per essere qualcosa.
Non sono nemmeno conformista nel mio stato disoccupazionale, visto che
possiedo un titolo di studio e una formazione che non rientrano tra le lauree
più richieste tra le mura domestiche.
Ma cosa importa avere titoli, valori, impegno concreto? Ciò che fa
veramente la differenza e pone le basi per il successo è il conformismo:
conformarsi all’ambiente scolastico, lavorativo, sociale ... Rispettare le
regole imposte anche senza credervi.
“Se ci fosse un uomo che osasse dire tutto quel che ha pensato di questo
mondo, non gli resterebbe un piede quadrato di terreno su cui stare in piedi.
Quando un uomo si fa avanti, il mondo gli crolla addosso e gli rompe la schiena.
Ma ne restano in piedi sempre troppe di colonne ...
La sovrastruttura è una menzogna e le fondamenta sono una paura trepidante ...
Se un uomo mai osasse tradurre tutto quel che ha nel cuore, mettere giù
quella che è la sua vera esperienza, quel che è veramente verità, io credo
allora che il mondo andrebbe infranto, che si sfascerebbe in frantumi ... !”
Continuo a leggere “Tropico del Cancro di Miller” e a riconoscermi nell’ ”uomo”
che vuole esporsi, per esprimere ciò che sente. E allora devo mediare tra il
voler far qualcosa per migliorare la società ed il voler essere libera di starne
fuori. Ma c’è una strada per cambiare la società senza farne parte?
“Fianco a fianco con la razza umana
scorre un’altra razza di creature, le disumane, la razza degli artisti che,
stimolati da impulsi ignoti, prendono la massa inanimata dell’umanità ...
rovistano l’universo, capovolgendo ogni cosa, coi piedi che sempre si muovono
nel sangue e nelle lacrime, le mani sempre vuote, sempre tese ad afferrare quel
che c’è oltre, il bene lontano; trucidano tutto quel che raggiungono per
quietare il mostro che rode loro gli organi vitali. Vedo che quando si
strappano i capelli nello sforzo di comprendere, di afferrare questo eterno
inattingibile, vedo che quando muggiscono come bestie impazzite, e stracciano e
trafiggono, vedo che questo è giusto, che non c’è altra strada da seguire. ...
E tutto ciò che non sia questo tremendo spettacolo, tutto quello che sia meno
tremendo, meno terribile, meno pazzo, meno avvelenato, meno contaminante, non è
arte. E’ artifizio. E’ umano.”
Ma può un essere disumano rivoluzionare l’umanità? Può senza l’aiuto della
razza umana?
Toglietemi tutte queste idee. Fatemi diventare consumista. Fatemi diventare
una “donna”. Fatemi guardare soltanto allo specchio. Fatemi vivere per badare
soltanto alla casa o per collezionare borsette, vestiti, scarpe. Fatemi
ricercare in un “uomo” il suo portafoglio ed incoraggiarne il suo maschilismo.
Fatemi vivere una vita normale. Datemi un lavoro che mi renda incapace di
pensare, che mi costringa soltanto ad eseguire, che mi faccia abbassare
soltanto la testa. In cambio, prendetevi tutto. Le mie lauree, la mia
personalità, esaminatemi pure per vedere se son pazza o malata. Prendetevi
tutto e soprattutto non lasciatemi il cervello.
Forse Miller ha ragione. Dovrei essere fiera di far parte della razza
disumana e di non aver come meta quella di diventare essere umano. Altrimenti
ciò equivarrebbe a distruggermi.
“Sono disumano ... non ho nulla a che fare coi credi e coi principii. Non
ho nulla a che fare con la cigolante macchina dell’umanità ...”
Ma se sono disumana allora perché ricerco l'umanità? Oppure è proprio il mio essere disumana che mi porta ad avere bisogno di ciò che non posso avere? Oppure ho in mente un'altra accezione del termine umanità?
Ma se sono disumana allora perché ricerco l'umanità? Oppure è proprio il mio essere disumana che mi porta ad avere bisogno di ciò che non posso avere? Oppure ho in mente un'altra accezione del termine umanità?
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