lunedì 25 giugno 2012

La pecca capitale


“Siamo tutti uguali”. Già fin dalla scuola dell’obbligo te lo dicono, ma ben presto ti accorgi che non è così. Il tuo compagno ha lo zaino firmato, il tuo compagno prende voti più alti.
Voti, soldi. “Studia, così da grande guadagni”. Già alle scuole elementari si comincia a fare il lavaggio del cervello ai bambini professando che ciò che conta nella vita è il possesso e l’accumulazione della ricchezza. In famiglia poi si inizia fin da quando il bambino è in fasce. “Questo è il suo vestito, questi i suoi giocattoli.” E l’effetto si vede quando nasce un altro bambino che non può assolutamente condividere ciò che è diventato proprietà privata del fratellino. Poi inizia il catechismo che impone ai bambini il senso del sacrificio, del dovere (di fatto anch’esso finalizzato al lavoro, come produzione di ricchezza).

Da bambina odiavo sentirmi dire che avevo un’intelligenza superiore. Sulla base di cosa? Di uno stupido voto che per me non significava nulla? Io studiavo perchè ero curiosa. Facevo i compiti per giocare con le mie capacità, per mettermi alla prova e per soddisfazione personale. Non avevo paura di sbagliare. Non ero ansiosa di vedere le pagelle. Nessuna ansia per esami, compiti in classe, a differenza dei miei compagni di scuola che si agitavano, preoccupavano, che avevano paura di sbagliare non per il semplice fatto di commettere un errore, ma per non riuscire a passare il livello di ciò che astrattamente viene definito “SUFFICIENZA”. 

Da bambina inoltre pensavo che in fondo non possedevo nulla. Consideravo tutto ciò che i genitori mi compravano come concesso in prestito. Prestito che volevo condividere con mia sorella, anche se lei non collaborava perchè voleva difendere la sua proprietà privata.
Da bambina in fondo ero sicura delle mie capacità: non avevo bisogno di voti che le certificassero. Non avevo bisogno di giocattoli per divertirmi, perchè era più bello immaginarli e divertirmi con la loro idea. Inoltre preferivo giocare all’aria aperta con i bambini, in un luogo potenzialmente pericoloso per avere l’opportunità di poter fronteggiare situazioni critiche.

Il possesso, i soldi, i sacrifici, il far parte di una classe sociale nascondono di fatto la paura di essere. Possedere per comprare, risolvendo così tutti i problemi legati alla propria esistenza. Comprare per evitare di sbagliare. Comprare per evitare di ragionare. Comprare per dispensare la fatica. Rifugiarsi in una classe sociale per paura di cambiare. Alcuni poi pensano di diventare migliori frequentando scuole private. Dopo la scuola dell’obbligo, mio padre quasi pensava di farmi studiare in una scuola privata, per valorizzare le mie capacità. Io lo convinsi a non farlo. “Il vero talento non ha bisogno dell’etichetta per essere riconosciuto, ma emerge tra la folla.” 

Eppure c’è stato un periodo in cui anche io ho cominciato a puntare sul “capitale”: capitale scolastico, con l’obiettivo poi di accumulare ricchezza e fondando la mia vita sul sacrificio, sulla serietà. Ma vivevo male perchè avevo paura. La mia serietà infatti era paura dell’imprevisto, paura di farmi sedurre dal piacere di ridere, paura di distrarmi. Paura di sbagliare un esame. Paura di non trovare un lavoro ben retribuito. Paura di non fare abbastanza sacrifici. In poche parole paura di vivere. 

Poi arrivano le crisi personali. Dubiti delle tue capacità quando non hai più occasione di provarle accumulando voti scolastici. Quando perdi il lavoro perdi tutto. Quando perdi una persona cara che era malata non ti rimane neanche più la possibilità di provare il tuo senso del sacrificio assistendola in ospedale e non dormendo per starle accanto.
E allora cosa rimane? 

Immaginiamo una società fondata sullo sviluppo personale, anzichè sulla proprietà privata. I bambini a scuola non vengono valutati in numeri, nè etichettati in “stupidi” ed “intelligenti”. Ma li si incentiva a valorizzare il proprio potenziale e a sviluppare la propria creatività. La società inoltre si basa sulla cooperazione e la si insegna fin dall’infanzia. Non pensate possa essere una società migliore quella fondata sulla valorizzazione delle diversità individuali anzichè quella fondata sulla valorizzazione delle disparità economiche? 

Nell'attuale sistema scolastico dei voti, i "primi della classe" vengono invece snobbati e non incentivati ad aiutare i compagni “meno abbienti” in materia grigia. Un po’ come la classe politica. Vengono accusati di essere “privilegiati”, di avere i favori della maestra. E questo non fa che rafforzare il loro privilegio, aumentando le distanze dai compagni e incentivando all’accumulo dei voti, anzichè ad un impiego utile delle loro capacità all’interno della classe. 

Pertanto ciò che penso è che se si vogliono eliminare i privilegi sociali, bisogna iniziare eliminando i voti scolastici. Mi rendo conto che è un compito delicato. Ma penso che, paradossalmente, sia l’unico modo per aumentare la meritocrazia e la soddisfazione personale. Il voto nasconde le vere capacità di un bambino, capacità che soltanto tramite la cooperazione possono venire riconosciute, sviluppate e valorizzate. E’ la cooperazione, e non la competizione, che può consentirci di specializzarci in ciò che ci piace e che sappiamo fare bene: io mi occupo di un compito perchè sono bravo a farlo, mentre tu ti occupi di un’altra mansione perchè sei migliore di me.  E non sono invidioso di te perchè sono consapevole delle mie capacità e dei miei limiti. Anzi, ti sono riconoscente perchè è grazie a te che posso essere così bravo. 

Se si coopera è teoricamente impossibile rimanere disoccupati perchè ci si organizza e ci si può collocare là dove vi è bisogno. In fondo penso che l’attuale crisi economica sia di fatto “crisi del capitale” e soprattutto mancanza di cooperazione. Si pensi a chi si laurea e insegue le possibilità di carriera, intese come possibilità di accumulazione del denaro. Immaginate che tutte le persone che si laureano facciano la stessa cosa. E magari tutti hanno la stessa laurea perchè hanno fiutato lo stesso affare e ora competono per accaparrarselo. Ognuna di queste persone vive nella paura di perdere, nella paura dell’altro e nella schiavitù del proprio sacrificio, per il quale si è rinunciato ad essere per avere. Infatti per queste persone l’importante è fare qualcosa che consenta loro di accumulare. Non importa di fare qualcosa che piaccia loro o che siano veramente bravi a fare.

E quando non si prospettano più le possibilità di carriera che si fa? Ci si ritrova in una situazione in cui non si ha e non si è. E allora? Si deve diventare ed affrontare la paura.



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