“Scusi signore dov'è l'ANAGRAFA?”. “L'anagrafe?
Deve scendere alla prossima fermata.” “Grazie.”
Ero in Italia, e potevo permettermi di ridere sentendo
tale storpiatura. Eppure ci si capisce lo stesso, a volte di più di
fare discorsi perfetti e complessi. E la persona che aveva chiesto
informazioni non era straniera, ma rientrava in quella categoria di
anziani che hanno studiato poco e ai quali in fondo non è mai
interessato conoscere bene la lingua da non far errori. Per
esprimersi e farsi capire ciò infatti non è necessario. Se hai
bisogno e devi chiedere qualcosa di semplice, di specifico, di
pratico non importa se parli bene, soprattutto se stai chiedendo
qualcosa che comprerai o se stai usufruendo di un servizio. Le
persone ti capiscono e ti accontentano. Da questo punto di vista non
c'è nessun vantaggio a saper parlare senza errori. Si vive lo
stesso. Diversamente invece se si dovesse vendere qualcosa o se ciò
di cui si ha bisogno sono il riconoscimento e la stima degli altri.
In quei casi allora bisogna saper parlare correttamente.
E invece tutte le storpiature, tutti gli errori di mala
pronuncia che sento qua in Svizzera sono gli sforzi di tutti quelli
che cercano di parlare la tua lingua e quindi non puoi deridere chi
ti risparmia le “lacrime” e gli sforzi di parlare una lingua che
storpieresti di più.
Ma la cosa peggiore non è parlar male una lingua, se
comunque la gente ti capisce. La cosa peggiore è parlare la stessa
lingua, correttamente, ma non capirsi, di fatto non comunicando
nulla, ma emettendo soltanto suoni perfettamente percepiti, ma non
recepiti. Ciò che accedeva quando ero in Italia.
Suoni, belle parole e poi tutto finisce in silenzio,
senza nessuna conseguenza. Eppure puoi continuare a vivere in un
posto senza farti capire, soltanto perché quello è il tuo posto. Tu
sei nato lì e da lì non ti muovi, non ti alzi. Continui a vedere lo
spettacolo anche se ormai non ti interessa più e anche se poi non
applaudi, in fondo non cambia molto. Il rumore delle tue mani non si
sente molto. Sei seduto, quasi nascosto e gli altri stanno
applaudendo al posto tuo.
Invece se sei straniero non è così. Non puoi non farti
capire. Parli male, già, ma devi farti capire, altrimenti non
riusciresti a vivere, non troveresti lavoro e saresti costretto a
tornartene da dove sei venuto. Lo straniero non ha un posto a sedere.
Lo straniero vede lo spettacolo in piedi. Si espone, si fa vedere.
Ogni suo movimento viene osservato. Il suo applauso si vede.
Sentirsi straniero ti obbliga a vivere con gli occhi
sempre aperti, attento, sempre in piedi a capire se può liberarsi un
posto, anche solo temporaneo, dove poterti riposare. Ma alla fine ti
abitui anche a sbattere il culo contro il suolo freddo, a meno che
qualcuno, molto gentile, non condivida il suo posto con te, dandoti
la sensazione di sentirti accolto, riverito, anche se in fondo non è
quello che cerchi, perché vuoi rialzarti subito e continuare a
vedere lo spettacolo in piedi, per non perderti la libertà di
uscire, indisturbato, dal pubblico, qualora ad un certo punto lo
spettacolo ti annoiasse e non ti interessasse più.
E allora capisci
perché non puoi scegliere gli attori dello spettacolo che stai
vedendo. Per poterlo fare devi avere il posto riservato, dalla
cittadinanza. E invece puoi scegliere gli attori dello spettacolo che
i tuoi connazionali vedranno, ma a cui tu non parteciperai, dal vivo,
come spettatore. Il tuo posto sarà sempre lì, prenotato, ma
rimarrà vuoto e nessuno in fondo se ne accorgerà. Mentre finché
rimarrai in piedi, senza posto riservato, non potrai mai decidere
quali attori vedrai nel posto in cui vivi. E' questa la condizione
dello straniero.
In ogni caso, però in una società complessa, fatta di apparenze e sempre più virtuale, di fatto il diritto di scelta riguarda soltanto gli attori, ma non lo spettacolo. Lo spettacolo cambia, certamente, al variare degli attori, ma soltanto nella forma, non nella sostanza. La storia è sempre quella. Il finale pure, anche se l'interpretazione di un bravo attore può essere determinante e farti credere l'opposto. Con la democrazia diretta le cose sarebbero certamente differenti, anche se c'è il rischio che attori improvvisati non sappiano di fatto recitare e rovinino lo spettacolo, facendoti credere che tutto sia un disastro.
In ogni caso, però in una società complessa, fatta di apparenze e sempre più virtuale, di fatto il diritto di scelta riguarda soltanto gli attori, ma non lo spettacolo. Lo spettacolo cambia, certamente, al variare degli attori, ma soltanto nella forma, non nella sostanza. La storia è sempre quella. Il finale pure, anche se l'interpretazione di un bravo attore può essere determinante e farti credere l'opposto. Con la democrazia diretta le cose sarebbero certamente differenti, anche se c'è il rischio che attori improvvisati non sappiano di fatto recitare e rovinino lo spettacolo, facendoti credere che tutto sia un disastro.
Ma di fatto ciò che
accade dietro le quinte nessuno può mai veramente saperlo. Non puoi
mai sapere quanto incida l'impresa di chi pulisce il posto che
occupi, per esempio. Ogni attore conosce soltanto una parte della
verità: quella che percepisce. Oltre i limiti della sua competenza
professionale, entrano in gioco le sue “credenze” e la sua
fiducia verso gli altri.
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