Già quando ero in gravidanza pensavo fosse
contrario ai miei principi
allattare ad orari e costringere un bambino a mangiare. I bambini
sanno autoregolarsi. Lo confermano diversi testi. E perché la mia
bambina non avrebbe dovuto essere in grado di autoregolarsi? Perché
non avrebbe potuto mangiare quando e quanto voleva? Perché dovevo
svegliarla per farla mangiare?
Ipse dixit. Se mi han detto di far così vuol dire
che nel suo caso è necessario. Forse perché è nata prematura? Ma
mica prematura vuol dire ritardata nel capire i bisogni? Dubitavo, ma
tuttavia obbedivo a ciò che mi avevano detto. Ero rimasta spaventata
da quell'esperienza e mi sentivo ancora in colpa per non essere stata
in grado di nutrirla adeguatamente. Per non sbagliare, per non
espormi, per non rischiare, seguii alla lettera ciò che mi dissero.
Doveva fare sette pasti al giorno, cioè ogni 3 ore e mezza circa.
Avevo comprato la bilancia per la doppia pesata e se non riusciva a
succhiare il quantitativo prescritto dovevo integrare col latte
artificiale.
La pesavo. Segnavo il peso. La tenevo attaccata
al seno non più di mezz'ora. La ripesavo. Segnavo il peso. Integravo
col latte artificiale. La tenevo in braccio finché non finiva tutto
il pasto o quasi. Segnavo quanto riuscivo a farla mangiare. Non era
tutto così semplice e lineare.
I bambini non sono macchine. A volte
mentre mangiava si interrompeva se doveva sporcare il pannolino. E ci
impiegava un po'. Per evitare sovrapposizioni con il pasto
successivo, cercavo di sollecitarla. Ma niente da fare. Perdevo solo
tempo. In effetti aveva ragione. Come si può mangiare mentre si
caga? A parte che non è piacevole, è anche difficoltoso. Pertanto
era assurdo pretendere di rispettare gli orari. Alla TINO risolvevano
tutto in fretta con i microclismi. Ma io mi rifiutavo. Persino da
adulti ci si concede il tempo per i propri bisogni, leggendo magari.
Perché allora mettere fretta ad un lattante? Perché non aspettare
che faccia da solo? Mangiare e cagare sono le uniche cose che un
lattante sa far da solo. Perché dobbiamo farle noi allora? Perché
dobbiamo imporre i nostri ritmi o condizionare i loro bisogni?
Non volevo dare alla bimba l'impressione che la
vita fosse solo regole, privazioni, bisogni definiti da altri. Era
contro i miei valori. Volevo trattare la bimba come se fosse un esploratore
della Terra che vede il mondo con curiosità, libero, guidato solo
dal proprio istinto. Volevo che lei decidesse quando svegliarmi per
poter mangiare, quando piangere per avere conforto. Non mi avrebbe
disturbato. Io sarei stata pronta a soddisfare i suoi bisogni. Questo
pensavo fosse il mio ruolo di madre. Non volevo svegliarmi quando
puntavo la sveglia. Non era lei che dovevo nutrire. Non volevo stare
ore seduta sul divano a provare in tutti i modi di farla mangiare,
con le coccole, con i sorrisi. Non era in quel modo che volevo dare
amore a mia figlia.
Piangevo, non ce la facevo a farle finire il
biberon. Non potevo sentirla piangere perché non voleva mangiare più
di quel che lei riteneva necessario. Coinvolsi anche il mio compagno.
In questo compito lui ebbe molto più successo. Riusciva quasi sempre
a farle finire il pasto. Col passare del tempo però lei imparò a
sputare, a vomitare. Mangiava male. Ci metteva ore. Ingurgitava un
mucchio d'aria. Era rintontita tutto il giorno. Veniva svegliata in
continuazione, perché quando finiva il pasto e si appisolava, era
quasi ora del pasto successivo.
Io non dormivo più. Avevo quasi le
allucinazioni dalla stanchezza. Avrei voluto mandare tutti al
diavolo. Tutti quelli che volevano stare ore a guardarmi, mentre ero
sul divano a torturare mia figlia. Tutti quelli che ancora avevano il
coraggio di dirmi “ma sembra che non abbia fame” “ma meno male
che c'è il latte artificiale” “ma ti fa dormire la notte?” “ma
perché non venite per le feste?””ma quando hai la prossima
visita pediatrica?”
A me non importava di non dormire più. Volevo
solo che mia figlia stesse bene. Mia figlia cresceva di peso. Era
sana, per i medici, ma vedevo che non stava bene. Era sempre nervosa,
aggressiva. Io riuscivo sempre a calmarla, a farla riposare. Ma la
situazione stava peggiorando. Era talmente isterica che non riusciva
più ad attaccarsi al seno. Piangeva davanti al biberon e puntava i
piedi sulle mie gambe come se volesse scappare. Faceva così anche se
aveva fame, ma forse non voleva mangiare perché aveva paura di
essere forzata. Era difficile capire il suo comportamento.
Era una situazione insostenibile. Capisco che
era importante che crescesse di peso, ma per me era più importante
che crescesse serena. Se volevo prevenire futuri problemi, per
esempio di bulimia, visto che aveva già imparato a procurarsi il
vomito, non potevo continuare con quella politica.
Però in fondo avevo paura di ascoltare lei per
andare contro i medici, paura che l'avrebbero di nuovo portata via,
se non fosse cresciuta a sufficienza. Ma mia figlia non poteva
crescere ad un ritmo che non era il suo. Dovevo intervenire a suo
favore. Dovevo lasciarla vivere. Altrimenti avrei fatto come chi ti
salva la vita per condannarti a morte.
Non voglio criticare i metodi ospedalieri. In ospedale non è possibile dar da mangiare a richiesta di ogni bambino perchè con tanti bambini da gestire diventa complicato. Ma questo non vuol dire che si debba indirizzare le madri a "riprodurre" l'ospedale in casa.
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