“Uomo che lavora
... perde tempo prezioso” recita un aforisma. Già ma se non sto perdendo tempo
sto perdendo denaro e con esso anche la motivazione di guadagnarne.
Motivazione? E’ pieno di offerte di stage per neolaureati o giovani che escono
dal mondo ovattato della scuola. Supponendo di avere dieci anni in meno cosa mi
aspetterei dalla prima esperienza di lavoro? Senza dubbio, vorrei imparare il
mestiere e trarre soddisfazione dai risultati ottenuti. Ma potrei realizzare il
mio obiettivo con uno stage?
Cosa si cela
dietro tale parola: “esotica” ? Stage richiama il palcoscenico, il teatro, il
mettersi in gioco e dimostrare le proprie capacità davanti ad un pubblico che
ti applaude ed eventualmente ti chiede il bis. Ma nulla di tutto ciò. Più che
uno spettacolo teatrale lo stage sembra la “Corrida”. I più fortunati sono “dilettanti
allo sbaraglio” che si impegnano parecchio senza venire corretti e pochi non subiscono
il campanaccio alla fine della loro performance. I meno fortunati invece si
trovano faccia a faccia con il “matador” che dopo mille sevizie dà ad ognuno il colpo
finale: “Lo stage è finito. Ti dichiaro disoccupato”.
Ed ecco che
improvvisamente l’ ”esotico” diventa “esoterico”.
E allora pensi
che il mondo del lavoro non faccia per te e ti rifugi di nuovo negli studi.
Ottieni il dottorato di ricerca. E dopo? Se vuoi far ricerca negli istituti o
associazioni private vieni allettato non più con il palcoscenico, ma con la borsa.
Non quella di Piazza Affari, si intende, perchè han capito che tipo sei. Ma con una borsa di
studio che in realtà con lo studio ha ben poco a che fare. E’ duro lavoro,
anche se può essere appagante.
Sulla carta non hai vincoli di presenza o di
ore. Ma di fatto lavori più di otto ore in ufficio davanti al computer. E non
sempre il lavoro è diverso da quello di un impiegato che ha tutti i benefici di
un lavoro dipendente: ferie pagate, permessi, straordinari, versamento dei
contributi previdenziali. Già perchè la borsa di studio è un concetto talmente
astratto di lavoro da prevedere soltanto le tasse e non la pensione. E’ un reddito sì, ma mica da lavoro.
E allora ti trovi costretto
a scegliere tra “la borsa o la vita” o la terza via “fuga”. Via dall’Italia. E
se ritorni sei un pazzo, un masochista, uno che preferisce condividere le pene
degli oppressi nostrani piuttosto che essere uno straniero non oppresso. Ma no,
non puoi essere tornato soltanto per poter vivere nella terra dove sei nato;
per poter lavorare dove hai studiato e ti sei formato; per poter vedere i
profitti laddove sono stati investiti.
E invece, mi ritrovo a sperare di trarre profitto dalle perdite. Sembra che la mia terra sia soltanto fango e che non abbia più nulla da offrire:
neanche una borsa. E allora perchè mi ostino a restare? Perchè voglio
assoggettarmi alla schiavitù nel mio paese piuttosto che essere libera in una
terra che non mi appartiene?
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