martedì 1 maggio 2012

Gli schiavi del palcoscenico


“Uomo che lavora ... perde tempo prezioso” recita un aforisma. Già ma se non sto perdendo tempo sto perdendo denaro e con esso anche la motivazione di guadagnarne.

Motivazione? E’ pieno di offerte di stage per neolaureati o giovani che escono dal mondo ovattato della scuola. Supponendo di avere dieci anni in meno cosa mi aspetterei dalla prima esperienza di lavoro? Senza dubbio, vorrei imparare il mestiere e trarre soddisfazione dai risultati ottenuti. Ma potrei realizzare il mio obiettivo con uno stage?

Cosa si cela dietro tale parola: “esotica” ? Stage richiama il palcoscenico, il teatro, il mettersi in gioco e dimostrare le proprie capacità davanti ad un pubblico che ti applaude ed eventualmente ti chiede il bis. Ma nulla di tutto ciò. Più che uno spettacolo teatrale lo stage sembra la “Corrida”. I più fortunati sono “dilettanti allo sbaraglio” che si impegnano parecchio senza venire corretti e pochi non subiscono il campanaccio alla fine della loro performance. I meno fortunati invece si trovano faccia a faccia con il “matador” che dopo mille sevizie dà ad ognuno il colpo finale: “Lo stage è finito. Ti dichiaro disoccupato”.

Ed ecco che improvvisamente l’ ”esotico” diventa “esoterico”. 

E allora pensi che il mondo del lavoro non faccia per te e ti rifugi di nuovo negli studi. Ottieni il dottorato di ricerca. E dopo? Se vuoi far ricerca negli istituti o associazioni private vieni allettato non più con il palcoscenico, ma con la borsa. Non quella di Piazza Affari, si intende, perchè han capito che tipo sei. Ma con una borsa di studio che in realtà con lo studio ha ben poco a che fare. E’ duro lavoro, anche se può essere appagante. 
Sulla carta non hai vincoli di presenza o di ore. Ma di fatto lavori più di otto ore in ufficio davanti al computer. E non sempre il lavoro è diverso da quello di un impiegato che ha tutti i benefici di un lavoro dipendente: ferie pagate, permessi, straordinari, versamento dei contributi previdenziali. Già perchè la borsa di studio è un concetto talmente astratto di lavoro da prevedere soltanto le tasse e non la pensione. E’ un reddito sì, ma mica da lavoro. 

E allora ti trovi costretto a scegliere tra “la borsa o la vita” o la terza via “fuga”. Via dall’Italia. E se ritorni sei un pazzo, un masochista, uno che preferisce condividere le pene degli oppressi nostrani piuttosto che essere uno straniero non oppresso. Ma no, non puoi essere tornato soltanto per poter vivere nella terra dove sei nato; per poter lavorare dove hai studiato e ti sei formato; per poter vedere i profitti laddove sono stati investiti.

E invece, mi ritrovo a sperare di trarre profitto dalle perdite. Sembra che la mia terra sia soltanto fango e che non abbia più nulla da offrire: neanche una borsa. E allora perchè mi ostino a restare? Perchè voglio assoggettarmi alla schiavitù nel mio paese piuttosto che essere libera in una terra che non mi appartiene? 


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