mercoledì 18 aprile 2012

L'hikikomori scientifico


Ed ecco che mi trovo di nuovo nella mia isola, ad inseguire il mio sogno rivoluzionario. Mettere insieme arte e scienza, l’espressione artistica con la razionalità logica. Un unione superiore alla somma delle parti. E se non posso farlo dietro compenso allora lo faccio spontaneamente, purchè soddisfi un’utilità collettiva.
Contatto alcuni medici per un progetto di ricerca che mi affascina, che mi consenta di realizzare la mia ambizione. Non ci sono i soldi, ma c’è la mia buona volontà, anche se devo immortalarla tra le mura domestiche. Come un hikikomori, mi chiudo in casa per giornate, senza accorgermene, immersa nel mio lavoro. Soltanto quando esco per far la spesa, avverto il pericolo di cadere di nuovo nella trappola dell’isola che ha causato in passato i miei problemi di salute. “Attenta che cadi, attenta che cadi ...”.
No, questa volta non cadrò. Ho scoperto qual è il segreto: comunicare, con gli amici, le persone care... Ridere, scherzare, muovermi, relazionarmi sono attività che mi fanno sentire viva e quindi mi fanno stare bene.
Purtroppo più spesso mi trovo costretta a comunicare on-line che outside. Ma i vantaggi ci sono comunque. Il messaggio viene recepito, anche se la tecnologia riduce le distanze temporali e spaziali, ma aumenta quelle umane. 
E’ per questo che vorrei fare un lavoro che non mi costringa a rimanere incollata alla sedia davanti al pc. Ma se non possono pagarmi per mettere in pratica le competenze che ho, figuriamoci se sono disposti a pagarmi per farmene acquisire nuove. E allora, di nuovo, se non ci sono i soldi ci pensa la volontarietà.
Oltre al progetto di ricerca volontario in cui sono coinvolta, che dovrebbe quasi essere giunto al termine, lavoro a titolo gratuito, per un’associazione, come insegnante doposcuola per i bambini delle scuole elementari e medie.
Forse potrei dare ripetizioni agli studenti universitari guadagnando qualcosa. Ma non sarebbe la stessa cosa in termini di soddisfazione e crescita personale. Infatti sto acquisendo nuove competenze (e forse anche un po’ di pazienza), ho un ruolo sociale (anche se non pagato), aiuto le persone deboli, i bambini.
Educare, o in generale, aiutare è una sfida. Occorre comprendere e condividere le difficoltà dell’altro senza farsene travolgere. Curare senza essere contagiati dal paziente.
Certo, sarebbe anche giusto ricevere un compenso per poter garantire continuità alla propria prestazione. Solo chi ha un esubero di risorse può fare beneficenza.
E seppur si parli di risorse umane, occorre essere consapevoli che l’umanità può nascere in un contesto dove il primo pensiero della collettività non sia la lotta alla sopravvivenza.
La crisi economica in Italia sta minacciando di distruggere la mia ragione di rimpatrio: l’umanità.
A Londra tutti mi sembravano freddi, distaccati. Ognuno pensava a coltivare il proprio giardino, pur senza arrecare danno a quello dell’altro. Per quanto ci fosse, e ci sia, più ricchezza, tecnologica ed economica, reputavo ci fosse più povertà in termini umani. Percepivo una sorta di lotta alla sopravvivenza delle loro abitudini e delle loro classi sociali.
Ora in Italia, aldilà delle continue lamentele, percepisco la crisi e temo che questa possa distruggere l’umanità, riducendo le persone a lottare per la sopravvivenza vitale.
Finchè posso sono ben disposta a far beneficenza, ma secondo i miei calcoli “attuariali”, che tengono conto dell’aspetto economico, delle prospettive di vita e del rischio aggravato dalla mia particolare situazione familiare disagiata, non posso permettermi di dedicarmi ancora esclusivamente al volontariato per i prossimi sei mesi. 


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