Ed ecco che mi trovo di nuovo nella mia isola, ad inseguire il mio sogno
rivoluzionario. Mettere insieme arte e scienza, l’espressione artistica con la
razionalità logica. Un unione superiore alla somma delle parti. E se non posso
farlo dietro compenso allora lo faccio spontaneamente, purchè soddisfi
un’utilità collettiva.
Contatto alcuni medici per un progetto di ricerca che mi affascina, che mi
consenta di realizzare la mia ambizione. Non ci sono i soldi, ma c’è la mia
buona volontà, anche se devo immortalarla tra le mura domestiche. Come un hikikomori, mi chiudo in casa per
giornate, senza accorgermene, immersa nel mio lavoro. Soltanto quando esco per
far la spesa, avverto il pericolo di cadere di nuovo nella trappola dell’isola
che ha causato in passato i miei problemi di salute. “Attenta che cadi, attenta
che cadi ...”.
No, questa volta non cadrò. Ho scoperto qual è il segreto: comunicare, con gli
amici, le persone care... Ridere, scherzare, muovermi, relazionarmi sono
attività che mi fanno sentire viva e quindi mi fanno stare bene.
Purtroppo più spesso mi trovo costretta a comunicare on-line che outside. Ma
i vantaggi ci sono comunque. Il messaggio viene recepito, anche se la
tecnologia riduce le distanze temporali e spaziali, ma aumenta quelle umane.
E’
per questo che vorrei fare un lavoro che non mi costringa a rimanere incollata
alla sedia davanti al pc. Ma se non possono pagarmi per mettere in pratica le
competenze che ho, figuriamoci se sono disposti a pagarmi per farmene
acquisire nuove. E allora, di nuovo, se non ci sono i soldi ci pensa la volontarietà.
Oltre al progetto di ricerca volontario in cui sono coinvolta, che dovrebbe
quasi essere giunto al termine, lavoro a titolo gratuito, per un’associazione, come
insegnante doposcuola per i bambini delle scuole elementari e medie.
Forse potrei dare ripetizioni agli studenti universitari guadagnando
qualcosa. Ma non sarebbe la stessa cosa in termini di soddisfazione e crescita personale.
Infatti sto acquisendo nuove competenze (e forse anche un po’ di pazienza), ho
un ruolo sociale (anche se non pagato), aiuto le persone deboli, i bambini.
Educare, o in generale, aiutare è una sfida. Occorre comprendere e
condividere le difficoltà dell’altro senza farsene travolgere. Curare senza
essere contagiati dal paziente.
Certo, sarebbe anche giusto ricevere un compenso per poter garantire
continuità alla propria prestazione. Solo chi ha un esubero di risorse può fare
beneficenza.
E seppur si parli di risorse umane, occorre essere consapevoli che
l’umanità può nascere in un contesto dove il primo pensiero della collettività
non sia la lotta alla sopravvivenza.
La crisi economica in Italia sta minacciando di distruggere la mia ragione
di rimpatrio: l’umanità.
A Londra tutti mi sembravano freddi, distaccati. Ognuno pensava a coltivare
il proprio giardino, pur senza arrecare danno a quello dell’altro. Per quanto
ci fosse, e ci sia, più ricchezza, tecnologica ed economica, reputavo ci fosse
più povertà in termini umani. Percepivo una sorta di lotta alla sopravvivenza
delle loro abitudini e delle loro classi sociali.
Ora in Italia, aldilà delle continue lamentele, percepisco la crisi e temo che questa possa distruggere
l’umanità, riducendo le persone a lottare per la sopravvivenza vitale.
Finchè posso sono ben disposta a far beneficenza, ma secondo i miei
calcoli “attuariali”, che tengono conto dell’aspetto economico, delle
prospettive di vita e del rischio aggravato dalla mia particolare situazione
familiare disagiata, non posso permettermi di dedicarmi ancora esclusivamente
al volontariato per i prossimi sei mesi.
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