Tra il dire e il fare c'e' di mezzo il viaggiare. Di vacanze se ne parla, si discute, si passano ore a reperire su Internet informazioni sulla meta prescelta o da stabilire. Poi di vacanze si fruisce: si visitano le attrazioni turistiche, si frequentano i locali, gli alberghi, si affollano i negozi.
Ma cio' che consente la realizzazione dell' idea o progetto di vacanza e' il viaggio, inteso come spostamento fisico, ma anche “mentale”, tra il luogo di residenza e quello di villeggiatura.
Quando si viaggia si lasciano momentaneamente alle spalle i pensieri e le preoccupazioni abituali e subentra la curiosita' per il luogo da visitare. Dove dormiro' domani sera? Cosa visitero'? Fin dove arriveranno i miei piedi? La mia piu' che una vacanza e' un' avventura. Parto, ma non prenoto il pernottamento ne' organizzo a priori le singole giornate. Ho solo una guida turistica e di giorno in giorno decidero' cosa fare e dove andare. Quando mi trovo in una localita' diversa dalla mia dimora abituale mi dimentico del mio titolo di studio, del mio lavoro, delle mie responsabilita' quotidiane. I miei pensieri sono dettati soltanto dalle impressioni sul luogo, dall'ambiente che mi circonda, dalle mie esigenze fisiche e dal mio impulso e non sono condizionati dalle mie conoscenze o dalla mia posizione lavorativa. Pensieri che se non nascono come riflessioni o opinioni si traducono subito in azione e non vanno a popolare la lista delle cose da fare.
Io e il mio convivente abbiamo viaggiato parecchio in Europa, usufruendo a nostro tempo anche dell'offerta “InterRail” che ci consenti' di vedere diverse citta' e di viaggiare di notte come alternativa al pernottamento in albergo.
A Londra invece occorre prenotare sempre con largo anticipo anche i biglietti dei treni o dei bus per viaggi nazionali. Altrimenti si rischia di pagare delle cifre esorbitanti.
Pertanto circa due mesi prima della partenza, decidiamo di approfittare di un'offerta economica per il tragitto in bus Londra – Bruxelles. Il risparmio e' notevole in confronto al comodo e veloce Eurostar. Ma occorre viaggiare di notte. In fondo a me piace viaggiare di notte e dormire in posti diversi dal comodo letto. Quando viaggio cerco l'evasione, non la comodita' e me lo posso permettere, non avendo ancora raggiunto l'eta' fisica o cerebrale in cui non ci si puo' muovere di casa senza rinunciare ai propri agi o abitudini o addirittura senza pretenderne di maggiori.
Per me viaggio vuol dire transizione o scoperta. Come posso lasciarmi trasportare dai luoghi, dalle strade, dall'ambiente, dalle novita', da nuove idee e riflessioni che ne possono scaturire se mantengo gli stessi comfort e abitudini di casa?
In effetti questo viaggio e' stato particolarmente insolito. L'autista esordisce: “I bagagli diretti in Germania da questa parte, quelli diretti in Belgio dall'altra”. “Ma scusi, non ferma anche in Francia?”, chiede un passeggero. “Si', si” risponde l'autista, ma non gli dice dove deve mettere la valigia. Dal modo di parlare e dai comportamenti capisco che l'autista non e' inglese. Infatti saliamo a bordo e parte deciso senza preamboli come “Benvenuti signori e signore ...”. A Londra c'e' traffico, ma l'autista sfrutta tutte le occasioni per accelerare e sorpassare. Dopo quasi due ore si ferma e dice: “Facciamo dieci minuti di pausa per un caffe' o cosa volete”. Tutti rientrano in tempo, ma lui riparte senza nemmeno controllare. Mi tolgo le scarpe e mi riposo un po', reduce di una giornata lavorativa. Ad un certo punto sento: “OK, Let's go”. Siamo arrivati alla dogana. Occorre scendere per esibire i documenti. Mi affretto a mettere le scarpe e a superare I controlli. Quando rientro a bordo, freno l'intenzione dell'autista di ripartire senza il mio convivente: “Guardi che c'e' ancora una persona dentro”. Gli dico. Arrivati a Dover, prendiamo il traghetto per novanta minuti. L'autista incita a sbrigarsi a rientrare non appena finisce la navigazione. L'autista lascia il microfono acceso per alcuni minuti dopo questo annuncio ed i successivi. “Che tipo buffo”, penso.
E' notte. Il mare e' bello, anche se tira il vento. Tutti rientramo in fretta non appena giunti a Calais. Ma dell'autista nessuna traccia. Stiamo tutti fuori per un paio di minuti. I passeggeri di altri bus sono gia' tutti di nuovo a bordo. I bus a fianco suonano. Ricompare l'autista. Si era addormentato sul bus. Tutti risalgono, senza fare una piega. Se fossi arrabbiata con l'autista glielo direi espressamente. Ma in fondo sono divertita, anche se non mi fido troppo di lui e spero ci porti sani e salvi a destinazione. Dopo mezz'ora ferma l'autobus e scende a far benzina e a sgranchirsi le gambe. Quando riparte, riesco a dormire per un'ora o piu', finche' ad un certo punto avverto una frenata improvvisa che fa urlare una persona. Dopo un po' l'autista avverte i passeggeri dell'arrivo a Bruxelles. E' in orario. Sono le sei meno un quarto del mattino, ma sembra notte: nessun bar e' aperto. Ci rechiamo in diversi ostelli, ma nessuno ha disponibilita' di camere per la notte da venire.
Grazie all'ente del turismo troviamo sistemazione in un albergo che, pur essendo quattro stelle, offre per la notte una camera doppia a prezzi davvero competitivi.
Per le notti successive troviamo sistemazione in due ostelli diversi. Preferisco l'ambiente dell'ostello, dove mi sento piu' a mio agio e che mi incuriosisce di piu' per la sua varieta' e le persone che lo frequentano. Invece l' albergo a quattro stelle e' spesso frequentato soltanto da gente “addobbata” in uniforme, giacca e cravatta o tailleur e tacchi a spillo, che pur in vacanza sembrano recarsi a lavoro.
Quando sono in vacanza, la mia unica pretesa e' non annoiarmi. Ma in fondo la noia e' conseguenza della tranquillita' e del vivere agiatamente, potendosi permettere tutto. Se non fosse pericoloso, dormirei in stazione. Cosi' almeno capirei veramente cosa significa vivere senza pretese.
Bruxelles e' una bella citta', ricca di opere artistiche. Il fatto di essere bilingue, rende gli abitanti molto flessibili culturalmente e linguisticamente. Nei negozi si parlano correttamente anche altre lingue. Inoltre le persone non sono aliene o distanti come a Londra. Ti guardano in faccia quando cammini. Anche la vicina Gand, che abbiamo visitato e' molto bella.
Tre giorni vissuti intensamente, camminando e fermandosi solo quando lo decidono le proprie gambe.
Ma finita la vacanza, c'e' il viaggio di ritorno che riporta alla normalita' della propria routine. In realta' il viaggio di ritorno non e' stato per nulla ordinario. Abbiamo viaggiato con lo stesso autista del viaggio di andata. Si e' presentato subito vestito senza uniforme con un bicchiere in mano. Saliti a bordo attacca il navigatore. Poi a, differenza dell'andata, ci annuncia il benvenuto, pur sbagliando a dire la destinazione. Ma il suo sbaglio voleva essere uno scherzo, dice. Stavolta sembra molto loquace. Non sta zitto un attimo. Ride e scherza ad alta voce con due ragazze con le quali sembra flirtare. Dice che non dorme da giorni e racconta tutti i suoi viaggi e le politiche della compagnia dei bus dove lavora. Sono stanchissima, voglio riposare. Ma non riesco. Sono incuriosita dai suoi discorsi e dal suo comportamento non troppo professionale. Anche le ragazze vorrebbero riposare e lui le incoraggia a stare sveglie. Arriviamo alla frontiera. Stavolta dobbiamo fare il doppio controllo dei documenti: quello francese e quello inglese. Al controllo francese, il poliziotto si accanisce con la carta di identita' del mio ragazzo. Non si capisce qual'e' il problema. Sembra non riconoscerlo dalla foto oppure soltanto nutre pregiudizi riguardo al suo nome francese, cognome spagnolo, nazionalita' italiana e destinazione inglese. Vedendo la situazione, mi allineo a far la coda nell'altro sportello. Il tizio se ne accorge e, al mio turno, ferma l'altro poliziotto che mi stava gia' facendo passare. Ci chiudono per qualche minuto in uno stanzino. “Cosa succede? Qual e' il problema?” chiedo. “Solo controlli”. Sono agitata solo perche' ho paura che l'autista se ne vada senza di noi. “L'autista ci aspetta? Me lo garantisce?”. “Si'.” Mi risponde. Allora cerco di calmarmi. Vedo che continuano a passarsi tra le mani i nostri documenti, come se si divertissero. Dopo un po' arrivano con un foglio illeggibile perche' stampato da una stampante povera di inchiostro o toner. “Firma”. Mi dicono. “Non leggo”, rispondo. E' un foglio in italiano. Sembra quasi una dichiarazione, ma non si legge bene. “Firma”. “Abbiate pazienza, non riesco a leggere”. Poi mi decido a firmare perche' capisco che vogliono solo verificare la firma del documento. Ma non potevano farmi firmare un foglio bianco?. Penso. Firmo. Non basta. Mi fanno firmare un'altra volta. Poi mi chiedono il codice fiscale. Mi trema la mano. “Guarda, e' in panico”, dice il poliziotto all'altro. “Veramente sono stanca, non ho chiuso occhio” rispondo. Poi uno di loro mi guarda bene, confrontando la mia faccia con la foto nel documento. “Ero piu' bella, lo so. Ero appena uscita dal parrucchiere.” Gli rispondo. “Vai a Londra? Sei italiana? Parli francese?”. “Conosco il francese, ma non sono abituata a parlarlo. Oramai mi viene naturale parlare in inglese con gli stranieri. Senta, tra circa quattro ore devo andare a lavoro. Lavoro in un ospedale a Londra”. Tiro fuori il mio badge con la foto. Allora si convince. Ci lascia andare. Ritorniamo sul bus. Prendiamo il traghetto. Non ho dormito per nulla, svegliandomi con caffe' e musica ad alto volume.
Torno a Londra e al lavoro. “Allora pensi di chiedere il rinnovo del contratto?” Mi chiede il capo. Ma ne' il viaggio ne' il sonno hanno ancora portato consiglio.
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