In fondo la mia vita non è che un esperimento, come
questo blog. Cosa deve riuscire, non è chiaro e non se ne possono
conoscere a priori la durata e gli sforzi.
L'anno scorso ho vissuto settimane nel dubbio di
avere il cancro e invece quest'anno ho trascorso settimane nel dubbio
di poter avere l'incremento percentuale di collaborazione sul lavoro.
Come cambiano le prospettive! A volte ci vuole un anno, a volte un solo
giorno o addirittura un attimo.
E infatti, non appena ebbi conferma, non solo del
rinnovo del contratto, ma anche dell'aumento di percentuale
lavorativa, cambiarono di nuovo le “carte in tavola”.
Ed ecco ripresentarsi lo spettro della
malattia.
In effetti questi linfonodi inspiegabili e questi
miei continui malesseri, mi avevano lasciato perplessa, anche se i
medici, dopo tutte le dovute investigazioni, dicevano che non era
nulla di cui preoccuparsi. Eppure non volevo rinunciare a capire, a
scoprirne la causa, perché penso che se non ne conosce la causa, non
se ne possono stimare gli effetti e nemmeno prevedere o fronteggiare
le conseguenze. Di fatto si resta in balia degli eventi. Certo, a
volte non c'è altra via, altro rimedio. Ma se invece ci fosse stato?
Chi me lo avrebbe assicurato? Quale medico si sarebbe accollato la
responsabilità di dirmi di non farmi vedere mai più a meno che non
mi fosse successa un'altra disgrazia per altri motivi?
E così passarono diversi mesi in cui stetti,
in qualità di paziente, lontano dai medici, seppur influenze,
febbri, infezioni e continui malesseri, continuavano a suggerirmi di
avvicinarmici (anche se spesso fu sufficiente andare dalla
pediatria di mia figlia per intuirne l'origine).
Ma avevo sempre il timore della “maledizione” che
avevo azzardato romanzare. Mi chiedevo allora, scherzandoci, quale
pezzo di me sarebbe stato prelevato quest'anno. Quale anestesia? Di
fatto però non mi sono mai fatta suggestionare da questa profezia,
da questa prescrizione ineluttabile del destino. Tuttavia la mia curiosità mi spinse a sfidare la
sorte e ad andare dal medico. Stavolta scelsi il servizio dedicato al
personale dell'ospedale dove lavoro.
La dottoressa, molto disponibile e scrupolosa, mi
visitò dalla testa ai piedi. Stavolta il problema apparve dal basso,
ai piedi, calpestato, ed emerse in superficie.
“Da quanto tempo ce l'ha questo neo o questa
macchia anomala?”
Anomalo? Sinceramente, non me ne ero mai preoccupata.
L'avevo visto spuntare, forse l'anno scorso, ma non ricordavo.
“Credo sia meglio che vada a farsi controllare da
uno specialista dell'ambulatorio dermatologico decentrato
dall'ospedale. Con l'occasione, si faccia vedere anche gli altri nei
sul corpo, anche se quelli non mi preoccupano.”
Due uomini, dopo avermi chiesto di spogliarmi
completamente e dopo avermi osservato attentamente nei dettagli, mi
fotografarono il dito medio del piede sinistro.
Se non fossero stati medici, avrei forse dubitato
della loro sanità mentale o della mia impudicizia.
Ma le loro parole, benché risuonassero in maniera
più stonata e assurda della situazione, mi fecero rabbrividire:
“Non possiamo dire con certezza che quella macchia
sia maligna, visto che lei non ci sa dire da quanto tempo ce l'ha e
se si è evoluta. Rivediamoci a gennaio e vediamo come procedere.”
Pur rimanendo allibita, la parola gennaio mi sollevò
perché almeno per quest'anno sarei stata salva.
Dopo due giorni, ricevetti una chiamata
dall'ambulatorio:
“Signora, potrebbe venire oggi? Il dottore vuole
parlarle. Ha rivisto con più attenzione, e con il capo reparto, le
sue fotografie.”
Non avrei mai pensato di essere così fotogenica e
che il mio piede fosse così interessante.
Cercai di riprendere ciò che stavo facendo prima
della telefonata. Stavo preparando uno spuntino: cracker, casalinghi,
ai cereali. Con la mente altrove, incurante, non in linea con i
movimenti della mano e con gli oggetti che armeggiavo, mi cagionai un
piccolo taglio sul dito.
E fu sangue nell'avena.
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