martedì 28 novembre 2017

Il sangue nell'avena

In fondo la mia vita non è che un esperimento, come questo blog. Cosa deve riuscire, non è chiaro e non se ne possono conoscere a priori la durata e gli sforzi.

L'anno scorso ho vissuto settimane nel dubbio di avere il cancro e invece quest'anno ho trascorso settimane nel dubbio di poter avere l'incremento percentuale di collaborazione sul lavoro.

Come cambiano le prospettive! A volte ci vuole un anno, a volte un solo giorno o addirittura un attimo.

E infatti, non appena ebbi conferma, non solo del rinnovo del contratto, ma anche dell'aumento di percentuale lavorativa, cambiarono di nuovo le “carte in tavola”.

Ed ecco ripresentarsi lo spettro della malattia.

In effetti questi linfonodi inspiegabili e questi miei continui malesseri, mi avevano lasciato perplessa, anche se i medici, dopo tutte le dovute investigazioni, dicevano che non era nulla di cui preoccuparsi. Eppure non volevo rinunciare a capire, a scoprirne la causa, perché penso che se non ne conosce la causa, non se ne possono stimare gli effetti e nemmeno prevedere o fronteggiare le conseguenze. Di fatto si resta in balia degli eventi. Certo, a volte non c'è altra via, altro rimedio. Ma se invece ci fosse stato? Chi me lo avrebbe assicurato? Quale medico si sarebbe accollato la responsabilità di dirmi di non farmi vedere mai più a meno che non mi fosse successa un'altra disgrazia per altri motivi?

E così passarono diversi mesi in cui stetti, in qualità di paziente, lontano dai medici, seppur influenze, febbri, infezioni e continui malesseri, continuavano a suggerirmi di avvicinarmici (anche se spesso fu sufficiente andare dalla pediatria di mia figlia per intuirne l'origine).

Ma avevo sempre il timore della “maledizione” che avevo azzardato romanzare. Mi chiedevo allora, scherzandoci, quale pezzo di me sarebbe stato prelevato quest'anno. Quale anestesia? Di fatto però non mi sono mai fatta suggestionare da questa profezia, da questa prescrizione ineluttabile del destino. Tuttavia la mia curiosità mi spinse a sfidare la sorte e ad andare dal medico. Stavolta scelsi il servizio dedicato al personale dell'ospedale dove lavoro.

La dottoressa, molto disponibile e scrupolosa, mi visitò dalla testa ai piedi. Stavolta il problema apparve dal basso, ai piedi, calpestato, ed emerse in superficie.

“Da quanto tempo ce l'ha questo neo o questa macchia anomala?”

Anomalo? Sinceramente, non me ne ero mai preoccupata. L'avevo visto spuntare, forse l'anno scorso, ma non ricordavo.

“Credo sia meglio che vada a farsi controllare da uno specialista dell'ambulatorio dermatologico decentrato dall'ospedale. Con l'occasione, si faccia vedere anche gli altri nei sul corpo, anche se quelli non mi preoccupano.”

Due uomini, dopo avermi chiesto di spogliarmi completamente e dopo avermi osservato attentamente nei dettagli, mi fotografarono il dito medio del piede sinistro.

Se non fossero stati medici, avrei forse dubitato della loro sanità mentale o della mia impudicizia.

Ma le loro parole, benché risuonassero in maniera più stonata e assurda della situazione, mi fecero rabbrividire:

“Non possiamo dire con certezza che quella macchia sia maligna, visto che lei non ci sa dire da quanto tempo ce l'ha e se si è evoluta. Rivediamoci a gennaio e vediamo come procedere.”

Pur rimanendo allibita, la parola gennaio mi sollevò perché almeno per quest'anno sarei stata salva.

Dopo due giorni, ricevetti una chiamata dall'ambulatorio:

“Signora, potrebbe venire oggi? Il dottore vuole parlarle. Ha rivisto con più attenzione, e con il capo reparto, le sue fotografie.”

Non avrei mai pensato di essere così fotogenica e che il mio piede fosse così interessante.

Cercai di riprendere ciò che stavo facendo prima della telefonata. Stavo preparando uno spuntino: cracker, casalinghi, ai cereali. Con la mente altrove, incurante, non in linea con i movimenti della mano e con gli oggetti che armeggiavo, mi cagionai un piccolo taglio sul dito.

E fu sangue nell'avena.



sabato 25 novembre 2017

Il confine

La vita in fondo è anche questa: un giorno ti alzi al mattino, senza colpa, né dolo alimentare, senza eccesso, senza sintomo o sentimento e, senza controllo, inizi a vomitare.
Poi senza preoccupartene, senza pensare o senza volertene far condizionare, provi a fare colazione e vomiti pure quella. Allora senza rassegnazione e senza darci peso esci, ma senza aver considerato la necessità, ti ritrovi a vomitare in un sacchetto, che senza essere previdente, non avresti portato.
E poi senza fretta, torni a casa e senza gusto inizi a mangiare ciò che riesci, piccoli morsi di qualcosa di scondito, che poi vomiti.
E allora, senza riuscire a fare nient'altro e senza opporre resistenza, ti sdrai a letto, senza impostare la sveglia, senza programmi, senza domani.
E l'indomani ti risvegli, senza aver preso medicine, e come se niente fosse accaduto, mangi e ti presenti al lavoro piuttosto in forma, senza stanchezza, senza nausea e porti a termine quello che dovevi fare, iniziando pure un nuovo progetto.
E con molto appetito e con la voglia di cucinare, torni a casa e mangi e ti chiedi cosa sia successo. Senza memoria, andresti dal dottore. Ma ripensi all'ultima volta che sei andata, rimanendo più confusa di prima, dubbiosa nell'unica certezza di un altro esame istologico, che nemmeno quest'anno hai potuto evitare.
Con chiaroveggenza avevi azzardato la profezia e questa si è avverata.

Ora sei consapevole di quale sia il confine tra l'accettazione e il rifiuto. Se ti ostini a rifiutare ciò che non puoi cambiare, o se continui a voler agire per ciò che non richiede nessuna azione, ma soltanto rassegnazione, oltrepassi il confine dell'accettazione esponendoti al rischio dell'insanità mentale, in preda ad ansie, manie, persecuzioni ed ossessioni. Ma se al contrario ti fermi prima del confine della “reale” e consapevole accettazione, quando invece potresti ancora rifiutare, potresti cambiare, potresti opporti a ciò che non tolleri, potresti agire a tuo favore, ma ti arrendi, anche in questo caso metti a rischio la tua sanità mentale, stavolta in preda a depressione, apatia e abulia.
Per conoscere questo confine spesso bisogna superarlo o rischiare di farlo.

Quando stai male, in fondo, poco ti interessa se i tuoi mali trovano riscontro in una diagnosi clinica, poco ti interessa se questi verranno curati. La tua preoccupazione è riuscire a vivere la tua vita serenamente, trascorrere il tuo tempo, le tue giornate in modo piacevole.
Non ti importa di far parte o meno di un campione statisticamente significativo per essere contemplato dalla scienza, ti importa di trovare una soluzione ai tuoi problemi.

A volte l'unica via è l'accettazione, accettazione dei limiti della società, della medicina, della conoscenza o di quant'altro e trovare la risposta all'interno di sé, la motivazione a fronteggiare qualsiasi situazione, anche quella che richiede la rassegnazione. E' un concetto difficile da spiegare, ma non difficile è capire il momento in cui si crede di aver trovato la risposta. L'importante è ascoltarsi, con pazienza, senza aspettative o pressioni. La risposta prima o poi arriva.

Ma non tutti riescono o possono aspettare e molti hanno paura ad intraprendere un viaggio interiore. Allora cercano un “traghettatore” che li conduca verso l'accettazione. Non sempre si affidano nelle giuste mani di professionisti, esperti, medici ... E non è solo per stupidità che spesso arrivano persino a esorcisti, ma anche per disperazione o smarrimento.