Rigiro tra
le mani la raccomandata: il conferimento di una borsa di studio. Per
un attimo metto la proposta davanti a tutto. Dimentico di essere in
lista di attesa per un intervento. Dimentico di sentirmi rifiutata
dal mondo del lavoro “pagato”. Per un attimo mi vedo pendolare
giornalmente per un totale di tre ore al giorno che comprende
spostamenti urbani e regionali. Sempre di corsa, la sera arrivare
esausta, ma con ancora lavoro da portare a termine per altri
incarichi presi per altre persone. E il fine settimana a casa tra
pulizie, ancora lavoro e spesa da fare. Talmente impegnata da non
sentire il vuoto, da non pensare alle brutture sociali, da non aver
tempo da dedicare a nessuno, se non al compagno o ai familiari, da
dover interrompere tutte le attività di volontariato e ricreative.
In fondo per sei mesi, la durata della borsa di studio, si può fare.
E
compenserebbe il fatto che l'anno scorso, per mesi, non ho percepito
uno stipendio e forse, per altri mesi dopo la borsa di studio, non
percepirò.
Che
soddisfazione, mi vogliono! Ma torniamo alla realtà. La proposta è
fattibile con la mia attuale condizione di salute? Avrei una decina
di giorni prima di iniziare. Già, ma in questi giorni potrebbero
chiamarmi per l'intervento. E poi dovrei iniziare a tempo pieno.
Contatto il responsabile del progetto. Mi viene incontro, posso
posticipare l'inizio di due settimane o un mese. In effetti però non
posso garantire di iniziare in completa guarigione, visto che
continuano a tardare a chiamarmi dall'ospedale. E poi il carico di
lavoro non è ben definito e rischia di essere insostenibile alla
luce degli spostamenti giornalieri necessari e delle altre
collaborazioni in essere.
Ne parlo con
i miei attuali collaboratori. Apparentemente, si indispongono, anche
se con loro non ho nessun impegno contrattuale.
Ed inizia il
complotto. Un complotto per indurmi a rinunciare a quella proposta e
a ritornare nel mio stato di incertezza e precarietà lavorativa,
lasciandomi ancora in balia di una data che al momento non mi era
ancora stata comunicata. Un complotto, ma si tratta davvero di un
complotto o di una mia visione romanzata della situazione?
Proprio
quando sto per accettare la borsa di studio, nonostante le mille
difficoltà a cui però prevedo di far fronte, mi chiama per un
colloquio una persona importante: un direttore di un'unità di
ricerca molto importante della mia città, a cui un anno fa avevo
mandato il curriculum vitae. Troppo bello per essere vero: una
proposta di lavoro triennale come ricercatore. Cosa c'è, o chi c'è,
dietro? Scopro che il direttore conosce e ha parlato con le persone
con cui collaboro. Infatti lui sa bene che se mi assumesse dovrebbe
essere flessibile ed accettare che continui i miei lavori con loro, a
titolo gratuito. Penso ormai di avere il posto assicurato e di dover
ringraziare infinitamente chi si è tanto interessato a me. Ma
davvero si tratta di interesse sincero nei miei confronti oppure il
mio collaboratore sta cercando un compromesso per potersi permettere
ciò che grazie ai tagli pubblici alla Sanità è costretto a
rinunciare? Fin qui in effetti, non pare esserci nulla di male, se
non l'impressione di assomigliare ad una mercenaria, o una schiava
da poter “affrancare”.
Però perché
questa possibilità si prospetta solo adesso che ho un'altra proposta
scritta e non prima di svolgere mesi di “volontariato”? In
effetti se vado via, li metto in difficoltà.
E perché
adesso quei piccoli fondi, su cui avrei potuto contare prima di
ricevere l'altra proposta scritta, appaiono evanescenti?
Cosa faccio?
Rinuncio ad una proposta scritta anche se ha degli svantaggi, per una
possibilità di lavoro stabile come ricercatore? Alla scadenza del
termine per decidere, non mi viene ancora comunicata la data di
intervento. Quindi non so quando potrò iniziare a lavorare
seriamente. Pertanto, per rispetto nei confronti del responsabile del
progetto, rinuncio alla proposta per motivi di salute. E adesso,
chissà come mai, il direttore dell'altro centro di ricerca ha
cambiato idea e decide di finire cortesemente la commedia invitandomi
a valutare altre opportunità e a ripresentarmi tra qualche mese,
avendo al momento altri progetti.
E così
rimango senza nessuna proposta scritta, con i miei dolori che nessuno
lenisce comunicandomi una data che ridurrebbe l'ansia di attesa e la
preoccupazione che ci sia un altro “errore” che fermi la pratica
in segreteria. E nessuno può aiutarmi, apparentemente. E quindi non
so con chi posso lamentarmi, chi posso insultare. La segretaria?
Magari è maleducata solo perché a sua volta è trattata male sul
luogo di lavoro. I chirurghi? In fondo la loro mansione è
chirurgica, ma non amministrativa. Il primario? In fondo anche se lui
ha il potere, non ne ha pienamente il controllo. L'ospedale? Dipende
dai finanziamenti dello Stato. Lo Stato? Facciamo parte dell'Unione
Europea, in fondo. L'Unione Europea? L'intero sistema?
Ed il
sistema è un'entità da cui ognuno pare sfuggirne al controllo. Ed
allora se non si può far nulla contro il sistema che si fa? O si
sopporta ogni cosa o si diventa aggressivi con la prima persona con
cui è facile lamentarsi ed esigere, quella che gestisce direttamente
la relazione con il paziente, i clienti, gli studenti, i figli … a
seconda dei casi. Già, e questo non fa che incrementare l'inimicizia
verso le persone che sono al nostro stesso livello, con le quali
invece bisognerebbe collaborare per giungere al confronto con le
persone che stanno più “in alto”.
Ma davvero
non posso far nulla? E se facessi una pausa? In fondo ne ho tutte le
ragioni. Sto male. Ma chi mi conosce, potrebbe interpretare la mia
pausa come una forma di protesta, visto che solitamente non rinuncio
a lavorare neanche quando la salute non lo permette. Se facessi una
pausa proprio adesso metterei in difficoltà i miei collaboratori,
impedendo loro di portare a termine alcuni lavori in scadenza. Una
pausa, fino alla data di intervento. In tal modo, visto che devo
essere operata nello stesso ospedale dove lavorano i miei
collaboratori e loro conoscono i chirurghi, potrebbero avere
l'interesse a far sollecitare la mia pratica. Però facendo una pausa
potrei indispettirli ulteriormente e di conseguenza rimetterci, anche
per future collaborazioni. Ma in effetti, ora come ora, la mia salute
viene prima, anche se la mia salute dipende anche dagli stessi chirurghi.
Faccio una
pausa. I lavori vengono rinviati. E, ricevo una telefonata dalla
segreteria: mi comunicano finalmente la data.
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