L’hardware ha qualche problema, ma il suo proprietario vuole produrre
ancora software e non si ferma per capire cosa c’è che non va.
E’ come se il conducente, in viaggio in auto, ad un certo punto sospettasse
un guasto. Se si fermasse, quasi sicuramente non riuscirebbe ad arrivare in
tempo a destinazione, ma perlomeno potrebbe ancora proseguire o tornare
indietro, una volta riparato il danno. Se non si fermasse potrebbe arrivare in
tempo a destinazione, ma potrebbe anche non poter essere in grado di proseguire
o tornare indietro.
E allora? Qual è la scelta migliore? In realtà, dipende dalla priorità che
si dà alla destinazione da raggiungere rispetto al sano mantenimento del
veicolo stesso. Razionalmente, si consiglia: fermati. Ma il consiglio proviene
da un soggetto a cui probabilmente non preme raggiungere la destinazione.
L’hardware ha una vita limitata, ma il software no: una volta prodotto
servirà ad altri hardware, diversi da quelli che l’hanno prodotto, che a loro
volta produrranno altri software. E per questo motivo il proprietario della
macchina pensa sia più importante preoccuparsi di qualcosa di “immortale”
piuttosto che di qualcosa che prima o poi muore.
Ma il proprietario dimentica che se vuole produrre software più a lungo,
deve curare l’hardware. Senza hardware, niente software. Al proprietario
infatti è consentito l’uso di un solo hardware. Ma il proprietario si ostina a
prediligere la produzione attuale di software e a non preoccuparsi di quella
potenziale futura o della durata in cui l’hardware potrà funzionare. Il
proprietario si chiede: quanto manca alla meta e non quante mete potrà
raggiungere in futuro. Il proprietario vuole minimizzare la distanza che lo
separa dall’obiettivo attuale, e non gli importa se ciò può condurlo anche alla
minimizzazione della distanza che lo separa dall’ultimo obiettivo che potrà
raggiungere.
Cosa importa avere un hardware longevo che teoricamente potrebbe produrre
cento software, quando ne possiede uno che sta per finire di produrre un
software? Meglio finire quell’unico software che fermarsi per l’idea di poter
essere in grado di produrne altri cento. Un unico software che dopo la rottura
dell’hardware che lo ha prodotto, può “reincarnarsi” in altri cento o più
hardware. Un unico hardware, anche se potente, invece sarà soltanto un unico
hardware, indipendentemente dalla durata.
Lo chiamano hardware, ma in realtà non è così “hard”. E’ la parte debole
della macchina, la più vulnerabile. Quando si rompe, spesso non c’è nulla da
fare o, se si riesce ad aggiustare, difficilmente tornerà allo stato precedente
la rottura.
Il proprietario sente uno strano rumore, ma preferisce continuare ad usare
la macchina, piuttosto che fermarsi e chiamare il riparatore. Il proprietario è
ottimista: crede di poter arrivare alla meta prima che la macchina si rompa.
Gioca d’azzardo, spinge finchè può anche se la macchina stenta. Il
proprietario sente che “ha male all’hardware” che sta utilizzando. Il rumore
che esso produce è inquietante: come quello di un elicottero che sta per schiantarsi.
Ma il proprietario è distratto dai suoi obiettivi, dai suoi pensieri, dalle sue
idee che prevalgono su ogni preoccupazione materiale. Il proprietario è troppo
distratto ed allo stesso tempo troppo concentrato nel suo percorso per rendersi
conto di quanto l’hardware sia malandato. Giorno dopo giorno, l’hardware si
lamenta sempre di più. Un ultimo sforzo ed ecco la meta. Dalla meta si
prospettano nuove mete.
Ma ecco allora che il proprietario capisce che non può
più produrre nuovo software se non fa riparare l’hardware. L’hardware è molto
acciaccato, ma forse non è troppo tardi per aggiustarlo. Forse dopo un po’ di
riposo e di restauro potrà tornare operativo. Ma se non fosse così, in ogni
caso il proprietario sarebbe soddisfatto del software che ha prodotto, che
sopravviverà all’hardware. Forse se il proprietario avesse fermato la macchina
prima, non sarebbe stato altrettanto contento.
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