domenica 21 ottobre 2012

L'ineluttabile debolezza dell'hardware


L’hardware ha qualche problema, ma il suo proprietario vuole produrre ancora software e non si ferma per capire cosa c’è che non va.

E’ come se il conducente, in viaggio in auto, ad un certo punto sospettasse un guasto. Se si fermasse, quasi sicuramente non riuscirebbe ad arrivare in tempo a destinazione, ma perlomeno potrebbe ancora proseguire o tornare indietro, una volta riparato il danno. Se non si fermasse potrebbe arrivare in tempo a destinazione, ma potrebbe anche non poter essere in grado di proseguire o tornare indietro.
E allora? Qual è la scelta migliore? In realtà, dipende dalla priorità che si dà alla destinazione da raggiungere rispetto al sano mantenimento del veicolo stesso. Razionalmente, si consiglia: fermati. Ma il consiglio proviene da un soggetto a cui probabilmente non preme raggiungere la destinazione.

L’hardware ha una vita limitata, ma il software no: una volta prodotto servirà ad altri hardware, diversi da quelli che l’hanno prodotto, che a loro volta produrranno altri software. E per questo motivo il proprietario della macchina pensa sia più importante preoccuparsi di qualcosa di “immortale” piuttosto che di qualcosa che prima o poi muore.
Ma il proprietario dimentica che se vuole produrre software più a lungo, deve curare l’hardware. Senza hardware, niente software. Al proprietario infatti è consentito l’uso di un solo hardware. Ma il proprietario si ostina a prediligere la produzione attuale di software e a non preoccuparsi di quella potenziale futura o della durata in cui l’hardware potrà funzionare. Il proprietario si chiede: quanto manca alla meta e non quante mete potrà raggiungere in futuro. Il proprietario vuole minimizzare la distanza che lo separa dall’obiettivo attuale, e non gli importa se ciò può condurlo anche alla minimizzazione della distanza che lo separa dall’ultimo obiettivo che potrà raggiungere.  

Cosa importa avere un hardware longevo che teoricamente potrebbe produrre cento software, quando ne possiede uno che sta per finire di produrre un software? Meglio finire quell’unico software che fermarsi per l’idea di poter essere in grado di produrne altri cento. Un unico software che dopo la rottura dell’hardware che lo ha prodotto, può “reincarnarsi” in altri cento o più hardware. Un unico hardware, anche se potente, invece sarà soltanto un unico hardware, indipendentemente dalla durata.

Lo chiamano hardware, ma in realtà non è così “hard”. E’ la parte debole della macchina, la più vulnerabile. Quando si rompe, spesso non c’è nulla da fare o, se si riesce ad aggiustare, difficilmente tornerà allo stato precedente la rottura.

Il proprietario sente uno strano rumore, ma preferisce continuare ad usare la macchina, piuttosto che fermarsi e chiamare il riparatore. Il proprietario è ottimista: crede di poter arrivare alla meta prima che la macchina si rompa. Gioca d’azzardo, spinge finchè può anche se la macchina stenta. Il proprietario sente che “ha male all’hardware” che sta utilizzando. Il rumore che esso produce è inquietante: come quello di un elicottero che sta per schiantarsi. Ma il proprietario è distratto dai suoi obiettivi, dai suoi pensieri, dalle sue idee che prevalgono su ogni preoccupazione materiale. Il proprietario è troppo distratto ed allo stesso tempo troppo concentrato nel suo percorso per rendersi conto di quanto l’hardware sia malandato. Giorno dopo giorno, l’hardware si lamenta sempre di più. Un ultimo sforzo ed ecco la meta. Dalla meta si prospettano nuove mete. 

Ma ecco allora che il proprietario capisce che non può più produrre nuovo software se non fa riparare l’hardware. L’hardware è molto acciaccato, ma forse non è troppo tardi per aggiustarlo. Forse dopo un po’ di riposo e di restauro potrà tornare operativo. Ma se non fosse così, in ogni caso il proprietario sarebbe soddisfatto del software che ha prodotto, che sopravviverà all’hardware. Forse se il proprietario avesse fermato la macchina prima, non sarebbe stato altrettanto contento.  

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