Sei ciò che fai?
Sei ciò che sai? Sai ciò che sei? Sai ciò che sai? Sai ciò che fai?
Al momento so che
sono confusa!
Proviamo a fare
un bilancio. Il bilancio?
“Il bilancio, no!
non l’avevo considerato. Mi aspettavo lo sai, una vita un po’ più normale quale
eventualità ... trovarmi una collocazione... Si potrebbe inventare, si potrebbe
vedere, si potrebbe rubare ...
Il bilancio, no!
non l’avevo considerato. D’accordo ci proverò, la ragioneria non è un reato”.
Concentriamoci,
anzichè ideare una nuova versione del Triangolo di Renato Zero.
Se il lavoro è
tutto un Dare e Avere, allora qual è il mio utile? Cosa voglio ottenere. Soldi?
Potere? Direi di no, altrimenti non sarei qui a scrivere sul blog, ma a
produrre e spendere.
Però allora
perchè ho studiato alla Facoltà di Economia con l’obiettivo di diventare
“ingegnere del risparmio”? Forse perchè per quanto i soldi non siano la vita
almeno sono vitali e se non fanno la felicità almeno garantiscono la sicurezza.
Sicurezza,
controllo, ordine costituivano le mie priorità per far fronte ad una situazione
familiare difficile. Ma forse pensavo più alla famiglia che a me stessa e
quando la mia famiglia si è sgretolata allora ecco che ho cominciato a scontrarmi
con me, a capire che in fondo avevo sacrificato i miei veri interessi per
diventare fredda, razionale, una fortezza inespugnabile, inaccessibile persino
a me stessa.
Ed ecco allora
che mi sposto in una dimensione più umana, dove il fine e’ quello di dare un
contributo all’epidemiologia, ma sempre tramite la matematica o la statistica.
Numeri, dati, computer ... Se avessi amato di più i numeri sarei rimasta a
Londra, a convertire in sterline le mie competenze. E invece sono qui a
valorizzarmi quale fallimento, a sublimare la mia “eccellenza” in disoccupazione.
Ma perchè pensare
al passato? "La vita si può capire solo all'indietro, ma si vive in avanti"
dice Kierkegaard. Già e io adesso sto facendo un bilancio, ma seguiamo la
consegna degli esercizi che mi hanno consigliato al Centro Lavoro.
“Elenca i
momenti, le situazioni, gli avvenimenti che, nell’arco della tua vita, hanno
rappresentato per te un successo, un traguardo, una realizzazione”.
Ho aiutato mia
sorella, ho dimostrato chiarezza espositiva in aula, ho comunicato in maniera
efficace, ho fatto divertire i miei compagni di scuola, ho dato e ricevuto
amore ... Il comune denominatore è sempre umano o sociale.
Quindi il lavoro
ideale per me deve coinvolgermi in attività sociali o, qualora sia matematico,
deve avere perlomeno un fine di utilità collettiva e non ingrassare solo le
tasche o il prestigio di qualcuno.
In secondo luogo,
deve essere creativo (tale aspetto è venuto fuori da altri esercizi) deve
consentirmi espressione personale (possibilità di utilizzare il mio stile, le
mie idee ...) e sviluppo personale
(imparare cose nuove che mi accrescano come persona).
Non voglio dilungarmi,
ma alla fine ho redatto un bel bilancio: in Dare (attivo) le mie capacità e
competenze, nel patrimonio l’utile desiderato ossia il fine idealmente sociale
o collettivo, ma c’è qualcosa che non quadra l’Avere. Chi mi assume? Con chi ho
un debito?
Ed ecco che
ricado sempre nel solito errore di voler metaforizzare tutto ciò che è
grettamente pratico: soldi, soldi, soldi ...
Ho individuato
una serie di lavori che fanno per me, ma escludendo quelli di cui, pur avendo
le capacità non ho l’esperienza o la formazione, ne rimane solo uno, quello che
ho fatto negli ultimi due anni: il ricercatore in ambito statistico medico, o
eventualmente statistico sociale.
Penso sia
sbagliato dire che si è ciò che si fa, ma il tempo trasforma ciò che si fa in
ciò che si diventa. E allora mi concentro su ciò che ho fatto che tutto sommato
mi ha dato soddisfazione.
Contatto tutti i
centri di ricerca che potrebbero essere interessati al mio profilo
professionale. Rendo esplicito che vorrei incontrare i responsabili per un loro
parere, anche se al momento non hanno nulla da offrire in stipendio.
Mi dicono tutti
la stessa cosa: mi vorrebbero, ma non ci sono i fondi. Avrebbero bisogno di me,
ma non possono nemmeno farmi un’offerta caritatevole, nemmeno un rimborso spese.
Realizzo che il
problema non è nè mio, nè della mia confusione. E quindi?
A cosa è servito
fare il bilancio se poi manca il portafoglio? Non potrei allora fare il
bilancio con le aziende che assumono e trovare un accordo? Io garantisco a te,
tu mi permetti di ... Non ho mica paura di fare un lavoro nuovo, diverso, purchè
in linea con i miei valori umani. Non ho mica esigenze di stipendi elevati.
Non
ho mica paura di sporcarmi le mani, ma è il mercato che sembra lavarsele. C’è
talmente tanta manodopera specializzata e competente, oppure
non specializzata, ma ancora fresca e giovane, da consentire alle aziende di
cestinare il mio curriculum con tanti pregiudizi: “Questa o è un’inferma
mentale da mandarci il curriculum per una posizione “degradante” rispetto al
proprio titolo di studio oppure è un fallimento. E poi è veramente “conigliona”
da tornare in Italia proprio in piena crisi. O forse l’hanno rispedita indietro
per problemi con la giustizia.”
Beh! La selezione
è sempre bilaterale: io non vado bene a loro, ma loro non vanno di certo bene a
me se è ciò che pensano.
Ma allora, se c’è
tanta specializzazione, ma non c’è crescita, non bisognerebbe puntare sulla
ricerca o sull’innovazione per uscire dalla crisi?
Perchè allora è
sempre la ricerca a subire i tagli? Perchè sono sempre i ricchi di potenziale
umano a rimetterci? Tagliano i cappelli o le teste?
Basta, non voglio
discutere di politica. Dico solo che si è passati dall’ambizione di un
“presidente operaio” ad uno che vuol fare il “macellaio”. Ma “sembra” che il
primo non abbia saputo mandare avanti la fabbrica, il secondo invece “non
capisco bene” cosa stia e dove stia tagliando. Spero si riveli veramente un
macellaio e non un boia. E’ vero che entrambi spargono sangue, ma almeno il
primo ci fornisce la carne che mangiamo. E intanto aspetto la mia dose di
proteine, sperando di non essere costretta a diventare vegetariana!