Quando si conosce una persona, si e' all'oscuro di quale sia la relazione che si instaurera'. Una stretta di mano che potrebbe cambiare la tua vita: una convivenza o un matrimonio, una lunga amicizia o un rapporto di complicita' e affinita' che persiste nonostante la tua vita e quella dell'altra persona seguano poi strade diverse.
A volte non si bada neanche al nome di chi si presenta. E questo per me e' spesso stato il segnale di un'apparizione evanescente nella mia vita o di un' apparizione di nessuna rilevanza da non catturare abbastanza la mia attenzione o la mia curiosita'. Ma non se ne ha mai la certezza. A volte si e' solo distratti e poi ci si accorge dopo del fascino di quella visione. Visione che puo' rimanere senza nome e scomparire oppure che puo' accompagnare la tua vita, con un nome legato al tuo.
Analogamente, quando si congeda una persona che si presume di non vedere piu', in realta' non si sa mai se sia un arrivederci o un addio.
"Good luck". "Keep in touch". "It was a pleasure ...". Saluto e ricevo a mia volta i saluti da parte delle persone con cui ho avuto occasione di lavorare e mando un'email collettiva, per raggiungere tutti, anche coloro che al momento sono via per lavoro, per vacanza o sono impegnati con i pazienti.
Mantengo la formalita', pur scrivendo qualcosa di personale. Ricevo cortesia e formalita' e per una volta non mi curo se i complimenti e apprezzamenti o i loro "We miss you" siano sinceri.
Quest' esperienza e' stata una commedia a episodi, dove un episodio ha seguito l'altro, rimettendo a posto il precedente e lasciando seguire velocemente il successivo. Ma tutto e' stato messo assieme spassionatamente, senza enfasi, nemmeno per cio' che era importante e andava approfondito. Proseguire con gli episodi ha significato ogni volta ricominciare daccapo, pur sempre con la stessa scaletta, ma anche poter finire la serie la' dove si e' voluto, senza creare colpi di scena.
Ed esco, quasi indisturbatamente, ignorando se il mio ruolo avra' o meno un seguito o se scomparira' definitivamente.
Il mio capo mi alletta con la proposta di collaborare anche a distanza per la pubblicazione di articoli inerenti a studi che ho iniziato e che non abbiamo potuto portare a termine. Immagino che una volta che saro' lontana dall'ufficio, si dimentichera' presto del lavoro pendente e della mia esistenza. Tuttavia, non si puo' affermarlo con certezza.
Guardo il Big Ben illuminato dalle luci. Sono le 16.30, ma e' gia' buio. Mi incammino per tornare a casa. Waterloo: la stazione della metropolitana che mi consentira' di tornare a casa in un'ora di tragitto. Waterloo: nessuna battaglia, nessuna sconfitta e forse nessuna grande vittoria, Waterloo, forse il mio esilio, durante il quale la noia e' diventata tranquillita', tranquillita' che mi ha consentito di scrivere questo blog, attraverso il quale ho potuto esprimere cio' che ho sempre pensato e che non ho mai detto, ho potuto raccontare agli amici lontani il mio "peregrinaggio" e forse, ho potuto comunicare anche con persone che non conosco o che non conosco troppo bene.
Questo blog non e' una commedia. E' un'alternarsi di gioie e dolori, di rabbia, di passioni, di ricordi, di desideri, di pensieri e di cio' che adesso non so.
Thackeray diceva: "There are a thousand thoughts lying within a man that he does not know till he takes up a pen to write" ("Ci sono migliaia di pensieri che giacciono nella testa di un uomo e che egli non conosce finche' non prende una penna per scrivere").
La versione non tecnologicamente obsoleta richiederebbe di sostituire "the pen" con "a keyboard". Ma la sostanza non cambia.
Se i pensieri non si scrivono, o non si divulgano con altri mezzi, rischiano di diventare "spazzatura" mentale, rifiuti ingombranti che non lasciano spazio a pensieri nuovi o che ti tormentano affinche' non li ricicli e li trasformi in azione o in qualcosa di utile o di bello che gli altri possano vedere e giudicare.
Quando ritornero' in Italia vorrei dedicare il mio tempo, oltre che al mio convivente, anche agli amici e a mia sorella, ai quali ho sempre pensato durante la scrittura di ogni articolo. Pertanto scrivero' sempre meno, ed usciro' molto di piu'.
Non vorrei rinunciare alla passione di scrivere soltanto perche' richiede impegno e sacrificio. Ma il tempo libero dal lavoro, ed il tempo in generale, e' limitato e una volta in Italia daro' priorita' alle commissioni, allo smaltimento dei rifiuti ingombranti fisici di casa mia, ma soprattutto agli svaghi con gli amici.
Ho bisogno prima di tutto di piu' tempo da vivere, piuttosto che di tempo da immortalare in uno schermo o in uno scritto.
Mi chiedo quale sara' l'ultimo post che scrivero'. Penso che mi concedero' soltanto una pausa, ma non posso escludere che anziche' essere una fermata possa trattarsi del capolinea.
Quando ci si congeda, non si puo' mai sapere se si tratta di un addio o di un arrivederci.
venerdì 9 dicembre 2011
Il congedo
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domenica 4 dicembre 2011
Il paese dei balocchi
"Se fossi in te uscirei prima". "Se fossi in te non verrei in ufficio domani".
Da sola avrei esitato, ma se lo dice lui non me lo faccio ripetere due volte. Vado al Luna Park, mentre gente rimane in ufficio.
E' Lucignolo che ha deciso, anche se Pinocchio era indotto in tentazione. Ma se Lucignolo fosse il tuo capo?
"Non so come tenerti occupata, quindi non vedo perche' devi stare in ufficio a fingere di lavorare". Ha assolutamente ragione. Perche' rimanere a scaldare la scrivania, visto che agli inglesi il calore non piace nemmeno, anzi, spaventa?
Quello che invece obietto e' il perche' non sappia come tenermi occupata ed il perche' ha assunto una risorsa che lascia inutilizzata. Mi chiedo anche perche' abbia un computer "superpotente" che neanche sfrutta, parcheggiato nella scrivania e dimenticato. Come siamo simili io e quel computer: facciamo parte di un budget di spesa che teoricamente dovrebbe costituire un investimento, ma di fatto e' un consumo, o peggio, uno spreco.
"Mi sono accorta che quest'anno il carico di lavoro che ti ho affidato era un po' esiguo." Meno male che ha avuto il buon senso di accorgersene. "Non esistono pasti gratis in economia", diceva sempre una mia professoressa all'Universita'.
Eppure di fatto la mia paga ed il mio ruolo non sono stati direttamente proporzionali al mio carico di lavoro. In Italia di sicuro mi avrebbero assunta a progetto per tre o al massimo quattro mesi, pagandomi non piu' di un terzo di cio' che ho percepito. Certamente a Londra la vita e' cara e i prezzi delle case e dei trasporti non sono paragonabili a quelli italiani. Ma, sinceramente, il pane, o meglio il sandwich, non me lo sono sudata. Anzi, mi sono quasi sentita una mantenuta. Una situazione del genere e' piuttosto anomala e passeggera ed e' anche questa la ragione che mi ha spinto al rifiuto del rinnovo del contratto.
Infatti mi vergogno ogni volta che esco per andare a fare shopping o a bighellonare invece di lavorare. "Lucignolo dice che si vive una volta sola": e' il motivo che induce Pinocchio a seguire il compagno e a giustificarsi di fronte al Grillo Parlante, l'Adulto.
Ma se il Grillo Parlante e' Lucignolo stesso, si rischia ancora di diventare somari? Perche' dovrei vergognarmi se sono dalla parte della legge? Sono una dipendente e ubbidisco al capo anche se mi dice che la giornata di lavoro e' conclusa, o se non lo dice e' implicito che posso uscire, avendo finito di eseguire cio' che mi aveva chiesto. Ma e' giusto percepire una paga "fulltime"?
Non sempre cio' che e' legale e' giusto o viceversa. Altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza di alcuni privilegi. Occorre sottolineare che posso vantare la mia posizione ed il privilegio di quella paga soltanto grazie al possesso del titolo di dottore di ricerca, privilegio che in Italia non esiste. Non c'e' da dubitare che abbia ottenuto il titolo per merito e quindi e' giusto poter vantare tale privilegio. Ma e' altrettanto giusto mantenere tale concessione se il lavoro lo richiede per immagine e non per sostanza?
Il mio capo comincia a dubitarne ed anche per questo non sembra intenzionato ad assumere, nel breve periodo, un'altra persona che mi sostituisca. Ma se avessi voluto rimanere, non avrebbe potuto negarmi tale beneficio. Ma non voglio costituire la causa di ulteriori sprechi. Certamente preferisco la vergogna di uscire prima, rispetto alla noia di stare in ufficio senza far nulla. Ma se posso, vorrei evitarle entrambe.
La vergogna nasce dall'immagine esteriore che l'Altro percepisce. La noia invece nasce e vive dentro di te. Ciascuna puo' rovinare la propria vita, a seconda dell'importanza che si attribuisca all'immagine o alla sostanza. Se la vergogna e' influenzata dalla societa', la noia e' un sentimento spontaneo, ma entrambe sono sensazioni soggettive. Pertanto evito di considerare il giudizio dell'Altro e supero la vergogna, uscendo tranquillamente, lieta per poter sfruttare il mio tempo libero.
Lucignolo ha ragione: si vive una volta sola, anche se la mia deformazione intellettuale mi allerta sul fatto che, con le attuali prospettive di vita e di pensione, finche' c'e' vita c'e' lavoro, o meglio, finche' c'e' vita, ci sara' da lavorare.
Ma ora sono al Luna Park. Ecco il paese dei balocchi. L'atmosfera e' pre-natalizia e c'e' anche la fiera di bancarelle. Non sono l'unica a quanto pare. Sento per caso la conversazione telefonica di una signora e capisco che anche lei e' li' per via del suo Lucignolo.
Non ci sono grilli parlanti, ma c'e' una renna parlante, che non dice nulla di antipatico, ma invita tutti a divertirsi. "Vengano (o piu' contestualmente "venghino") signori e signore nel paese dei balocchi".
Incredibile! Sembra vera! Muove gli occhi, apre la bocca, altro che marionette di legno. La minaccia di Mangiafuoco ormai e' obsoleta.
Divertiamoci finche' possiamo, godiamoci i nostri privilegi, approfittandone, ma essendo consapevoli che non dureranno molto e che prima o poi arrivera' il momento di pagare i conti. Pertanto deciderne il momento, offrendoci spontaneamente all'oste, ci evitera' maggiori danni.
Sorrido, mi rilasso, conscia di voler pagare i conti ritornando in Italia, dove non apparterro' piu' ad una casta privilegiata, ma potro' guardarmi allo specchio, senza vedere allo stesso tempo Pinocchio ed il Gatto, complice con la Volpe per aver sottratto gli zecchini d'oro dell'azienda che li aveva sepolti credendo di vederne un giorno l'albero.
Non avro' piu' il biglietto per visitare il paese dei balocchi. Ma aldila' dei giochi, non e' forse il sogno di Pinocchio diventare un giorno un adulto vero, seguendo la strada del babbo Geppetto che ha fatto tanti sacrifici per farlo andare a scuola?
"Non so come tenerti occupata, quindi non vedo perche' devi stare in ufficio a fingere di lavorare". Ha assolutamente ragione. Perche' rimanere a scaldare la scrivania, visto che agli inglesi il calore non piace nemmeno, anzi, spaventa?
Quello che invece obietto e' il perche' non sappia come tenermi occupata ed il perche' ha assunto una risorsa che lascia inutilizzata. Mi chiedo anche perche' abbia un computer "superpotente" che neanche sfrutta, parcheggiato nella scrivania e dimenticato. Come siamo simili io e quel computer: facciamo parte di un budget di spesa che teoricamente dovrebbe costituire un investimento, ma di fatto e' un consumo, o peggio, uno spreco.
"Mi sono accorta che quest'anno il carico di lavoro che ti ho affidato era un po' esiguo." Meno male che ha avuto il buon senso di accorgersene. "Non esistono pasti gratis in economia", diceva sempre una mia professoressa all'Universita'.
Eppure di fatto la mia paga ed il mio ruolo non sono stati direttamente proporzionali al mio carico di lavoro. In Italia di sicuro mi avrebbero assunta a progetto per tre o al massimo quattro mesi, pagandomi non piu' di un terzo di cio' che ho percepito. Certamente a Londra la vita e' cara e i prezzi delle case e dei trasporti non sono paragonabili a quelli italiani. Ma, sinceramente, il pane, o meglio il sandwich, non me lo sono sudata. Anzi, mi sono quasi sentita una mantenuta. Una situazione del genere e' piuttosto anomala e passeggera ed e' anche questa la ragione che mi ha spinto al rifiuto del rinnovo del contratto.
Infatti mi vergogno ogni volta che esco per andare a fare shopping o a bighellonare invece di lavorare. "Lucignolo dice che si vive una volta sola": e' il motivo che induce Pinocchio a seguire il compagno e a giustificarsi di fronte al Grillo Parlante, l'Adulto.
Ma se il Grillo Parlante e' Lucignolo stesso, si rischia ancora di diventare somari? Perche' dovrei vergognarmi se sono dalla parte della legge? Sono una dipendente e ubbidisco al capo anche se mi dice che la giornata di lavoro e' conclusa, o se non lo dice e' implicito che posso uscire, avendo finito di eseguire cio' che mi aveva chiesto. Ma e' giusto percepire una paga "fulltime"?
Non sempre cio' che e' legale e' giusto o viceversa. Altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza di alcuni privilegi. Occorre sottolineare che posso vantare la mia posizione ed il privilegio di quella paga soltanto grazie al possesso del titolo di dottore di ricerca, privilegio che in Italia non esiste. Non c'e' da dubitare che abbia ottenuto il titolo per merito e quindi e' giusto poter vantare tale privilegio. Ma e' altrettanto giusto mantenere tale concessione se il lavoro lo richiede per immagine e non per sostanza?
Il mio capo comincia a dubitarne ed anche per questo non sembra intenzionato ad assumere, nel breve periodo, un'altra persona che mi sostituisca. Ma se avessi voluto rimanere, non avrebbe potuto negarmi tale beneficio. Ma non voglio costituire la causa di ulteriori sprechi. Certamente preferisco la vergogna di uscire prima, rispetto alla noia di stare in ufficio senza far nulla. Ma se posso, vorrei evitarle entrambe.
La vergogna nasce dall'immagine esteriore che l'Altro percepisce. La noia invece nasce e vive dentro di te. Ciascuna puo' rovinare la propria vita, a seconda dell'importanza che si attribuisca all'immagine o alla sostanza. Se la vergogna e' influenzata dalla societa', la noia e' un sentimento spontaneo, ma entrambe sono sensazioni soggettive. Pertanto evito di considerare il giudizio dell'Altro e supero la vergogna, uscendo tranquillamente, lieta per poter sfruttare il mio tempo libero.
Lucignolo ha ragione: si vive una volta sola, anche se la mia deformazione intellettuale mi allerta sul fatto che, con le attuali prospettive di vita e di pensione, finche' c'e' vita c'e' lavoro, o meglio, finche' c'e' vita, ci sara' da lavorare.
Ma ora sono al Luna Park. Ecco il paese dei balocchi. L'atmosfera e' pre-natalizia e c'e' anche la fiera di bancarelle. Non sono l'unica a quanto pare. Sento per caso la conversazione telefonica di una signora e capisco che anche lei e' li' per via del suo Lucignolo.
Non ci sono grilli parlanti, ma c'e' una renna parlante, che non dice nulla di antipatico, ma invita tutti a divertirsi. "Vengano (o piu' contestualmente "venghino") signori e signore nel paese dei balocchi".
Incredibile! Sembra vera! Muove gli occhi, apre la bocca, altro che marionette di legno. La minaccia di Mangiafuoco ormai e' obsoleta.
Divertiamoci finche' possiamo, godiamoci i nostri privilegi, approfittandone, ma essendo consapevoli che non dureranno molto e che prima o poi arrivera' il momento di pagare i conti. Pertanto deciderne il momento, offrendoci spontaneamente all'oste, ci evitera' maggiori danni.
Sorrido, mi rilasso, conscia di voler pagare i conti ritornando in Italia, dove non apparterro' piu' ad una casta privilegiata, ma potro' guardarmi allo specchio, senza vedere allo stesso tempo Pinocchio ed il Gatto, complice con la Volpe per aver sottratto gli zecchini d'oro dell'azienda che li aveva sepolti credendo di vederne un giorno l'albero.
Non avro' piu' il biglietto per visitare il paese dei balocchi. Ma aldila' dei giochi, non e' forse il sogno di Pinocchio diventare un giorno un adulto vero, seguendo la strada del babbo Geppetto che ha fatto tanti sacrifici per farlo andare a scuola?
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giovedì 1 dicembre 2011
La legge della giungla
Le difficolta' maggiori che incontrero' al rientro nella mia citta' natale deriveranno sempre dalla mia famiglia, ormai ridotta: le mie sorelle.
La sorella, che e' invalida, da circa un mese non viene piu' assistita dall'altra mia sorella, ma risiede in una struttura residenziale dei servizi sociali.
L'altra sorella adesso per la prima volta si sta confrontando con la sua stessa esistenza. Cosa fare? Qual e' il suo ruolo? Deve cercare un lavoro, non ha un reddito. Soltanto ora ne percepisce la necessita' e ha voglia di lavorare, ma ha pochissime possibilita', essendosi diplomata ormai da dieci anni e non avendo nessuna esperienza lavorativa, se non di un paio di lavori saltuari, e nessun corso professionale spendibile. Sta cercando attivamente, ma non sta trovando nulla.
In effetti chi seleziona il personale che elementi ha per capire che ha vissuto una situazione disagiata ed adesso vorrebbe una possibilita' per dimostrare le sue capacita'? Dal curriculum, risulta soltanto la facciata: nulla ... nulla resta delle premure verso la madre e verso la sorella invalida, nulla ...
E non puo' nemmeno rivendicare l'appartenenza alle categorie protette, pur avendo vissuto il disagio familiare.
Cio' che mi fa innervosire e' il suo atteggiamento vittimista e difensivo: "nessuno mi assume, sono tutti cattivi, la colpa non e' mia". Ma come non e' sua? Vorrei rinfacciarle che l'avevo avvisata che non poteva vivere tutta la sua vita con la madre, che doveva uscire da quella condizione di schiavitu' che lei pensava fosse liberta' perche' le consentiva di vivere nell'ovatta materna, al riparo dai pericoli, dai problemi e con la possibilita' di concedersi vizi e capricci.
Vorrei dirle con freddezza e intransigenza: "Ecco, queste sono le conseguenze della tua condotta che ha ignorato i miei consigli. Pensavi fosse ingiustificata la mia ira quando realizzavo anno dopo anno che non avevi ancora cercato attivamente un'occupazione? E adesso pensi che sia ingiustificato lo stato di disoccupazione in cui ti trovi? Pensi di non essere responsabile della tua rovina? Non credi che adesso dovresti uscirne da sola? Non osi chiedermelo, ma ti aspetti da me un aiuto, anche se sai benissimo che io non ho nessuna intenzione di mantenerti e di viziarti come la mamma. E secondo te cosa dovrei fare?"
Anni di evoluzione, di progresso, di sviluppo economico e di conquiste sociali, ma il principio e' sempre quello: la legge della giungla. Il piu' forte sopravvive. Non c'e' giustizia migliore: in tal modo ognuno ha cio' che merita.
Ma non potrei sopportare il mio menefreghismo se le voltassi le spalle.
In fondo se la aiutassi potrebbe trovare la possibilita' che cerca, possibilita' che potrebbe cambiarle la vita.
Se non l'aiutassi, il suo vittimismo troverebbe una giustificazione, in quanto le infliggerei la pena che tutto sommato si merita. Ma la sua vita non cambierebbe, se non in negativo poiche' aumenterebbe la sua paura e la sua diffidenza nei confronti del mondo.
In fondo e' stata danneggiata, vittima si' della sua debolezza, ma soprattutto del lassismo di mia madre. E' una ragazza intelligente, ma non e' consapevole delle sue capacita' perche' non ha avuto occasione per dimostrarle e, sotto l'egida della madre, non ne ha neanche sentito la necessita'. Perche' procacciarsi il cibo se qualcuno gia' pensa al mantenimento? Che bisogno c'e' di testare la propria forza se qualcuno pensa a difenderci?
Vorrei tanto insegnarle a "cacciare" e spronarla a tirare fuori le sue capacita' nascoste. Non e' mica un'impresa facile, visto anche il suo carattere introverso, ma accetto la sfida.
C'e' pero' una questione da sollevare: neanche io avro' un lavoro quando tornero' in Italia. Puo' una persona che non ha lavoro insegnare un'altra a trovare lavoro? Penso di si', cosi' come un cacciatore puo' insegnare a cacciare senza avere in mano la preda.
Io ho un "avanzo" nel curriculum, lei un "deficit", ma ci troviamo a fronteggiare la stessa situazione: la nostra collocazione.
Cio' che accomuna gli estremi opposti e' la lotta alla sopravvivenza: ciascuno deve lottare per mantenere la propria posizione. Come il povero deve lottare per non morire di fame, il ricco deve lottare per mantenere il proprio status. Il ceto medio invece non deve lottare, potendo godere della sua posizione, ma semmai puo' temere di diventare povero, sognare di diventare ricco oppure disprezzare gli estremi.
Se fosse possibile, sarebbe giusto trasferire il mio "avanzo" curriculare a mia sorella, in modo tale che entrambe saremmo in pareggio? Non sarebbe giusto perche' entrambe non avremmo quello che meritiamo, ma sarebbe equo, poiche' non ci sarebbe diseguaglianza ed entrambe saremmo dispensate dalla lotta.
Ma non sempre, come in questo caso, cio' e' possibile. E' possibile trasferire il denaro, ma non la forza e le abilita' per produrlo. Nella legge della giungla, avere due vincitori equivale ad avere due vinti. Nella legge della giungla il ceto medio non esiste.
E noi siamo due bestie che per fortuna non lottiamo l'una contro l'altra. Aiutarla a sopravvivere, vorrebbe anche dire guadagnarmi la sua stima e il suo rispetto nei miei confronti, analogamente alla posizione "alfa" di dominanza di un branco. Voltarle le spalle vorrebbe dire allontanarla da me, distruggendo quello che rimane della famiglia ed uscendo definitivamente dal branco.
La sorella, che e' invalida, da circa un mese non viene piu' assistita dall'altra mia sorella, ma risiede in una struttura residenziale dei servizi sociali.
L'altra sorella adesso per la prima volta si sta confrontando con la sua stessa esistenza. Cosa fare? Qual e' il suo ruolo? Deve cercare un lavoro, non ha un reddito. Soltanto ora ne percepisce la necessita' e ha voglia di lavorare, ma ha pochissime possibilita', essendosi diplomata ormai da dieci anni e non avendo nessuna esperienza lavorativa, se non di un paio di lavori saltuari, e nessun corso professionale spendibile. Sta cercando attivamente, ma non sta trovando nulla.
In effetti chi seleziona il personale che elementi ha per capire che ha vissuto una situazione disagiata ed adesso vorrebbe una possibilita' per dimostrare le sue capacita'? Dal curriculum, risulta soltanto la facciata: nulla ... nulla resta delle premure verso la madre e verso la sorella invalida, nulla ...
E non puo' nemmeno rivendicare l'appartenenza alle categorie protette, pur avendo vissuto il disagio familiare.
Cio' che mi fa innervosire e' il suo atteggiamento vittimista e difensivo: "nessuno mi assume, sono tutti cattivi, la colpa non e' mia". Ma come non e' sua? Vorrei rinfacciarle che l'avevo avvisata che non poteva vivere tutta la sua vita con la madre, che doveva uscire da quella condizione di schiavitu' che lei pensava fosse liberta' perche' le consentiva di vivere nell'ovatta materna, al riparo dai pericoli, dai problemi e con la possibilita' di concedersi vizi e capricci.
Vorrei dirle con freddezza e intransigenza: "Ecco, queste sono le conseguenze della tua condotta che ha ignorato i miei consigli. Pensavi fosse ingiustificata la mia ira quando realizzavo anno dopo anno che non avevi ancora cercato attivamente un'occupazione? E adesso pensi che sia ingiustificato lo stato di disoccupazione in cui ti trovi? Pensi di non essere responsabile della tua rovina? Non credi che adesso dovresti uscirne da sola? Non osi chiedermelo, ma ti aspetti da me un aiuto, anche se sai benissimo che io non ho nessuna intenzione di mantenerti e di viziarti come la mamma. E secondo te cosa dovrei fare?"
Anni di evoluzione, di progresso, di sviluppo economico e di conquiste sociali, ma il principio e' sempre quello: la legge della giungla. Il piu' forte sopravvive. Non c'e' giustizia migliore: in tal modo ognuno ha cio' che merita.
Ma non potrei sopportare il mio menefreghismo se le voltassi le spalle.
In fondo se la aiutassi potrebbe trovare la possibilita' che cerca, possibilita' che potrebbe cambiarle la vita.
Se non l'aiutassi, il suo vittimismo troverebbe una giustificazione, in quanto le infliggerei la pena che tutto sommato si merita. Ma la sua vita non cambierebbe, se non in negativo poiche' aumenterebbe la sua paura e la sua diffidenza nei confronti del mondo.
In fondo e' stata danneggiata, vittima si' della sua debolezza, ma soprattutto del lassismo di mia madre. E' una ragazza intelligente, ma non e' consapevole delle sue capacita' perche' non ha avuto occasione per dimostrarle e, sotto l'egida della madre, non ne ha neanche sentito la necessita'. Perche' procacciarsi il cibo se qualcuno gia' pensa al mantenimento? Che bisogno c'e' di testare la propria forza se qualcuno pensa a difenderci?
Vorrei tanto insegnarle a "cacciare" e spronarla a tirare fuori le sue capacita' nascoste. Non e' mica un'impresa facile, visto anche il suo carattere introverso, ma accetto la sfida.
C'e' pero' una questione da sollevare: neanche io avro' un lavoro quando tornero' in Italia. Puo' una persona che non ha lavoro insegnare un'altra a trovare lavoro? Penso di si', cosi' come un cacciatore puo' insegnare a cacciare senza avere in mano la preda.
Io ho un "avanzo" nel curriculum, lei un "deficit", ma ci troviamo a fronteggiare la stessa situazione: la nostra collocazione.
Cio' che accomuna gli estremi opposti e' la lotta alla sopravvivenza: ciascuno deve lottare per mantenere la propria posizione. Come il povero deve lottare per non morire di fame, il ricco deve lottare per mantenere il proprio status. Il ceto medio invece non deve lottare, potendo godere della sua posizione, ma semmai puo' temere di diventare povero, sognare di diventare ricco oppure disprezzare gli estremi.
Se fosse possibile, sarebbe giusto trasferire il mio "avanzo" curriculare a mia sorella, in modo tale che entrambe saremmo in pareggio? Non sarebbe giusto perche' entrambe non avremmo quello che meritiamo, ma sarebbe equo, poiche' non ci sarebbe diseguaglianza ed entrambe saremmo dispensate dalla lotta.
Ma non sempre, come in questo caso, cio' e' possibile. E' possibile trasferire il denaro, ma non la forza e le abilita' per produrlo. Nella legge della giungla, avere due vincitori equivale ad avere due vinti. Nella legge della giungla il ceto medio non esiste.
E noi siamo due bestie che per fortuna non lottiamo l'una contro l'altra. Aiutarla a sopravvivere, vorrebbe anche dire guadagnarmi la sua stima e il suo rispetto nei miei confronti, analogamente alla posizione "alfa" di dominanza di un branco. Voltarle le spalle vorrebbe dire allontanarla da me, distruggendo quello che rimane della famiglia ed uscendo definitivamente dal branco.
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