Gli
insegnanti sono come gli autisti di un bus, che ti portano al
capolinea, fermandosi dove previsto, in corrispondenza delle tappe
istituzionalizzate. A differenza di un normale bus, in cui i
passeggeri salgono e scendono quando vogliono, nella scuola
generalmente è il conducente che decide se qualcuno deve scendere
dalla vettura e prendere quella successiva, ma non per
discriminazione o antipatia, ma soltanto perché reputa che il
passeggero non sia pronto per proseguire e che necessiti di
ripercorrere la tappa raggiunta con più lentezza o attenzione.
Pur
essendo opportuno ringraziare in ogni caso l'autista per averti
portato a destinazione, bisogna ammettere che non tutti hanno un modo
di condurre piacevole. Alcuni ti fanno venire la nausea o il mal di
bus irreversibile per tutta la vita. E nonostante gli si faccia
presente che non stanno trasportando patate, quello è il loro modo di
condurre. D'altronde la sensibilità e l'empatia sono doti notevoli,
anche se sottovalutate, che non tutti hanno e non sono richieste per
la patente di autista. Basta che si rispettino le regole stradali, i
limiti di velocità e, soprattutto che non si sgarri dal percorso
istituzionale.
Benché
non sia richiesto che il conducente renda il tragitto piacevole, o
sopportabile, se accidentato o in presenza di tornanti, si dovrebbe
riconoscere e apprezzare con un riguardo particolare chi ha questo
talento. Chi, nonostante le intemperie, riesca a far vedere nitida
l'immagine della strada attraverso il finestrino, chi trasmette
fiducia e sicurezza in presenza di ostacoli da superare o addirittura
passione per le sfide.
Se
visiti una città affidandoti ad una guida turistica infatti avrai un
bel ricordo del luogo visitato se la guida ti trasmette entusiasmo,
curiosità, ti fa apprezzare l'arte, la cultura, mostrandoti la
bellezza di un monumento, in relazione con i valori culturali, le
tradizioni e la storia locali.
Di
fatto però il compito di una guida si limita a far vedere solo ciò
che è previsto nel programma, in sequenza, fino al termine, con
scadenze da rispettare, con un certo ordine e una disciplina.
L'entusiasmo, la personalità particolare della guida non vengono
retribuite. In fondo non c'è prezzo per una bella esperienza che ti
accompagna per il resto della vita, per una parola in più che ha
determinato una svolta, un cambiamento, per un sorriso, un racconto
accattivante o toccante. Un ringraziamento a chi ti regala qualcosa
in più che non è tenuto a dare, sorge spontaneo anche se spesso ci
sembra nulla in confronto a ciò che si ha ricevuto, che non si è in
grado di ripagare.
Inoltre
un conducente, terminato il suo percorso, non è tenuto a dare
indicazioni sulle strade possibili, sui percorsi a piedi o a bordo di
altre linee o mezzi di trasporto, sulle coincidenze, sui percorsi più
veloci, più economici, più comodi o più adatti alle esigenze e
interessi dei passeggeri. Non è richiesto che un conducente osservi
un passeggero per aiutarlo a trovare la sua strada. Chi guida deve
osservare chi sale e chi scende per motivi di sicurezza e di ordine
pubblico e se qualcuno disturba o infrange delle regole deve
intervenire, direttamente o chiamando le autorità a seconda delle
situazioni. Ma se un passeggero entra sul bus piangendo, l'autista
non è tenuto a chiedere il motivo delle lacrime o a cercare di farlo
sorridere. Ci si aspetta solo che chiami l'ambulanza qualora la
persona stia molto male o perda conoscenza.
Non
è nemmeno compito della guida pulire il finestrino o i posti a
sedere o rendere la vettura profumata e confortevole, ma solo
assicurarsi che ci siano le condizioni perché un passeggero giunga
sano e salvo a destinazione.
Dovrei
ringraziare tutti i miei insegnanti per avermi istruito e formato. Ma
non tutti, devo ammettere, sono stati in-segnanti, nel senso che
hanno lasciato un segno, un qualcosa, anche se non troppo piacevole,
che ricordo al di là dei concetti e nozioni scritte alla lavagna.
Chi ti lascia un segno spesso ti fa delle osservazioni che
inizialmente possono sembrare fastidiose perché percepite come una
critica nei propri confronti. Ma successivamente le critiche possono
rivelarsi costruttive e avere notevoli benefici. Allo stesso modo chi
ti incoraggia a far qualcosa, ti fa i complimenti o ti dice ciò che
hai bisogno di sentire, ti lascia un segno positivo perché aumenta
la tua autostima e la fiducia negli altri.
Tutti
coloro che non lasciano un segno, ma si limitano a svolgere solo il
proprio lavoro, fanno già tanto, comunque: è un lavoro difficile,
faticoso che non viene riconosciuto come si dovrebbe.
L'iniziativa
della “Settimana Italiana dell’Insegnante
2017”
http://www.youreduaction.it/terza-edizione-settimana-italiana-dell-insegnante-2017/
mi ha dato la motivazione di scrivere questo post, un intermezzo dopo
la conclusione della terza parte di questo blog, che forse riprenderò
regolarmente a data da definirsi.
In
particolare vorrei ringraziare la mia insegnante di italiano delle
medie. Credo sia stata l'unica a capire veramente le mie capacità e
i punti di forza. L'unica che ha cercato in tutti i modi di spronarmi
a valorizzarli. L'unica che anche nei miei difetti trovava una virtù
e un'opportunità da sfruttare, a differenza di altri che, seppure
riconoscevano il mio merito con degli ottimi voti, spesso
aggiungevano: “però la tua calligrafia è pessima, sei una persona
disordinata, devi tenere il foglio più pulito e non fare le
orecchie, devi fare sempre la scaletta prima di iniziare il tema...”
La mia insegnante apprezzava sempre ciò che scrivevo perché
apprezzava il mio stile aldilà delle mie opinioni. Mi diceva che ero
una persona che rifletteva, rimuginava, rimetteva in discussione ciò
che scriveva perché spesso cancellavo, tirando delle righe sopra
interi paragrafi. E lo vedeva come un pregio. Non dava importanza
all'estetica, a come appariva il foglio tutto scarabocchiato. Lei
leggeva ciò che c'era scritto e lo apprezzava veramente. Mi diceva
sempre che avevo una bella testa, che dovevo sfruttare le mie
capacità di scrittura e di espressione, che avrei dovuto iscrivermi
al liceo classico e diventare “un'umanista”.
Purtroppo
ero nella fase più difficile della mia vita: l'adolescenza e
sottovalutai l'importanza dei suoi consigli. Una volta la sfidai.
Scrissi nel tema dell'esame finale ciò che all'epoca pensavo, quali
erano le mie aspettative e prospettive dopo le scuole dell'obbligo.
Scrissi che a me non interessava avere una “bella testa”, ma
piuttosto una bella faccia, un bell'aspetto fisico perché la società
(e chi ti sceglie) valuta solo questo. A me non interessava diventare
“umanista”, o essere una persona riconosciuta per i suoi studi.
Volevo diventare una persona normale. Non volevo andare al liceo
perché non pensavo di volere proseguire gli studi dopo le scuole
superiori. Volevo seguire un percorso poco esposto alla
disoccupazione. E poi volevo che la si smettesse di considerarmi la
“prima della classe”, la “brava ragazza” e la figlia che
tutti i genitori avrebbero voluto decantare e “sfruttare”.
Anche
in quel caso la mia insegnante apprezzò il mio tema dicendo che
avevo descritto ed espresso molto bene i miei pensieri e la mia
realtà. Lodò il mio lavoro, ma la sua espressione rivelava una
certa tristezza per la mia “abnegazione”.
Ricordo
una volta, sul bus nel corso del viaggio di ritorno da una gita, si
sedette dietro di me con un'altra insegnante. Non so se lo fece
volutamente affinché sentissi, ma affrontò il discorso
dell'insoddisfazione personale e professionale parlando di un ragazzo
molto bravo con talento “umanistico” e predisposizione per la
scrittura che stava studiando ingegneria su “consiglio” dei
genitori, ma che si sentiva insoddisfatto e per questo non otteneva
buoni risultati.
All'epoca
non capivo cosa volesse dire sentirsi insoddisfatti nello studio o
nel lavoro. Infatti non mi ponevo la questione, avendo delle buone
valutazioni in tutte le materie, anche se sottovalutavo che scrivere
mi veniva spontaneo, naturale, mentre risolvere un problema di
matematica era una cosa che sentivo imposta, “distante” e spesso
mi innervosiva perché non arrivavo subito alla conclusione o mi
buttavo a risolvere senza leggere con attenzione il testo.
Perciò
studiai ciò che sentivo distante, che mi innervosiva e che puntava
il dito contro i miei difetti. Ottenni dei risultati perché spinta
dalla motivazione di soddisfare le aspettative del mercato e di non
essere disoccupata. Ma non pensavo affatto a me, a soddisfare le mie
aspettative e a valorizzare il mio talento, mentre la mia insegnante
lo aveva fatto, si era preoccupata per me, per la mia soddisfazione e
realizzazione. Anche mio padre aveva trascurato questo aspetto, ma
forse perché non aveva avuto occasione di osservarmi come aveva
fatto lei da esperta.
E
la ringrazio davvero. Ho sempre pensato al suo consiglio, puramente
interessato al mio bene. Ho sempre pensato alla stima che aveva nei
miei confronti. Ho sempre pensato che avrei voluto rincontrarla dopo
anni. Ma non l'ho mai cercata. Non ho avuto più notizie di lei.
Spesso un grande pensiero rende piccola qualsiasi azione. Forse è
per questo che non ho fatto nessuno sforzo per cercarla o forse
perché è passato troppo tempo e solo di recente ho realizzato
quanto prezioso sia stato il suo consiglio, e quali effetti benefici
avrebbe avuto se lo avessi seguito. Non voglio rivelare il suo nome
per privacy, ma il suo anagramma “BONTA” perché è autologico
(anche senza accento).
Non
era tenuta a farlo, ma di fatto è come se mi avesse detto: “Guarda,
dopo il capolinea ti consiglio di fare quella passeggiata. Il
percorso sarà in salita, ma ne vale la pena. Dalla cima avrai una
panoramica stupenda. Tu hai le capacità per affrontare quel percorso
e nei momenti in cui troverai difficoltà, sappi che io credo in te e
credo che riuscirai a superarle. Perciò non arrenderti e alla fine
avrai ciò che meriti, ma ricorda che deve anche essere ciò che
desideri perché da lassù vedrai solo quello e se non ti piace ti
sentirai desolata e ti sembrerà di soffocare. Ma io ti conosco e
penso che amerai ciò che vedrai.”